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Ermal Meta in tour con Vietato Morire: “La musica è la mia vita, mai avuto un piano b”

Con la partecipazione al Festival di Sanremo e il terzo posto con “Vietato Morire”, il nome di Ermal Meta è esploso e oggi è in tour con uno spettacolo spesso sold out: gli abbiamo chiesto della sua carriera, della gavetta, dello scrivere canzoni e del Napoli.
A cura di Francesco Raiola
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Ermal Meta al Festival di Sanremo (LaPresse)
Ermal Meta al Festival di Sanremo (LaPresse)

L'ultimo Festival di Sanremo ha definitivamente sdoganato anche al grande pubblico un artista come Ermal Meta, grazie anche a "Vietato Morire", terza classificata e Premio della Critica Mia Martini. Meta, però, che lo scorso anno aveva partecipato nella categoria Nuove proposte, è una vecchia conoscenza della musica italiana, sia come cantante che come autore, avendo scritto canzoni importanti per artisti come Marco Mengoni, Emma, Giusy Ferreri e Francesco Renga, tra gli altri. Il suo primo album da solista (in passato ha militato negli Ameba 4 e ne La fame di Camilla) ha esordito in testa alla classifica e il tour che lo vede in giro per l'Italia e che toccherà Napoli in due date (17 e 18 maggio al Teatro Acacia) sta andando a gonfie vele con molti sold out.

Tua madre è violinista, quindi la musica ti ha accompagnato fin da subito. Quali sono il tuo primo ricordo musicale e il primo strumento?

In realtà i primi ricordi musicali vanno di pari passo con il primo strumento, ovvero il pianoforte: avevo 6 anni quando ho iniziato ed era una cosa abbastanza naturale, per il motivo che dicevi prima.

Quando hai pensato che la musica potesse essere la tua strada?

Non è che pensavo che potesse esserlo, semplicemente volevo che lo fosse e quindi ho fatto di tutto affinché fosse così, ma è quello che fanno tutti i musicisti, perché nessuno pensa che si possa, tutti pensano che vorrebbero tanto che fosse così, dal momento che è una passione che ti porti dietro e non ti abbandona mai.

Tu sei il classico esempio di chi ha fatto gavetta e ce l'ha fatta. Però ci sarà stato un momento in cui hai pensato che non ci sarebbe stato altro, che la tua vita sarebbe stata quella?

Sinceramente non ci ho mai pensato più di tanto, nel senso che non ho mai fatto niente di diverso da questo, il piano b è una cosa inesistente, ho sempre avuto un unico piano, un unico desiderio e  un'unica volontà.

A leggere il curriculum da autore pare quasi che le hit ti nascano naturali: immagino non sia così, quindi ti chiedo cosa ti ispira quando scrivi? 

Sicuramente la lettura, che è una cosa vitale quando scrivi canzoni. Fondamentalmente ogni canzone può essere una colonna sonora di una storia ed i libri, si sa, sono pieni di storia e questo ti porta a immaginare delle canzoni che possono fare da colonna sonora. La lettura è un ottimo modo per vivere delle altre vite rispetto alla tua a cui poter attingere.

Ho letto che la prima canzone l'hai data a Jessica Brando, era il 2010: come fu ascoltare la tua canzone cantata da un'altra persona?

Beh, fu abbastanza strano, in realtà, però capii immediatamente che era un altro modo per percepire un'emozione, attraverso la voce di qualcun altro e là compresi che avrei dovuto insistere su quella strada e cercare di fare ancora meglio, anche perché parliamo dell'inizio e dovevo ancora crescere molto, però capii subito che poteva essere una cosa importante, si imparano tante cose quando si scrivono canzoni per gli altri.

Oggi il tuo nome lo conoscono anche i sassi, ma fino a qualche mese fa eri uno dei cantanti sconosciuti più famosi d'Italia: che effetto faceva? Cioè, voglio dire, tu sei performer e autore, ci rimanevi male, non ti importava o pensavi che tanto prima o poi sarebbe arrivato il giusto riconoscimento?

