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Dolcenera: “Non sono mai stata furba, per questo non ho voluto ripetere le cose di successo”

Partendo dall’ultimo singolo Spacecraft, Dolcenera ha raccontato i suoi progetti musicali, ripercorso la sua carriera e parlato dei progetti futuri e dell’esperienza a The Band.
A cura di Francesco Raiola
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Dolcenera (ph Chiara Mirelli)
Dolcenera (ph Chiara Mirelli)

Parlare con Dolcenera è anche essere pronti a un mini live, perché la cantautrice per far capire bene il lavoro fatto deve materializzarlo, scomporlo, cantarlo, analizzarlo, anche se non è in studio ma seduta nei camerini di un palazzetto in cui prepara la prossima tournée. Uscita da poco con il nuovo singolo, "Spacecraft" la cantante racconta l'immaginario che c'è dietro la canzone, il perché del sound anni '80, ripercorre la sua carriera e l'esperienza con The Band, in attesa del nuovo singolo estivo dedicato alla pace e all'album che uscirà il prossimo autunno.

Come nasce Spacecraft?

Il periodo Covid, l'impossibilità a incontrarsi, la sensazione di vivere in una realtà futurista, l'alienazione: tutte queste parole, questi significanti, hanno contribuito alla nascita di Spacecraft che parte proprio con "Mia madre è aliena". La sensazione dominante nel pezzo è la voglia di vedere qualcuno, poi il passo successivo è capire cosa vuol dire incontrare la persona che ami o la persona a cui vuoi bene e capire che vuol dire che guardandola negli occhi provi una sensazione di pace. Io personalmente una sensazione di pace e immensità ce l'ho quando guardo il cielo e il cosmo, per questo ho scritto "Il cosmo dentro agli occhi" perché è quella sensazione là di pace, è come guardare al di fuori dell'oblò di uno Spacecraft, un immaginario spaziale che dipende da una mia passione personale.

Come immaginario mi viene in mente la fantascienza degli '80, c'entra il fatto che il sound vada un po' lì?

Da due anni a questa parte quel suono è tornato di moda, però nel mio pezzo non è una scelta a monte, ma è stato dettato dal testo. Io nasco cantautrice, mi piace giocare coi mondi sonori, ho esplorato tanti territori musicali, il Brasile, l'Africa, al punto da risultare anche destabilizzante, a volte. Mentre scrivevo il testo avevo negli occhi un po' le opere di un mio amico artista che si chiama Giacomo Costa, artista che da anni espone alla Biennale nonché ispiratore dello sceneggiatore di Inception, che crea realtà distopiche, appunto, in quel momento avevo il suo libro in mano. Dentro di me quella cosa si è sommata alla mia passione per lo spazio, incrementata dalla conoscenza di un ingegnere capo della Nasa, che ho conosciuto perché era mio fan, e ha creato questo immaginario che successivamente ha dettato musicalmente il sound. È stato un flusso di collegamenti, pensieri, cose che ho visto…

Capaldi invece ti serviva per questioni di metriche e rime?

No, volevo proprio citarlo, anche perché tergiscristalli è venuto dopo (canta "In radio una song di Capaldi, le lacrime, i tergicristalli", ndr). Tergicristalli è stata difficile da trovare ma Capaldi volevo citarlo perché lui è un pianista, cantautore, maschio, con una voce roca graffiante, quindi trovo dei punti di contatto con me e in più ha il coraggio di fare dischi sempre unplugged, acustici, in cui mette in evidenza voce e piano, cosa che io non ho mai fatto, per questo per me è un mito. Pensa che 20 anni fa Claudio Baglioni mi diceva che avrei dovuto fare anche io un disco piano e voce.

E perché non l'hai mai fatto?

Perché sono stupida e mi piace intripparmi nei suoni e nei mondi musicali e così non ho mai messo in evidenza la mia vera essenza, l'anima. Magari verso i 70 anni lo faccio. Però Capaldi per me è quella roba là, poi quando ascolti uno che ha una voce così e la rappresenta nuda non puoi che emozionarti.

Hai detto: "Ho sbagliato a fare ingegneria meccanica, avrei dovuto fare fisica o ingegneria aerospaziale".

È il pentimento dello studio perché la meccanica – conta che mi mancano tre esami per finire Meccanica – è figa però nella maggior parte dei casi ha delle applicazioni realistiche, di produzione di oggetti, molto pragmatica. A un certo punto ho pensato che avrei preferito studiare l'universo, quindi Fisica o Ingegneria aerospaziale, una cosa che mi affascina tanto.

