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Dente: “Mi sono arreso ai miei limiti e ho raccontato come si cambia”

Si chiama come lui, “Dente”, l’ultimo album del cantautore che in questi ultimi anni ha segnato il percorso del cantautorato italiano. Un album che ha come filo conduttore il cambiamento, appunto, che si legge nei testi che ha scritto, ma anche in un nuovo approccio sonoro che coincide con un cambiamento nella scrittura.
A cura di Francesco Raiola
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Dente (ph Ilaria Magliocchetti Lombi)
Dente (ph Ilaria Magliocchetti Lombi)

Quando metti su "Anche se non voglio" non penseresti mai che a un certo punto parta la voce di Dente. Quella voce impossibile da dimenticare, che ha accompagnato il cantautorato italiani in questi ultimi anni. Giuseppe Peveri, infatti, è uno dei principali fautori di quello che possiamo racchiudere dentro l'etichetta di nuovo cantautorato italiano, ma visto che le etichette lasciano il tempo che trovano, è stato lui stesso a voler tentare un po' di soluzioni nuove. Per questo ha mollato la chitarra acustica e ha scritto le canzoni al pianoforte, strumento che non maneggia alla perfezione, ma che gli ha permesso di vedere le cose con uno sguardo diverso, di tornare ad alcune soluzioni più semplici. E non è un caso che il cambiamento sia un po' il fil rouge che lega tutto il suo ultimo album che si chiama semplicemente "Dente", come ci spiega il cantautore, raggiunto via Skype.

In una diretta di qualche giorno fa hai detto: "Ho cambiato il mio approccio con la musica, ho capito che il passato non è per forza più bello, ma è diverso". Partiamo da questa riflessione che, per quanto ho capito, è stata una bella svolta nel tuo modo di approcciarti alla musica?

Quella cosa che ho detto è vera e l'ho sempre saputa in relazione a me. Ho sempre pensato che la musica del passato forse migliore, fosse fatta meglio e con più cuore, che suonasse meglio, ecco. Però, al contempo, mi sono sempre lamentato di quelli che dicevano ‘Bravo, bravo', pacche sulla spalla ‘Eh, però De Andrè, però De Gregori, Venditti, dove vuoi andare?'. Quindi ho sempre vissuto questa cosa strana, benché anche io fossi un po' convinto che come si facevano le cose prima era meglio, non fosse altro che le cose di un tempo mi piacevano di più di quelle attuali.

Poi qualcosa è cambiato, che è successo?

Oggi ho scoperto anche che ci sono cose contemporanee che mi piacciono, ascolto molta più musica contemporanea oggi di qualche anno fa, sono tornato ad ascoltare la musica del mio tempo, come facevo quando ero più giovane e ascoltavo la musica dei miei contemporanei. Tornando ad ascoltare i miei contemporanei e a trovarci delle cose interessanti. Tra l'altro se guardi i giovanissimi che fanno musica, a loro non interessa più a quello che c'è stato prima, non gliene frega niente di cosa c'è stato, noi invece abbiamo sempre avuto questo mito del passato da riverire. E se fossi veramente vecchio dentro direi ‘Ah questi giovani che non gliene frega niente dovrebbero studiare', invece, non essendo vecchissimo, dico che questa cosa è una fortuna perché solo in questo modo si riescono a fare le cose davvero nuove e diverse.

E a proposito di cambiamenti, il tuo album ne è pieno. Qual è stato il momento in cui hai capito che volevi dare una svolta?

Non c'è stato un momento preciso, è stata un'evoluzione. Ho cominciato a lavorare a questo disco tanto tempo fa, ho cominciato a scrivere delle canzoni, qualcuna l'avevo scritta ai tempi di "Canzoni per metà" e le avevo tenute lì: le avevo fatte come sempre, create in casa col computer facendo i miei arrangiamenti. Facendole sentire, però, mi rendevo conto che ho dei limiti, e avrei fatto un disco molto simile a tutto quello che avevo fatto in precedenza, quindi ho capito che da solo non ce l'avrei fatta a fare un cambiamento tecnico, ho pensato che avevo bisogno di qualcuno che prendesse le canzoni, le togliesse il mio modo di vedere la musica e le vestisse in un altro modo. Farlo, ovviamente, è molto difficile se vuoi mantenere forte la tua identità: io non volevo stravolgere la mia musica, fare una cosa completamente diversa, che potesse lasciare interdetto chi mi conosceva. Volevo che, ascoltando un pezzo mi si riconoscesse, anche con un vestito diverso addosso. Quello che ho capito è stata la scintilla che mi ha fatto capire cose, poi per arrivare a quello che sentite voi ci sono state un album in mezzo e un po' di cose.

