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Enzo Mazza, Ceo Fimi: “Streaming è la rivoluzione, l’Italia può puntare al mercato internazionale”

Come sta cambiando il mondo della discografia, come cambia il mercato e in che modo questi cambiamenti influenzano la musica, la sua produzione e la sua distribuzione? L’Italia potrà diventare un player internazionale di una certa caratura? Lo abbiamo chiesto a Enzo Mazza, Ceo della FIMI, la Federazione italiana della musica.
A cura di Francesco Raiola
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Come sta cambiando il mondo della discografia, come cambia il mercato e in che modo questi cambiamenti influenzano la musica, la sua produzione e la sua distribuzione? L'Italia potrà diventare un player internazionale di una certa caratura? In che modo lo streaming ha rivoluzionato tutto l'ambiente discografico di questi ultimi anni? Fanpage.it ne ha parlato con Enzo Mazza è il Ceo della FIMI, la Federazione industria musicale italiana, che è stato tra i protagonisti del Digital Music Forum che si è tenuto qualche settimana fa a Napoli e in cui tanti addetti al settore hanno fatto il punto della situazione.

Luglio 2017 è una data che ha rivoluzionato la discografia, ma sono 4 anni che il comparto cresce e si sente tanto. Quanto lo streaming ha influito e in che modo questo bisogno di cercare qualcosa che potesse tenere su l'economia ha portato a cambiamenti strutturali?

Lo streaming in realtà è qualcosa che ha aperto spazi immensi, se pensi all0importanza del download, che era già stata un'evoluzione del mercato perché aveva dato la disponibilità di accedere a tutti e in qualunque momento a un catalogo sterminato, oggi lo streaming ha aggiunto a questo una parte importante di ‘discovery': il paradosso è che a volte parliamo della scoperta dei video su Youtube, ma scopriamo che YT è molto più tradizionale, ti fa conoscere qualcosa di già famoso mentre lo streaming audio è molto discovery perché c'è un lavoro che fa il fan, che è molto attivo e questo ha introdotto sfide enormi nelle aziende: lavorare bene sulle playlist, capire bene come si muove un certo tipo di artista, non solo a livello di ascolti, ma anche geografico, di collaborazioni, che ormai è diventata una strategia importante.

Insomma, bisognerebbe fare un po' di attenzione ai dati?

Se c'è un campo molto sottovalutato è proprio quello dei dei dati e la figura del data analyst, figure trasversali fondamentali, perché i dati entrano grezzi poi li devi interpretare e loro li devono tradurre in qualcosa che il marketing e l'A/R devono capire, perché l'A/R magari è un bravissimo ascoltatore ma ha bisogno dei mezzi e loro sono quei mezzi.

Questa influisce anche sui live, sugli store e il merchandising, no?

Ma anche sui testi… il fatto di inserire o non inserire determinate frasi comincia a essere un ragionamento legato all'impatto.

Quello di cui si parla molto è la fine o, meglio, la commistione dei generi nell'era dello streaming…

Che poi filtra a tutti i livelli perché non sarà più la stessa cosa, artisti pop magari si affiancano con rapper, ci sono operazioni transnazionali, artisti reggaeton che fanno qualcosa con artisti rap e poi non ci sono più confini.

Questa commistione di generi, che spesso è una forza, può creare, però, qualche problema di identità?

Certo, perché anche molti artisti tradizionali – nel senso che hanno una visione legata all'album, allo stare in studio etc – si trovano spiazzati, senza contare che anche molte tempistiche si sono accorciate. Come quelle di uscita, ci sono artisti che sono sempre in studio ed escono ogni tot con un singolo, quelli che stanno fermi per un po' e poi escono con una nuova produzione: il rischio, però, è che nel frattempo i consumatori abbiano cambiato genere, la volatilità degli ascoltatori è incredibile e oggi, rispetto a quanto accadeva una volta, una cosa diventa di catalogo in poco tempo e anche lì mantenere la fanbase e stare attenti al cambiamento che può avere il proprio genere musicale non è semplice. Questo trasforma anche le case discografica, perché hai roster diversi, con pubblici diversi che però hanno la concentrazione sullo stesso canale: sentivo qualcuno che parlava della stranezza del fare classifiche che contenessero sia streaming che vendite ma il mercato è fatto di queste cose e non è che puoi far sopravvivere un certo mercato se escludi lo streaming, farlo, insomma, per tutelare una parte.

