Umberto Palazzo è un’autentica istituzione del rock alternativo italiano, titolare di una carriera che copre ormai trent’anni: esordio con il post-punk degli Aut Aut, poi la psichedelia con gli Allison Run e il garage-punk con gli Ugly Things, quindi l’allestimento del primo organico dei Massimo Volume, infine l’esperienza alla guida del Santo Niente. Storia, quest’ultima, che seppure con un lungo periodo di pausa e alcune vicende parallele (l’appendice strumentale El Santo Nada, un CD da solista), va avanti dal 1993 contaminando fra loro rock per lo più rumoroso/spigoloso e canzone d’autore: due album e un EP nei ‘90 con il marchio del Consorzio Produttori Indipendenti e la benedizione dei C.S.I., il terzo album e un altro EP a metà dello scorso decennio sotto l’egida della Black Candy e ora, fine settembre 2013, un nuovo lavoro, che vista la scaletta di solo sei brani potrebbe essere scambiato per un mini ma che invece, con i suoi quarantuno minuti e mezzo di durata, è a tutti gli effetti la quarta prova sulla lunga distanza della band.
Edito dalla Twelve/Audioglobe e accompagnato da una copertina pruriginosa tanto quanto il videoclip de “Le ragazze italiane” che lo ha preceduto di un mesetto, “Mare Tranquillitatis” mantiene le distanze da ogni tentazione pop, presentandosi come opera impegnata e impegnativa: non proprio ostica, almeno per i frequentatori del rock ruvido e avvolto in atmosfere torbide e cariche di inquietudine, ma certo destabilizzante per chi è abituato a suoni melliflui, versi leggerini, melodie fluide e paracule. Del resto, il chitarrista/cantante e songwriter abruzzese – quarantanovenne per la carta d’identità, ma ben più giovane nello spirito – non è un tipo accomodante, come confermato dalla sua arcinota polemica con la SIAE (arrivò persino a valutare l’ipotesi di una class action) e da altri temi affrontati senza peli sulla lingua su Facebook: lo fosse, invece di denunciare con veemenza il malcostume underground e major si limiterebbe a godere dei tornaconti legati alla sua professione di DJ e lascerebbe ad altri gli sbattimenti e le battaglie contro i mulini a vento. Battaglie combattute anche quando, schierato affinché la dignità del mestiere di musicista fosse calpestata il meno possibile, sbarcava il lunario organizzando e promuovendo concerti ed eventi.
Per lo più sviluppo di riflessioni sulla pittoresca umanità osservata dal pulpito del disc-jockey, i testi di “Mare Tranquillitatis” non lesinano in suggestioni esplicite e un po’ morbose, amalgamandosi alla perfezione con sonorità fosche e taglienti che spesso deviano verso soluzioni in odore di psichedelia magmatica, molto più vicina agli incubi del krautrock che alle colorate fantasie della West Coast. E se il piglio ossessivo del singolo “Le ragazze italiane” mostra analogie con quello degli Afterhours epoca “Quello che non c’è”, il resto della scaletta sembra rimandare ai Massimo Volume, per le trame ipnotiche e soprattutto per la scelta di preferire la declamazione al canto convenzionale. Al di là degli eventuali raffronti, a emergere con chiarezza sono lo spessore e il carattere di un progetto vivo e intrigante, ora affrancatosi dall’irruenza r’n’r del passato a favore di un’espressività maggiormente complessa e insinuante, basata su stimoli più cerebrali e intellettuali che non fisici. Non potrebbe essere altrimenti, forse, considerando il singolare approccio poetico e l’uso di un apparato strumentale dove chitarra, basso e batteria si amalgamano con elettronica, sax e trame acustiche. E pazienza se si tratta di una formula che, dalle nostre parti, non farà guadagnare il paradiso (?) del successo su vasta scala.
Guarda il video di "Le ragazze italiane"