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Discoteche senza green pass, Confindustria: “Il Governo non conosce il settore, perciò non decide”

Sergio Cerruti, vicepresidente di Confindustria Cultura Italia, ha un’idea precisa sulla scelta del Governo di non permettere il green pass per le discoteche. Cerruti, infatti, spiega a Fanpage che non c’era alternativa, ma solo perché ormai era l’unica opzione possibile, in una catena di scelte sbagliate.
A cura di Francesco Raiola
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Sergio Cerruti, vicepresidente di Confindustria Cultura Italia, ha un'idea precisa sulla scelta del Governo di non permettere il green pass per le discoteche e quindi tenerle chiuse per la stagione estiva. Cerruti, infatti, spiega a Fanpage che non c'era alternativa, ma solo perché ormai era l'unica opzione possibile, in una catena di scelte sbagliate, ma soprattutto nell'ignoranza rispetto alla conoscenza del settore: "Non esiste divertimento di serie A o serie B o meglio non dovrebbe" dice in riferimento alle scelte passate e alle differenze fatte con il settore calcistico.

Cerruti, lei lo scorso anno fu tra quelli che chiesero la chiusura delle discoteche per ragioni di sicurezza. Che ne pensa dell’esclusione delle discoteche dal discorso Green pass?

Lo scorso anno le discoteche furono accusate di essere un punto di contagio, quest’anno sono chiuse eppure è evidente cosa sta accadendo ed è già accaduto… Il vero tema è che al governo non è del tutto chiaro che "l’industria dell’intrattenimento notturno" ha delle sue specificità e il ragionamento si colloca in un più ampio vulnus che riguarda tutto il settore dell’intrattenimento in genere. Decidere a posteriori di non aprire, per quanto discutibile, arriva a valle dei mancati ristori, quindi è evidente che chi di competenza non sa e non fa.

In effetti nel 2020 alcune di quelle serate furono un acceleratore di contagio: in che modo si possono salvaguardare comunque quelle imprese?

Allo stesso modo in cui si salvaguardia il calcio che sembra debba essere costituzionalmente garantito, al contrario dell’intrattenimento. Non esiste divertimento di serie A o serie B o meglio non dovrebbe. Se ci sono protocolli che permetterebbero le riaperture che si applichino, se non ci sono che qualcuno ci metta la faccia…

Qual è il peso di quelle strutture sull’economia dell’intero settore?

Per le discoteche bisognerebbe considerare che in estate anche un chiosco su una spiaggia si trasforma in luogo di aggregazione, per non parlare del fatto che i giovani scelgono alcune mete solo per le loro attività legate al divertimento, quindi si consideri che la musica è turismo di intrattenimento. Immagini quindi che in una economia globale le ricadute economiche sono devastanti non solo sul settore specifico ma anche su tutto l’indiretta, altro punto che i nostri ‘giovani' al governo dovrebbero comprendere.

Lei è vicepresidente in Confindustria cultura Italia ma l’ambiente lo conosce bene, essendo stato un dj, giusto? Che legame ha con quel mondo?

Dj lo si è per sempre, è un po' come il primo amore che non si scorda mai… Grazie all’evoluzione della mia carriera posso considerarmi privilegiato nel poter comprendere i meccanismi del clubbing e allo stesso tempo cercare di portare avanti quell’eredità lasciata dal mio storico partner Claudio Coccoluto, mancato pochi mesi fa, che ha speso un vita a cercare di disinnescare il preconcetto delle discoteche cause di tutti mali (dalle stragi del sabato sera alla droga) e cercando di restituire quella dignità professionale a un lavoro e un"Industria' che come tale – in Italia – non è percepita.

Qual è il peso delle discoteche e dei club nelle discussioni di Confindustria e nel rapporto con il Governo? L’idea, come diceva, è che non sempre si attribuisca a quel mondo – quello che fa ricerca e non solo quello dei grandi nomi strapagati – un reale valore culturale.

Che l’intrattenimento e quindi le discoteche insieme a tutto il comparto delle musica siano cultura non vi è dubbio. Purtroppo all’interno del sistema confindustriale c'è ancora molto lavoro da fare, ma sono fiducioso di riuscire ad evidenziare caratteristiche e valori del nostro settore (tutto) e di conseguenza ottenere quel riconoscimento economico e politico che ormai da troppi anni attendiamo. Rispetto alla seconda parte della domanda mi permetto di dire che neanche gli ingaggi dei calciatori sono “educativi” ma il calcio offre molti spunti di confronto perché prova che volere è potere o il potere è volere…

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