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Contro razzismo e ipocrisia: va a “L’uomo nero” di Brunori il Premio Amnesty International 2018

L’involuzione dell’essere umano, il razzismo e l’ipocrisia cantata da Dario Brunori ne “L’uomo nero” hanno vinto il Premio Amnesty International 2018.
A cura di Redazione Music
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Come ogni anno Amnesty International ha reso noto il nome della canzone vincitrice del Premio che ogni anno l'organizzazione assegna, assieme all’associazione culturale Voci per la Libertà per premiare il migliore brano sui diritti umani pubblicato nel corso dell’anno precedente. Questa volta la vittoria è andata a Brunori Sas, il cantante calabrese uscito lo scorso anno con l'album "A casa tutto bene", il quarto per lui che ha voluto indagare, con la sua classe e ironia, il mondo attorno a lui, e che conteneva anche "L'uomo nero", canzone vincitrice per questo 2018. Su queste colonne, anticipando questa vittoria, il critico musicale Federico Guglielmi la descriveva così: "Il massimo della forza comunicativa è in ‘L’uomo nero', garbatamente feroce fino all’impietoso nel denunciare le derive sociali figlie della più becera intolleranza, e non riesco a immaginare cosa mai potrebbe essere pubblicato, di più bello e intenso, per contenderle il Premio Amnesty International Italia che ogni anno viene assegnato alla miglior canzone che affronta il tema dei diritti umani".

Il significato de L'uomo nero

La canzone di Brunori è un ritratto del razzista, di quell'uomo medio e ignorante "che si nasconde dietro a una finta ideologia, tutto d'un pezzo, ma solo quando le cose riguardano gli altri": "Hai notato che parla ancora di razza pura, di razza ariana, ma poi spesso è un po' meno ortodosso quando si tratta di una puttana" canta Brunori, che verrà premiato a Rosolina Mare (Rovigo) domenica 22 luglio, nel corso della serata finale della 21a edizione di ‘Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty’, festival che si terrà dal 19 al 22 luglio. La canzone, quindi, è una riflessione amara su quello che in questi ultimi anni sta accadendo quando si tratta di stranieri e sicurezza, e sull'ipocrisia di chi urla e sbraita senza avere reale conoscenza di alcuni fenomeni, stigmatizzandoli, però, solo quando non riguarda se stessi: "Mai come oggi, ‘L'uomo nero’ assume un significato speciale per me. Nello spettacolo teatrale che sto portando in giro, è il pezzo che più mi emoziona cantare, un'emozione e una tensione che avverto forte anche nelle persone che ho di fronte ogni sera. Eppure all'epoca ho avuto difficoltà ad affrontarlo perché, visto il tema, era facile cadere nella retorica anacronistica del cantautore militante, in un’invettiva scontata contro il dilagare di nuove forme di intolleranza, contro le piccole e grandi derive xenofobe degli ultimi anni. In realtà non mi interessava tanto parlare del fenomeno in sé, quanto del fenomeno in me, come diceva qualcuno. Il fuoco del pezzo sta tutto nell’ultimo verso: ‘Io che sorseggio l’ennesimo amaro, seduto a un tavolo sui Navigli, pensando in fondo va tutto bene, mi basta solo non fare figli… e invece no’" ha dichiarato il cantante.

Il clima pessimo dei diritti umani in Italia

C'è molta amarezza, come spiega lui stesso, nel dipingere "la condizione di un uomo che si chiede cosa è giusto fare di fronte a un’apparente involuzione dell’essere umano, al ritorno di fiamma di visioni ideologiche e morali che ci piacerebbe pensare morte e sepolte". Brunori ha battuto altre belle canzoni come “L’uomo che premette” di Caparezza, “Deserto” di Clementino, “Gli anni del silenzio” dei Decibel, “Ora d’aria” di Ghali, “Affermativo” di Jovanotti, “Stelle marine” delle Luci della centrale elettrica, “Socialismo tropicale” dello Stato Sociale, “Vietato morire” di Ermal Meta, “Stiamo tutti bene” di Mirkoeilcane: "I diritti umani sono una questione di comportamenti, di regole, ma anche, e forse ancora prima, di clima. Il clima di oggi è pessimo. Di questo clima parla la canzone di Dario Brunori. E del veleno che contamina la vita pubblica e la convivenza civile. E di un’idea, l’idea aberrante del ‘noi contro gli altri’: contro gli altri che, essendo diversi da noi, fanno paura, sono una minaccia da tenere a distanza, da cui difendersi, possibilmente da eliminare" come ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia.

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