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Discoverland: l’arte della cover di Pier Cortese e Roberto Angelini

A quattro anni dal positivo debutto, i due cantautori romani ritornano sul luogo del delitto con una seconda raccolta di cover, ancora una volta genialmente imprevedibili.
A cura di Federico Guglielmi
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C’è chi sostiene che proporre cover sia un escamotage per “vincere facile”, come in quella famosa serie di spot: si ha l’opportunità di attingere in un inesauribile serbatoio di capolavori e non bisogna sostenere la fatica di comporre. Per certi aspetti è vero, ma a contare è il “come”; con un approccio canonico, se non addirittura calligrafico, il rischio di rovinare i modelli è sempre dietro l’angolo, mentre quando le riletture puntano alla revisione o allo stravolgimento, sono sempre in tanti a storcere la bocca e ad accusare gli interpreti di lesa maestà. Figuriamoci, poi, nel caso di brani celeberrimi, scolpiti nella storia in forme reputate a ragione o a torto perfette: i fischi dei fan più inflessibili e dogmatici soffocano ogni eventuale applauso di chi, invece, apprezza gli sforzi compiuti per dare alle canzoni vestiti diversi dagli abituali. Che di progetti legati alle cover ne circolino fin troppi, e che alcuni di essi siano semplicemente grotteschi, è faccenda che ora non interessa; in questa sede si parla di visioni creative e di eccellenze, non di operazioni uguali a mille altre e allestite alla meno peggio per cercare di sbarcare il lunario esibendosi nelle birrerie. Si trattasse di puro entertainment per compiacere davanti ai boccali platee di bocca buona, ben difficilmente quanto ideato da Pier Cortese e Roberto Angelini sarebbe stato inciso e, poi, diffuso sul mercato.

Del resto, Cortese e Angelini, rispettivamente classe 1977 e 1975, non sono figure ordinarie. Sono entrambi cantautori e pubblicano dischi in proprio, ma non disdegnano di offrire ai colleghi che si rendono conto di quanto valga la pena averli accanto la loro perizia di strumentisti di qualità o di esperti di studio di registrazione; nel giro della Roma che ha dato loro i natali sono entrambi parecchio noti, e ben considerata è la loro identità collettiva Discoverland, che di primo acchito fa pensare a una delle “terre” dei parchi tematici americani (e l’associazione mentale ci sta tutta). Non è, però, una novità: “Discoverland” era anche l’album d’esordio del duo, uscito nel 2012, un anno dopo che il sodalizio era stato varato dal vivo, sotto l’egida della Gas Vintage e della Fiorirari. Nove episodi rubati a Paolo Conte, Ivan Graziani, Bruce Springsteen, Björk, Bob Marley, James Brown, Rino Gaetano, Oasis e Fabrizio De André (più la sigla di “Ken il Guerriero” e il tema di “Blade Runner”), tanto lontani fra loro quanto resi brillantemente omogenei grazie ad autentiche metamorfosi in chiave folk-blues dove le trame per lo più acustiche sono qua e là arricchite di colori elettronici. Il tutto senza puntare a risultati di facile ascolto ma, anzi, scavando nei brani per coglierne l’essenza, decostruirli e ricostruirli. Rendendoli, di fatto, nuovi.

La copertina di 'Drugstore'
La copertina di ‘Drugstore'

Nei negozi dallo scorso 20 maggio con il solo marchio Gas Vintage, “Drugstore” ha rinnovato la magia del primo lavoro con toni nel complesso un po’ meno “scuri” ma con la stessa voglia di osare divertendosi; un divertimento comunque, mai sguaiato, perché se si vuole stravolgere musica di enorme popolarità non passando per cazzari, è necessario adottare un metodo serio e osservare un certo rigore. Si può essere “leggeri”, come ad esempio accade con l’artwork caricaturale di Gianluca Maruotti (affine a quello del disco precedente), ma tenendoci a portare avanti un discorso dotato di un reale senso espressivo è doveroso alzare l’asticella. Sapendolo, Cortese e Angelini non si sono tirati indietro, sorprendendo (e, forse, sorprendendosi) con un pezzo originale – “Il pusher”: è firmato da Cortese assieme a Leo Pari, emergente di lusso dell’attuale scena cantautorale dell’Urbe – e con altri otto rifacimenti avvolgenti e d’atmosfera. Non conta che il songbook sia quello degli U2 (“I Still Haven’t Found What I’m Looking For”) o dei Beatles (“Lucy In The Sky With Diamonds”), dei Verve (“The Drugs Don’t Work”, accompagnata da un simpatico videoclip girato a Berlino e diffuso in Rete ieri) o dei Bee Gees (“Stayin’ Alive”, direttamente da “La febbre del sabato sera”), di Franco Battiato (“La cura”) o di Edoardo Bennato (“L’isola che non c’è”, con citazione dei Gorillaz), dei Nirvana (“All Apologies”) o dei Rage Against The Machine (“Killing In The Name”): “Drugstore” è un’opera coerente e coesa, a dimostrazione di come, possedendo personalità, talento e coraggio, tutte le imprese nel mondo delle sette note – anche quelle sulla carta improbabili – abbiano chance di rivelarsi vincenti. Lecito tacciare lo stile dei Discoverland di bizzarria, ingiusto oltre che un po’ sciocco etichettarlo superficialmente come “l’ennesima raccolta di cover”.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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