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Daniele Silvestri senza rete: “Acrobati” è il suo capolavoro?

È appena giunto nei negozi l’ottavo album di uno dei più ispirati e originali protagonisti della canzone d’autore italiana. È un artista di successo, ma l’impressione è che di lui si parli meno di quanto meriterebbe.
A cura di Federico Guglielmi
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Daniele Silvestri (foto di Daniele Barraco)
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Daniele Silvestri, classe 1968, ha pubblicato il suo primo album – omonimo – quasi ventidue anni fa. Era il 1994 e a Roma stava già esplodendo la scena cresciuta ne Il Locale, piccolo club a due passi da Piazza Navona dove ogni sera si beveva, si cazzeggiava, ci si divertiva ma, soprattutto, si suonava. Per circa un lustro è stato un polo di aggregazione come pochi altri ne sono esistiti nella Capitale, pieno di personaggi – non solo musicisti, ma creativi in diversi ambiti – che stavano inconsapevolmente gettando le basi per un futuro di successi. Giorgio Baldi, uno dei fondatori di quel luogo sul quale oggi si raccontano storie e leggende, è il chitarrista storico di Max Gazzè. E Gazzè era sempre nei nemmeno duecento metri quadri di Vicolo del Fico, così come Niccolò Fabi, Riccardo Sinigallia, Frankie Hi-Nrg, Federico Zampaglione; nonché Silvestri stesso, che a un certo punto ne divenne addirittura socio. Curiosamente, nella scheda di Wikipedia su Silvestri, né in quelle di altri protagonisti della pur importante vicenda, dell’epopea de Il Locale non ci sono tracce. Nel caso di Daniele, però, può esistere una giustificazione sensata: gli eventi di cui render conto sono molteplici, e quindi la questione può reputarsi marginale.

Ecco, magari passerò per pazzo, ma ci tengo a mettere nero su bianco un concetto: credo che pochi cultori della musica italiana, sia fra gli appassionati, sia fra i miei colleghi, abbiano reale percezione della quantità di cose fatte da Silvestri in questi ventidue anni di carriera ufficiale. Non l’avevo nemmeno io, l’effettiva percezione, e scorrendo il lunghissimo elenco di dati sono rimasto basito. Sì, ok, ovviamente sapevo che aveva partecipato parecchie volte al Festival di Sanremo, che aveva raccolto riconoscimenti, che aveva firmato delle colonne sonore, che lavorava nel teatro e che si è prestato volentieri al sostegno di molte ottime cause, ma… insomma, trovandoselo davanti, il curriculum fa paura. E questo mi fa pensare che, nonostante i riscontri di notevole rilevanza, la fama di Silvestri sia inferiore al giusto, come se si desse per scontato che lui è brillante, eclettico e iperattivo e, quindi, non ci si soffermi più di tanto ad analizzare e commentare le sue mosse artistiche… perché tutto ciò che combina senza soluzione di continuità è “normale”. Mi sa che ci sono caduto persino io, dato che nel mio archivio sono presenti varie recensioni ma, incredibile, nessuna intervista. Troppo bravo e troppo “speciale”? Può darsi, come rimarca una produzione in fondo non estesissima – gli album di studio a suo nome sono otto, non contando le antologie e il fortunatissimo “Il padrone della festa” in trio con i vecchi amici Fabi e Gazzè – ma di grande qualità. Canzoni di sostanza, le sue, benché assai spesso di appeal immediato; personali e quindi subito riconoscibili, perfette nel correre, senza trasmettere la sensazione dell’ambiguità, sulla linea di confine fra colto e popolare.

Lo scorso venerdì è uscito il suo nuovo capitolo discografico, a quasi cinque anni da “S.C.O.T.C.H.”. Si intitola “Acrobati”, ha una bellissima copertina disegnata da Paolino De Francesco in piena sintonia con i contenuti ed è il (secondo) più imponente finora pubblicato dall’artista romano: la bellezza di diciotto brani, vivacizzati dagli interventi di un plotoncino di ospiti significativi (Caparezza, Dellera, Diego Mancino, Diodato, Funky Pushertz), che spaziano fra le soluzioni stilistiche più disparate in un fluire comunque coerente di trame strumentali, parole, atmosfere, colori. A parere del diretto interessato, è un’opera più “poetica” che “politica” e si può essere d’accordo, ma va da sé che un po’ ovunque affiorano quei “messaggi” che per Daniele sono da sempre imprescindibili, con buona pace di quanti associano il “pop” all’assenza di spessore; sono globalmente un po’ meno espliciti ma ci sono eccome, intrecciati agli altri elementi – intimismo, ironia, attenzione per i dettagli – che rendono tutti gli album targati Silvestri autentiche miniere di stimoli e suggestioni profusi con leggerezza. Senza nulla voler togliere ai predecessori, “Acrobati” è forse la testimonianza più attendibile del talento di questo funambolo della nostra canzone d’autore. E la più omogenea, a dispetto delle mille sfaccettature e della genesi più che avventurosa fondata su appunti fissati su un iPhone.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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