C'è un bel cambiamento anche sonoro nell'album, ma comunque, appunto non perde la tua impronta…

Per me è un grandissimo cambiamento, so quello che c'è stato dietro, so quello a cui ho rinunciato, le sofferenze che ho patito per farlo, quindi per me questo disco suona in maniera diverso. Un'altra cosa che ho scoperto è che la gente valuta le canzoni in belle e brutte, che è una cosa di una semplicità disarmante ma verissima. Quando ho pubblicato il primo pezzo, "Anche se non voglio" ero agitato, mi chiedevo cosa la gente potesse dire di questo suono diverso, senza chitarra acustica, tutto un po' sintetico, "mi diranno peste e corna", invece mi hanno detto "bel pezzo".

La scelta di mettere le cose in mano a Cantaluppi come è venuta? 

Per quanto riguarda la produzione Matteo Cantaluppi è arrivato in seconda battuta, all'inizio ho fatto tutta la pre-produzione con Federico Laini a Bergamo nel suo studio, dove abbiamo creato l'idea degli arrangiamenti, la scelta di togliere la chitarra acustica, di utilizzare certe cose, di scrivere le batterie al computer invece di farle suonare a qualcuno, con un approccio più contemporaneo. Che poi è una cosa che io non sono capace di fare, non sarei stato in grado di fare, invece Federico è molto veloce a fare questa cose ed è bravo e in due mesi e mezzo abbiamo costruito tutto il disco. A quel punto siamo andati da Matteo (e da Ivan Rossi) dove abbiamo registrato tutti gli strumenti veri, perché è tutto vero quello che si sente. Avendo reinventato un po' il pop in Italia e avendo una concezione diversa dalla nostra, Matteo è più capace di dirci di togliere frequenze e insomma è più tecnico in certe cose. Fermo restando che è un artista, ed è un bravissimo musicista, un bravissimo batterista.

Parlavamo di cambiamento, io pensavo a "Non te lo dico", "La mia vita precedente", pure “Anche se non voglio”  C'è stato anche un cambiamento nello scrivere, me ne parli?

La scrittura è cambiata sicuramente nello strumento che ho utilizzato principalmente per scrivere questo disco, ovvero il pianoforte. La composizione delle melodie, anche di voce, degli accordi usati è sicuramente diversa, perché sono un neofita del pianoforte, quindi anche il lavoro in sottrazione mi è stato utile. Ho fatto delle cose che con la chitarra non avrei fatto perché le avrei trovate troppo semplici, nonostante non sia neanche un chitarrista grandioso. "Adieu" è una canzone fatta di tre accordi semplicissimi che con la chitarra non avrei mai scritto, e quindi mi è stato molto utile per cambiare punto di vista. Poi c'è che questa è una selezione di undici canzoni su 25 totali che ho scritto e che ho scelto perché ognuna parlava di un aspetto di me, c'è una canzone che parla del mio passato, una del futuro ipotetico, c'è la canzone d'amore attuale etc. "Anche se non voglio" è un po' il biglietto da visita, di me che mi interrogo sul come mi vedono gli altri: esattamente come le canzoni, che per me sono una cosa e per chi ascolta sono altre, così è anche per le persone, per te sono qualcuno, per mia madre sono un'altra cosa e per me stesso sono un'altra cosa ancora, è un po' chiedersi chi siamo veramente.

"Sarà la musica a cambiare il mondo l'hanno detto oggi alla tv". In che modo la Cultura ti ha aiutato nella vita?

Per me è sempre stata importantissima e la musica mi ha salvato la vita, proprio da ascoltatore, quando da ragazzino ho cominciato ad ascoltarla, tanti anni prima di cominciare a suonare. Penso che la Musica e l'Arte in generale possano fare dei miracoli, possano salvarti la vita perché ti fa capire che esistono cose a cui non stai pensando, ti fa riflettere tanto. A me ha fatto scegliere delle strade, non so neanche spiegarti bene perché e nel fare musica ho trovato una valvola di sfogo, tenermele dentro sarebbe stato difficile. Dico spesso che scrivere una canzone, in cui tiro qualcosa fuori, è sempre meglio che tirare pugni al muro, faccio meno male a me stesso e al muro.

Perché secondo te ce ne accorgiamo così poco in tempi normali?

Forse perché oggi abbiamo meno cose a cui pensare, benché l'Arte c'è sempre, anche se non ce ne accorgiamo. Così come non ci accorgiamo di quanto è bella la città in cui viviamo se non ci fermiamo a guardarla, quanto è importante la persona che abbiamo di fianco finché non ci fermiamo e ci ragioniamo su, forse siamo sempre troppo di fretta per pensarci e le diamo per scontate. Forse questo momento qua potrebbe essere utile per accorgerci di cose di cui solitamente non ci accorgiamo.

“Ma non ti preoccupare non la sentirà nessuno, i cantautori non vendono più…” cantavi in “Canzoni per metà”, che è chiaramente il motivo per cui hai mollato la chitarra acustica, no?

[ride] Quella è sempre stata una battuta, in realtà da quando ho pubblicato quella cosa i cantautori hanno cominciato a vendere, quindi vuol dire che non ci ho capito un cazzo.

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