E in musica hai sbagliato qualcosa?

Sono in un momento in cui mi dico che tutto dipende dal karma, se ho fatto delle scelte non c'è niente da fare, è il karma, il daimon, che richiama anche "Una Canzone Una Storia – Psicografia di un'artista femminile", il podcast che ho pubblicato e riguarda queste 10 donne che hanno cambiato la musica e sono viste dal punto di vista della vocazione, del loro daimon, appunto. Nina Simone, Judy Garland, confrontarmi con loro è stato anche uno specchio, volevo capire come hanno seguito la loro vocazione. Per inciso, la vocazione non è qualcosa che esiste solo in ambito artistico, ma ha a che fare con la vita e vale per ciascun essere vivente.

E tu come l'hai seguita questa vocazione?

Sinceramente, con tutti i pro e contro, avrei potuto essere più furba e scegliere una strada in cui ripetermi di più, perché molto spesso le cose di successo durano nel tempo e l'artista ripete proprio ciò che ha avuto successo, ma io l'ho fatto un po' meno. L'anima cantautorale rimane la stessa e io per dire non trovo differenze tra "Siamo tutti là fuori", con cui ho vinto Sanremo Giovani, e "Spacecraft", perché raccontano la voglia di raggiungere il sogno e la voglia immensa che ho di scambio. Sono una persona che rende tantissimo quando scambia con le altre persone, sono migliore. Insomma, il mio animo è sempre quello anche se pensate che io sia cambiata.

Quello che mi dici mi fa pensare a quanto sia stato ancora più complessa la pandemia e il lockdown, a livello creativo.

A un certo punto ho pensato che potessi sfruttare la pandemia per scrivere, in realtà a livello creativo ho vissuto dei grandi momenti di down e depressione e momenti in cui la voglia di reagire mi permetteva di tirare fuori cose con un valore elevato. Io reputo che Spacecraft abbia una scrittura e un immaginario non comune. E sebbene la strofa, devo dire, è un po' dura perché è un po' punk, tutta sulla stessa nota, non siamo molto abituati (canta, ndr), il ritornello, invece, melodicamente è un gran ritornello.

Anche grazie all'hook, immagino…

Quell'hook lì si ripete (lo ripete, ndr) anche se non so da quale pianeta sia venuto, non l'ho comandato ed è questo che mi dà fastidio, che non lo comando.

In che modo questo singolo ci porta al progetto autunnale dell'album?

Ci arriviamo con una nuova canzone in estate, che sarà totalmente diversa da Spacecraft, sarà un altro mondo sonoro, ma ha sempre a che fare col desiderio di pace, come per Spacecraft anche la canzone che uscirà in estate ha questo senso qua, però molto più contestualizzata perché l'ho scritta a guerra iniziata e c'ha dentro quella voglia di peace & love. La volevo chiamarla così ma ci ha già pensato Sfera Ebbasta.

A proposito di Sfera, come è finito il progetto trap e piano?

Nel momento di apice di queste cover trap ho smesso, è il karma anche lì. Non lo stavo facendo per nessun motivo in particolare, era un gioco artistico quello di unire quei mondi attraverso il pianoforte e la voce.

Come è stata l'atmosfera a The Band?

Il programma nasce da un'idea di Carlo Conti che voleva raccontare il tornare a suonare live, e a suonare live sono soprattutto le band, per cui il messaggio è stato mandato. Poi è chiaro che di band come i Maneskin ce ne sono poche, loro sono concettuali, dopo aver fatto vedere tutto il loro rock a X Factor, si erano un po' ammorbiditi e stavano perdendo l'anima, poi quello che hanno fatto  stato dire: Se dobbiamo morire, moriamo come diciamo noi.

Morire da re per citarli…

Esatto. E sono andati a Sanremo con un pezzo inimmaginabile, per cui da là il loro coraggio li ha portati alla fama mondiale. Pensa che che invitare queste band a programmi come Domenica In è più complesso, nella storia hanno sempre funzionato soprattutto band estreme, per questo farle funzionare sulla tv nazionale è complesso, perché storicamente sulla tv nazionale hanno sempre funzionato più cantanti solisti, il bel canto, Mina, Claudio Villa. L'esperienza comunque è stata bellissima, perché vedere questi ragazzi che suonano ti dà vitalità, a differenza del vedere un talent in cui non si suona sul palco tutti assieme.

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