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Fast Animals And Slow Kids: nati per correre

Nella prima data del loro nuovo tour i FASK non hanno fatto prigionieri, confermandosi una volta in più band-chiave del nostro circuito alternativo. Assolutamente da non perdere, soprattutto in concerto.
A cura di Federico Guglielmi
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Si dice spesso, per nulla a torto, che per valutare in modo serio un gruppo rock sia indispensabile la prova del palco; non per quanto riguarda le doti strettamente tecniche, che almeno per certi ambiti stilistici hanno peso relativo, ma soprattutto per la capacità di coinvolgere il pubblico a più livelli. C‘è chi ci riesce con il mestiere e con trovate spettacolari più o meno costruite, e va comunque benissimo, e chi centra l'obiettivo senza bisogno di artifici, mettendosi a nudo e lasciandosi andare. A mio (pur discutibile) parere, chiunque negli ultimi anni si sia espresso negativamente nei confronti dei Fast Animals And Slow Kids non deve averli mai visti dal vivo. Impossibile, infatti, non essere come minimo affascinati dallo scambio di energie che si crea fra la band perugina e l'audience, al di là dell'apprezzamento della musica e della scelta di essere o meno parte attiva del rito pagano che si consuma, collettivamente e catarticamente, ogni volta che Aimone Romizi (voce, chitarra, sporadici tamburi), Alessandro Guercini (chitarra), Jacopo Gigliotti (basso) e Alessio Mingoli (batteria, voce) danno fuoco alle polveri.

Sabato 1 novembre, a quasi un mese dall'uscita del loro terzo album “Alaska”, i FASK hanno varato un nuovo tour, destinato a snodarsi per chissà quanto ancora su e giù per la Penisola. L'hanno fatto nella loro città natale, nella cornice amica di quell'Urban Club che ormai da anni è uno dei locali-cardine della scena nazionale, davanti a un migliaio di ragazzi che proprio non volevano comprensibilmente porre un freno al loro entusiasmo, e che per gli ottanta minuti del concerto si sono scatenati in un'orgia di dinamismo e sudore. Dall'alto della balconata, perché ho un'età e al pogo ho dato l'addio (già trentatreenne, però) nel lontano 1993, ho assistito con il sorriso sulle labbra a quanto avveniva sotto di me: salti, cori, stage diving, crowdsurfing e varie forme (mai davvero violente) di slamdancing, in più di un'occasione organizzate in gruppo con perizia da autentici coreografi. Uno show nello show cui non si è naturalmente sottratto il frontman, spesso lanciatosi sulla folla per abbracciarla e farsene abbracciare nel senso letterale del termine, non smettendo nel frattempo di intonare quei testi che del quartetto sono una delle armi più efficaci alla pari di trame strumentali dove compattezza granitica irruenza e ruvidezza sposano melodie efficacissime e, a tratti, una solennità quasi epica. “Non ci aspettavamo questo delirio”, è stato il commento a caldo dei Nostri… ma come credergli? In fondo l'happening di tre giorni fa non è stato così diverso da quanto accaduto nelle oltre cento date seguite alla pubblicazione dell'acclamato “Hybris”, che dopo il peraltro valido esordio “Cavalli” ha sollevato i FASK dal ruolo di bella promessa per conferirgli la patente di solida certezza.

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Poi, certo, è vero che la formula dei Fast Animals And Slow Kids – per la cronaca, il curioso nome è ispirato dal cartoon “I Griffin” – non è rivoluzionaria ma si limita a rimpastare i canoni dell'emo-post hardcore “all'italiana” cari a molte altre band (l'etichetta To Lose La Track, che nel 2010 li ha tenuti a battesimo con l‘EP “Questo è un cioccolatino”, ne offre un campionario più che significativo), ma fermarsi qui sarebbe assolutamente ingiusto. In primis perché Aimone e compagni, pur non rinnegando le radici, stanno evolvendo e perfezionando il proprio discorso espressivo, e in seconda battuta perché continuano a comporre canzoni di elevatissima qualità; “Come reagire al presente”, il singolo apripista di ”Alaska”, parla già chiarissimo, ma il resto della scaletta – menzione speciale per “Coperta” e “Con chi pensi di parlare” – ha tutto ciò che occorre per spazzar via ogni eventuale dubbio residuo. A colpi di decibel, e con una genuinità che tracima prepotente da ogni riff, ogni stacco, ogni verso.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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