Da Sylvestre ai Soul System, quel pezzo di Italia (musicale) raccontato solo dai talent
Si chiama "Effetto Underdog", il fenomeno per cui, quando in una competizione c'è un personaggio forte, il pubblico comincia a parteggiare per quello più debole, facendogli fare un rimbalzo importante. Potrebbe essere, questa, anche una delle letture per analizzare la vittoria dei Soul System nell'ultima edizione di X Factor: la storia dei perdenti, dati per perdenti, che si ritrovano tra le mani la vittoria finale. Lo sa bene Alvaro Soler che se li è ritrovati in squadra senza volerli, dopo avergli preferito i Jarvis che poi hanno deciso di ritirarsi dando ai social un argomento per ironizzare e, soprattutto, alla band soul-funk una seconda possibilità che hanno saputo cavalcare e sfruttare al meglio, conquistando il pubblico con il loro suono black, che da sempre è un pezzo importante nel mondo musicale – soprattutto anglofono, ovviamente -, ma che in Italia non ha mai avuto enorme successo. Eppure…
Non solo pop mainstream
Eppure in questi ultimi anni pare che un pezzo di talent si stia spostando sempre più dal pop preconfezionato – Ruggeri docet -, a cui siamo abituati e che da anni domina parte della classifica e dell'Airplay italiano; un pezzo che forse non è sempre vincente ma forse è un segnale importante che il pubblico di quei programmi dà in maniera sempre più forte. Ci sono stati i Kolors, Madh, ma è soprattutto in questi ultimi mesi che si è visto questa prevalenza e così la vittoria dei Soul System fa il paio con quella di Sergio Sylvestre nell'ultima edizione di Amici. Non sfuggirà e non è sfuggita neanche la lettura sociologica, con questi artisti di colore, italiani o, ormai, super integrati, che danno un ceffone musicale a tutte le istanze conservatrici che muovono una parte del Paese. Un Paese che a un certo punto preferisce il ritmo del funk, il calore del soul alle vocine educate e agli arrangiamenti tra la dance e la plastica.
Nessuna rivoluzione, ma piccoli cambiamenti
Insomma, sia chiaro, qua non c'è alcuna rivoluzione in corso, è bene dirlo, i talent sono talent, ovvero programmi che lanciano artisti stagionali che poi devono cercare di lottare con tutte le proprie forze per non scomparire, eppure il giudizio del pubblico pare indirizzarsi verso orizzonti che i discografici potrebbero tenere in considerazione. L'heavy rotation plasma il gusto della massa, non è una novità, quindi se nell'heavy rotation cominciano a introdursi anche piccoli virus, qualcosa può modificarsi, soprattutto in un mondo musicale che vede i Drake e le Beyoncé dominare i gusti mondiali. Si possono mantenere le sonorità autoctone, come ha dimostrato il "nuovo" pop di gruppi come Thegiornalisti ed Ex Otago, che pescano a piene mani nella nostra tradizione, e si possono innestare anche suoni nuovi, come è normale che sia in una società che si fa sempre più multietnica, alla faccia delle barriere fisiche e mentali.
Un Paese che cambia sotto i nostri occhi
I Soul System, infatti, cantano in inglese – cosa che ormai sta prendendo sempre più piede – e per quattro quinti sono formati da artisti di origini ghanesi, vissuti tra Verona e Brescia, che si sono conosciuti vivendo le loro comunità d'origine e sono musicalmente cresciuti mescolando soul, R&B e hip hop. Portare quel mondo in un programma come X Factor non è sempre facilissimo, benché dovrebbe esserne la patria per antonomasia, ma tant'è, perché in Italia il soul è bianco, il rap è bianco, insomma è tutto bianco, più WASP che SWAG, per dire, e così ci ritroviamo a rimanere a bocca aperta quando arriva Bello FiGo, anche lui italiano di origini ghanesi, a prenderci un po' in giro, giocando con gli stereotipi del rap e dell'immigrato e ci ritroviamo un americano – ormai salentino – a vincere Amici. Non so se i talent siano lo specchio del Paese o di quale percentuale, ma i fatti stanno là, almeno da guardare, se interpretarli è un rischio troppo alto.