Il nome è sicuramente di culto, ma quanti conoscono la storia dell‘underground italiano lo collegheranno subito ai prodromi di quello che all‘epoca si definiva “nuovo rock”. Nel lontano 1980, infatti, fu l'omonimo esordio del Confusional Quartet a inaugurare la produzione in formato LP della Italian Records, l‘etichetta bolognese che diede un imprescindibile impulso – il recentissimo libro “No Input, No Output” edito dalla Sonic Press è in tal senso più che esplicativo – allo sviluppo della new wave di casa nostra. Nella città delle due torri operava anche la band composta da Enrico Serotti (chitarra), Marco Bertoni (tastiere), Lucio Ardito (basso) e Gianni Cuoghi (batteria), che frequentava la stessa, vivacissima scena di Skiantos e Gaznevada ma che vantava caratteristiche parecchio singolari: i ragazzi suonavano musica solo strumentale, non si facevano problemi a dichiarare attinenze ideali con il jazz (all‘inizio si chiamavano Confusional Jazz Rock Quartet: più esplicito di così), amavano i Devo al punto di indossare tute industriali identiche fra loro, benché bianche e non gialle, e avevano come principale cavallo di battaglia una geniale cover di “Nel blu dipinto di blu”, il celeberrimo brano di Domenico Modugno conosciuto dai più come “Volare”. Adorati da alcuni e incompresi da molti, si sciolsero non molto dopo, lasciando solo poche altre tracce del loro sound incalzante, nervoso e futuribile. Poi, quattro anni fa, l‘inatteso ma graditissimo ritorno, concretizzatosi in due album: uno fondamentalmente di prova, “Italia Calibro X” (Ansaldi, 2011), e l’altro ufficiale a tutti gli effetti, l‘eccellente “Confusional Quartet” (Hell Yeah, 2012).
La notizia delle ultime settimane è che il Confusional Quartet – adesso con Claudio Trotta al posto del dimissionario Cuoghi – sta per pubblicare un nuovo lavoro, certo il più atipico di una carriera già tutt‘altro che convenzionale. Uscirà per la Expanded Music, in vinile e CD, il 22 maggio, e certifica il particolarissimo incontro fra il gruppo emiliano e Demetrio Stratos, l‘indimenticato e indimenticabile frontman di quegli Area nei quali sono in tanti a vedere la massima espressione del rock italiano – si perdoni l‘espressione maledettamente riduttiva – di ogni tempo. Scomparso trentaquattrenne il 13 giugno 1979, Stratos è stato uno straordinario sperimentatore delle infinite possibilità dello strumento-voce, come dimostra soprattutto la sua purtroppo esigua eredità solistica. Proprio una performance da lui tenuta a Bologna nel febbraio del 1979 e le relative prove hanno costituito la base di partenza di “Confusional Quartet Play Demetrio Stratos”, la cui copertina minimalista rimanda, coerentemente, al jazz e all‘avanguardia. Quanto accadde sul palco del Teatro San Leonardo venne fissato su nastro dal sound engineer e produttore Gianni Gitti, che in seguito avrebbe lavorato molto strettamente con il Quartetto, e archiviato per trentacinque anni, fino all‘intuizione di recuperarlo ed elaborarlo in studio costruendoci attorno nuove composizioni. Una scelta coraggiosa e ricca di stimoli che, a scanso di equivoci, ha trovato pieno appoggio nella moglie di Stratos, Daniela Ronconi Demetriou, per un risultato nel quale interagiscono “sperimentazione e razionalità, improvvisazione e scrittura rigida, riflessione ed azione”. Il "disclaimer" è del Confusional Quartet, ma potrebbe tranquillamente essere un vecchio slogan degli Area.
In “Confusional Quartet Play Demetrio Stratos” sfilano tredici tracce per una durata totale di circa tre quarti d'ora. Aprono la scaletta la brillante rivisitazione di “Cometa rossa” (da “Caution Radiation Area”, 1974) e una “Manifest'o” che vuole essere un tributo all‘opera del co-protagonista del disco. Il resto del programma segue linee musicali ondivaghe ma non dispersive, all'insegna di una commistione di stili dove gli scarti bruschi convivono con le melodie fluide, i momenti un po‘ spiazzanti con quelli piacevolmente evocativi, i ritmi concitati con le atmosfere dilatate, il tutto punteggiato dagli interventi guidati attraverso le macchine di una voce aliena ma non respingente. Una sorta di colonna sonora nella quale affiorano anche elementi vicini al pop e che, comunque, non si rivela mai davvero ostica, dispensando al contrario suggestioni intense e godibili: nessuno stupore, insomma, che suoi estratti accompagnino un cortometraggio, realizzato dalla Movie Movie di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, che sarà proiettato durante le prossime esibizioni della band. Non un‘operazione nostalgica, dunque, né tantomeno una versione alternativa di quelle grottesche speculazioni necrofile care alle major: qui dominano purezza di intenti e creatività. E Demetrio Stratos, ovunque sia, starà sorridendo compiaciuto.