No, male assolutamente no, anzi ne ero felice, perché voleva dire che quello che avevo scritto era una cosa valida, che aveva un senso e una sua dignità, quindi ero felicissimo. Anche perché continuavo a scrivere cose per me, in maniera autonoma e quando ho deciso che era il momento giusto sono uscito con un disco e ho fatto le mie cose, non avevo alcuna urgenza.

Ho letto che scrivi sempre partendo da te e non vestendo la canzone per il cantante che dovrà cantarla: quali sono le canzoni che, secondo te sono impossibili da dare a qualcun altro? Pensavo, ovviamente, a "Lettera a mio padre", ma anche “Vietato morire”, ma lascio a te la parola…

Ci sono delle canzoni che non è che siano impossibili da dare a qualcun altro, ma proprio che è impossibile che qualcun altro le canti, perché diventano un abito troppo personale per essere indossati da altri, quindi non ha senso provare a dare una canzone come quella a qualcun altro, avrebbe proprio difficoltà a cantarla.

Leggevo anche che dicevi che ti sei trovato di fronte a canzoni eseguite diversamente da come le immaginavi quando le hai scritte. Quello che effetto ti fa, invece?

In molti casi mi ha sorpreso perché le immaginavo diverse, invece ho capito che la mia visione non era la più giusta, perché sentendole cantate diversamente da come le immaginavo ho capito che non sempre ha ragione chi ha la prima idea

Ho visto le immagini del concerto milanese sold out in un programma con tanti sold out, al punto da aver dovuto raddoppiare Napoli, che è un luogo molto complesso per chi fa la musica live, lo sai, vero?

Guarda, devo dirti la verità, con me è sempre stata molto ricettiva, ho fatto delle bellissime esperienze a Napoli, infatti quando mi hanno detto che c'era la possibilità di raddoppiare la data non ci ho pensato su neanche un secondo, perché il pubblico napoletano è tra i più divertenti d'Italia e uso la parola ‘divertenti' in senso assolutamente positivo: quando fai un concerto a Napoli, sul palco puoi anche fare a meno di cantare, perché cantano tutto loro, è una cosa pazzesca.

Ti ho sentito parlare di Sarri, del Napoli come squadra di calcio, ma mi sono perso il perché…

Guarda, io tifo per il Napoli, per quanto riguarda Sarri, beh gli allenatori vanno e vengono, quello che resta è una squadra che è rappresentativa di una città di un tifo di un certo tipo, che ha una partecipazione molto sentita, molto forte e questa cosa mi piace molto, è affascinante.

Posso chiederti come nasce il tifo per il Napoli, per te che sei pugliese?

Non lo so neanche io il perché, ho cominciato a vedere delle partite e mi trovavo a tifare per il Napoli – considera che non sono un tifoso da stadio, non mi vedrai mai sgolare, la gola mi serve ad altro -, quindi ho cominciato a nutrire simpatia, per la squadra, per la storia che ha, per il valore che rappresenta per la città e per il modo in cui questo tifo viene esplicato.

Che tipo di live porti in giro?

Raccontare il live prima che uno lo veda è difficile, perché c'è una grande dose di improvvisazione: è sicuramente un live molto energico, che richiede la partecipazione del pubblico, che cerco di coinvolgere al massimo perché sono convinto che lo spettacolo non sia sul palco ma in platea. Raccontartelo, però, è uno spoiler che non saprei come fare, perché lavoro con musicisti meravigliosi, questo mi porta a improvvisare, giocare a seconda del pubblico. Non è il suono che fa il concerto, insomma, è come tu lo vivi.

Qual è la differenza dal concetto di gavetta che hai fatto tu e quello creato dai talent? Te lo chiedo, chiaramente, vista la tua parte attiva ad Amici.

Guarda non è che il talent escluda dalla gavetta, semplicemente la fai dopo, quando finisci il talent è importante capire che quel percorso lo farai dopo. Se pensi di saltarlo hai sbagliato tutto, quindi la gavetta la devi fare.

Cosa stai ascoltando?

Mmm, l'ultimo di James Blake e l'ultimo degli Elbow.

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