E la FIMI ebbe non pochi problemi a riguardo…

Quando introducemmo lo streaming, in generale prima di quello per gli album, ci dissero che sarebbe stata danneggiata la musica italiana perché era meno forte in quel comparto, in realtà, però, abbiamo visto l'esplosione dell'It-Pop e il paradosso è stato che dopo un primo anno in cui c'erano tanti artisti stranieri, imposti dalle playlist internazionali, poi c'è stata quella esplosione a cui si è accompagnata anche quella della produzione indipendente, altro grande tema, perché all'epoca si pensava che lo streaming non li aiutasse e invece a livello totale sono cresciuti e stanno crescendo.

Ricordo che quando introduceste lo streaming negli album, a parte il fenomeno trap, ci fu l'esplosione di Coez e di tutta un nuovo movimento che si prese la scena.

E pensa che noi abbiamo calmierato questo effetto con il premium…

E passiamo subito a un'altra delle grandi polemiche di questi anni, nel mercato.

Sì, l'aver tolto il gratuito ha penalizzato alcuni artisti molto forti col free, appunto, ma in realtà non sono stati penalizzati perché fanno talmente tanti ascolti che semplicemente gli è stato messo un tetto: alla fine le classifiche non sono cambiate.

Questa cosa, però, non crea un problema su un pubblico di età più avanzata?

No, anzi sono quelli più vicini allo streaming, quello free è dominato dai fan che fanno un ascolto ripetitivo, alla fine semplicemente gli introduci un tetto.

Immagino che essendo tutto in trasformazione anche voi andiate a tentativi…

In realtà tutto cambierà nel momento in cui lo streaming diventerà talmente dominante che le classifiche saranno composte solo da quello. Una cosa che abbiamo evitato di fare – e col senno di poi è stata una cosa oculata – è quella delle classifiche di genere, avevamo pensato che in un mondo in cui i generi non esistono non avrebbe avuto senso e si sarebbe creato quello che si creò anni fa con le classifiche iTunes che cambiavano a ogni ora.

Anche perché bastava avere un bel budget a disposizione per muoverlo…

Ma anche con lo streaming c'è questo problema, lo stiamo monitorando e stiamo facendo molte pressioni sulle piattaforme perché affrontino questo tema seriamente, cosa che non hanno a cora fatto. Questa è una grossa sfida, in Francia quello dell'inquinamento delle classifiche sta diventando un tema forte, chiaramente chi deve mettere maggiore attenzione è la piattaforma stessa. È un tema simile a quello delle fake news nella politica, se immagini che pagine russe hanno cercato di inquinare le elezioni, pensa a quello che può accadere in un settore che pone anche meno attenzione al tema perché non c'è ancora maturità all'interno delle piattaforme di prevenire un fenomeno che può diventare enorme.

Senta, a proposito di classifiche, esiste un problema di linguaggio: ha senso parlare ancora di classifiche di vendita?

Oggi possiamo parlare di classifiche di consumo. Si potrebbe fare come in Germania, a valore, come quelle del cinema, ovvero quanto ha generato l'artista: tizio ha fatturato 2 milioni e quindi è primo con 2 milioni di fatturato. Si può fare una scelta del genere o quella fatta da noi.

Quale sarà il cambiamento a cui bisognerà fare più attenzione nei prossimi anni?

Secondo me il fatto vero su cui non ci si concentra in alcuni Paesi è quello della potenzialità globale. Noi siamo un mercato italiano, se tu guardi ai dati global Nielsen del primo trimestre vedi che al primo ci sono gli Usa, poi Porto Rico, India, Uk e Colombia… e questa cosa ti fa riflettere come questi Paesi lavorano per creare hit globali, mentre noi pensiamo ancora alle hit nazionali.

Per un'obiezione potrebbe essere il problema linguistico, no?

Il problema della lingua è un po' una giustificazione, altrimenti non si spiegherebbe perché i BTS, che cantano in coreano, vanno primi in classifica o il secondo posto e il calore per Mahmood all'Eurovision.

Il K-Pop però si fa brand…

Certo, però l'Italia è stato un Paese fortissimo nell'era della dance, se pensi a cosa ha perso dopo… avrebbe potuto, nello streaming, avere qualche opportunità. Io penso che nei prossimi anni qualche artista globale possa uscire anche dall'Italia.

Tu dici che anche l'Italia potrebbe giocare la sua partita, quindi?

L'Italia potrebbe cominciare a pensare a una strategia, di recente abbiamo parlato col Ministro della Cultura anche degli uffici esteri, di fondi che si perdono in mille rivoli mentre sarebbe bene individuare alcuniPaesi su cui provare delle campagne. La sfida è anche quella di avere qualcosa che finisca nelle varie playlist, quello che sta accadendo col reggaeton, insomma, poi magari il genere musicale italiano del futuro sarà anche globale, non per forza solo italiano: insomma, le opportunità per avere hit globali ci sono, ma vanno alimentate.

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