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Federico Salvatore voleva essere preso sul serio, ma il successo gli ha negato tutto

Aveva fatto della parolaccia un’arte, era l’erede dei poeti licenziosi dell’ottocento e di Armando Gill. Voleva essere preso sul serio, ma il successo clamoroso degli anni ’90 gli ha negato ogni cosa.
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Fare il napoletano, stanca. Lo aveva capito benissimo Federico Salvatore, tanto che aveva titolato così un album e una canzone bellissima. Proprio facendo il napoletano, Federico Salvatore era esploso. Il successo che gli era quasi cascato addosso negli anni '90 fu colossale, plateale, enorme. Erano gli anni che Simona Frasca ha raccontato in Mixed by Erry, il libro sui fratelli Frattasio diventato un bel film di Sidney Sibilia. Era il periodo in cui a Napoli il vuoto satirico degli Squallor era stato già colmato da Tony Tammaro e dai pirati volgarissimi degli Incappucciati mentre, tra i locali della città, si esibiva Federico Salvatore. Tra lui e tutto il resto di quella scena, però, era destino che si aprisse un abisso vero. Col senno del poi, certo, è facilissimo parlare, ma è fin dai primi spettacoli che Federico Salvatore teneva nei ristopub dell'aversano, delle zone vesuviane, che fondava la sua idea e la sua filosofia sugli stereotipi. Premetteva "io sono un napoletano acculturato" e cominciava a mitragliare i presenti con un monologo lungo e pieno di paroloni: "Il criterio metodologico di questo mio spettacolino presuppone il ribaltamento della logica preesistente", tutto così fino alla battuta finale che tramortiva: "Che cazzo ho detto non lo so, ma comme parlo bello!". 

È diventato famoso, nemmeno a dirlo, grazie a Maurizio Costanzo. Quelli erano gli anni di "Incidente al Vomero", dove giocava con le "due Napoli" profetizzate da Domenico Rea. Dal suo nome e cognome aveva tirato fuori i personaggi che avrebbe declinato all'infinito, in una serie di situazioni paradossali: Federico, il ricco figlio di papà con la casa al Vomero e la bella Barbara al suo fianco; e Salvatore, il padre di famiglia disoccupato della Napoli bassa. Aveva fatto della parolaccia un'arte (Vajass Rap, a parere di chi scrive, è il suo capolavoro; altro che Azz!) dimostrando di essere probabilmente l'erede più moderno dei poeti licenziosi dell'ottocento e di Armando Gill. Di quest'ultimo, condivideva la felice coincidenza dell'alter ego nel nome e nel cognome: "Versi di Armando, musica di Gill, canta Armando Gill".  Vinse i dischi di platino con i primi album e nel 1995 fu felice l'incontro col produttore Giancarlo Bigazzi, che degli Squallor fu l'anima. Si presentò nel 1996 a Sanremo e sparigliò le carte. Avrebbe dovuto vincere Sanremo con "Sulla porta", brano sull'omosessualità, ma quella gioia gli fu preclusa non solo perché i tempi non erano maturi (fu costretto a tagliare la parola ‘omosessuale' dal testo) ma proprio per il suo peccato originale: Federico Salvatore era destinato a far ridere, non riflettere.

Dopo aver sfruttato quello che il mercato gli chiedeva, si sentiva nella gabbia e nell'etichetta del cantante demenziale, aggettivo che aveva sempre rispedito al mittente. Si sentiva costretto a fare ridere, lui voleva cambiare strada. Voleva essere preso sul serio, ma quel successo clamoroso gli ha negato ogni cosa. La sua carriera è stata interrotta troppo presto. Era riuscito a rilanciarsi attraverso i social media, riprendendo i vecchi successi e provando a far tornare il sorriso nei giorni del lockdown e dei greenpass. Stava preparando un tour in tutta Italia per celebrare i 25 anni di Azz! e aveva attorno tantissimi giovani artisti, operatori del mondo culturale, innamorati della sua arte: Tommaso Primo, Gianni Simioli, Roberto Colella, Gennaro Scarpato. Con quest'ultimo, in particolare, si era creato un sodalizio forte che aveva nella scrittura dei suoi ultimi testi, molti inediti, che sarebbe il caso di riprendere appena il dolore per la sua scomparsa si lenirà. Col senno del poi, dicevamo, è facilissimo parlare. Però, sarebbe forse il caso che, a quel napoletano che l'intellighenzia per anni non ha mai preso sul serio, venisse adesso riconosciuto uno spazio pari a quello che è stato dato a tanti brillanti artisti di questa città complessa e stratificata.

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Gennaro Marco Duello (1983) è un giornalista professionista. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Lavora a Fanpage.it dal 2011. Ha esordito nella narrativa nel 2022 con il romanzo Un male purissimo (Rogiosi). California Milk Bar - La voragine di Secondigliano (Rogiosi, 2023) è il suo secondo romanzo.
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