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Dj Uncino cambia rotta ma non radici: “La mia storia dice che sono hip hop al 100%”

A sei anni di distanza da “Galleon”, Dj Uncino si è lanciato in un nuovo racconto: “Cambio rotta” è il suo nuovo disco, diviso in tre step. L’intervista qui.
A cura di Vincenzo Nasto
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Dj Uncino, 2022
Dj Uncino, 2022

Ancora il viaggio al centro del racconto musicale di Dj Uncino, il producer e dj di origine campana, che lo scorso 25 febbraio ha pubblicato il primo capitolo di "Cambio rotta", il suo nuovo album a sei anni di distanza da "Galleon". Con l'uscita di "Mollare gli ormeggi", il dj ha reso omaggio alla tradizione underground rap napoletana, con all'interno autori di spicco come Speaker Cenzou, Zulù dei 99 Posse, O'Iank ex Fuossera, ma anche Dope One e Lucariello. Cinque brani su cui spicca la hit "Dumbo", in attesa del prossimo 25 marzo, quando uscirà "Spiegare le vele". "Cambio rotta" è stata l'occasione per Dj Uncino di lanciarsi in nuovi suoni, rimanendo ancora alla tradizione musicale che dal 1995 proietta attraverso skratch e produzioni. L'intervista a Dj Uncino qui.

A sei anni di distanza da “Galleon” ritorni con “Cambio rotta”: una narrazione che riporta sempre all’idea di viaggio. Da dove e quando parte realmente il lavoro per “Cambio rotta”?
In questi anni ho sempre prodotto musica senza mai fermarmi. Infatti sono usciti singoli prodotti da me per artisti emergenti che oggi si affacciano sul panorama musicale mainstream come i primi brani di Plug, allora 12enne. È uscito anche un progetto in free download che voleva essere un omaggio al maestro Nino D’Angelo, ovvero “Nu beat e ‘na maglietta”. Non dimentichiamo poi che sono un dj quindi oltre a produrre musica c’è in me anche l’esigenza di far ballare la gente e di proporre costantemente nuova musica. Perciò senza mai fermarmi mi sono ritrovato a realizzare gradualmente musica che poi è stata assemblata in “Cambio rotta”. Progetto che si dipana appunto in tre capitoli. “Mollare gli ormeggi” è il sottotitolo del primo step, pubblicato a fine febbraio. Venerdì 25 marzo uscirà invece il secondo movimento, alias “Spiegare le vele”.

Napoli sembra essere il luogo e il linguaggio che ripropone l’intero disco, con tutte le sue influenze musicali multietniche. Qual era l’idea iniziale del disco e quanto ha “cambiato rotta” nel tempo?

Come era avvenuto in "Galleon", la Campania è e resta il linguaggio principale dei miei lavori. Nell’album precedente c’erano Aserto, Patto Mc, Tonico70, Morfuco e Rocco Hunt (Salerno), TerronRissa (Caserta). Anche in "Cambio rotta" la mia terra la fa da padrona. Per questo viaggio attuale – e alludo al secondo e al terzo capitolo -, posso spoilerare che ci saranno anche degli artisti non campani. L’idea della genesi è la stessa di quella finale. Comporre un disco senza schemi alla ricerca di mete musicali e di isole da cui prendere il meglio per crescere ogni giorno sempre di più, a prescindere dai processi-diktat dell’industria discografica.

C’è un messaggio che questo progetto voleva far passare, anche musicale, rispetto anche alle condizioni (come quelle della pandemia) che ha attraversato?

Il messaggio è semplice e penso sia leggibile: la pandemia ci ha limitato sotto qualsiasi aspetto, umano, lavorativo e creativo. Produrre e pubblicare un album senza limiti e senza troppi calcoli è il più grande messaggio che si possa trasmettere. Cioè la libertà, quella che tanto abbiamo invocato e implorato e ancora inseguiamo.

I personaggi presenti all’interno del disco hanno attraversato la storia del rap napoletano, con traiettorie diverse, ma non per questo distanti tra loro: cosa ha accomunato la scelta degli artisti da produrre?

Essendo un progetto molto libero da schemi non c’è stata una vera e propria strategia nella selezione degli artisti da coinvolgere. È inevitabile che parte del mio background influenzi anche la mia musica e che quindi c’è piacere nel collaborare con cantanti-rapper-vocalist che comunque hanno caratterizzato la mia crescita umana e artistica. Posso confidare, parlando a nome di tutti i presenti nelle canzoni, che il dato che accomuna tutti è semplicemente la voglia di potersi esprimere in maniera libera.

C’è un filo che lega tutte le tracce del disco e quale sarà il luogo adatto in cui ascoltarlo?

Il filo che lega questi primi pezzi e pure quelli che seguiranno fino a primavera piena è proprio l’itinerario che stiamo facendo. Il viaggio è a tappe ed è la suddivisione dell’intero album in tre segmenti. Ogni parte ha un suo perché nascosto tra le varie tracce e nelle storie è riassunto tutto: dalla cronaca all’amore, dall’ambizione personale al ricordo triste e viscerale di chi non c’è più. Il sentiero lungo il quale naviga il galeone è la naturalezza al 100%. Spontaneità senza filtri.

C’è una volontà con questo progetto di ricomporre l’idea di una posse?

No. Il mio cambio di rotta sta anche nella visione che oggi ho della musica. Da buon dj, che fa live e che segue tutto da dietro, mi posiziono con grande riflessione su tutto ciò che si muove e che succede. I tempi sono cambiati, sono cambiati i processi di diffusione. Non c’è alcuna volontà nel formare una posse, anche se pensando a quanto ci sta succedendo intorno sarebbe il caso di ricominciare a raccontare di argomenti e fatti che purtroppo anche la musica indipendente ormai non tratta più.

“Dumbo” è sicuramente una delle tracce più radiofoniche del progetto: come l’avevi pensata e come sei arrivata a questa versione finale?

“Dumbo”, con Speaker Cenzou, è nata in maniera disinvolta. Periodicamente proponevo a Zoù dei beat e lui me li bocciava, eppure ce n’era uno che lo aveva colpito. Lui mi diceva sempre “Giangi non ci siamo però c’è questo beat che si chiama Arpeggio che secondo me, lavorandoci e affinandolo, può funzionare”. Ho ascoltato il suo consiglio e mi sono immerso in alcune sperimentazioni assieme alla mia spalla di sempre, Andrea Oluwong, per cercare di rendere quando più potente possibile quel beat. Raggiunto il livello definitivo, Zoù ha fatto il resto con testo e flow inimitabile.

Questo è un progetto che si può contrapporre alla tendenza musicale attuale, parte anche di un processo di riscoperta musicale dell’hip hop, che magari il pubblico non ha vissuto in pieno?

Quando hai la fortuna di produrre senza schemi e in modo genuino è sempre una contrapposizione. Dopodiché, ribadisco, il mio è un progetto indipendente e ha ben poco di tendenza. L’unico elemento “trendy” che il pubblico scoprirà nelle prossime release è dato da sonorità moderne che comunemente si sentono anche nelle classifiche mondiali. Questa è un esigenza che, da dj che suona nei club, ho ogni giorno. È una necessità personale che si intreccia al desiderio di libertà di cui parlavamo. La mia storia dice che io sono hip hop al 100%. Contestualmente, la mia avventura musicale degli ultimi dodici anni mi ha portato a esibirmi in tante città d’Italia, non solo assecondando le matrici hip hop. La mia libertà sta anche nel poter produrre senza pregiudizio o senza limiti un beat con influenze funk, afro, latin. È un gioco e voglio starci dentro.

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