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Con Alternaïf i Pipers si spostano dall’Inghilterra agli Usa: “Vogliamo parlare a tutti”

I Pipers so o una delle espressioni folk pop più interessanti del Paese, in grado di partire da Napoli per spostarsi oltre i confini nazionali, prima guardando all’Inghilterra e poi agli Usa. Li abbiamo intervistati per capire meglio il loro ultimo Alternaïf.
A cura di Francesco Raiola
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Pipers (credit foto: Lorenza de Marco)
Pipers (credit foto: Lorenza de Marco)

Con Alternaïf, il terzo lavoro dei Pipers si definisce il ponte di ispirazione che li ha portati dall'Inghilterra all'America, mantenendo sempre la chiave folk pop e una capacità di scrittura che fa di Stefano Bruno e Stefano De Stefano, frontman della band, due musicisti che sono riusciti a farsi spazio anche al di fuori dei confini nazionali, giocando a viso aperto fuori casa e riuscendo a mantenere una coerenza di fondo che non si riduce a un reiterarsi, anzi, l'evoluzione è continua e in questo album ad esempio la si vede nella voglia di metterci un po' di elettronica che non è mai invadente ma accompagna, appunto, il loro discorso musicale, aiutandolo a crescere. Abbiamo fatto due chiacchiere, via mail, proprio con De Stefano che ci ha aiutato a capire meglio il senso di questo lavoro.

“When You Come” comincia con “Every line I write is for you dear” che sembra un po’ un riassunto perfetto per descrivere quello che c’è in Alternaïf: un lui, una lei e la musica che in qualche modo li unisce. L’amore sembra senza dubbio il fil rouge che lega queste canzoni, il motore che ti spinge. Una sfida continua, non è semplice riuscire a scrivere un album d’amore senza cadere, qualche volta, in fallo. Come ti poni verso il materiale che vuoi plasmare e in che modo ci lavori?

Questo nuovo disco non parla di amore o meglio non parla solo di quello. Si concentra più che altro sulle dinamiche di rapporti che si instaurano e più livelli tra le persone. Si parla sicuramente di storie passate e riflessioni scaturire da eventi passati, ma più in generale il focus della scrittura è posto sullo specchio ampio di colori emotivi che il semplice vivere la vita offre.

Alternaïf mi piace, mi colpisce l’unione tra il termine alternativo e quello naïf che si attribuisce alle persone “semplici”. Come mai questo termine (neologismo?) per descrivere un album come questo?

Il titolo della canzone si riferisce più che altro alla scrittura e gli arrangiamenti delle canzoni. Un approccio naif che rimanda a semplicità e purezza delle forme, che in questo momento può risultare una alternativa rispetto a quello che sta proponendo il mercato indie italiano, molto improntato sull’elettronica.

Tutto quello che fai e che avete fatto in passato ha un suo grande comune denominatore: l’Inghilterra. Come nasce questa tua passione?

In realtà abbiamo spostato l’asse dall’Oltremanica e all’oltreoceano. È stato un cambio naturale e dettato dagli ascolti che con il tempo sono necessariamente cambiati. Si cresce e si assorbono nuove suggestioni che poi diventano output presumibilmente più personali. Non so spiegare perché da sempre ho avuto l’orecchio più teso a suoni stranieri piuttosto che italiani, forse perché mi danno la sensazione di poter parlare idealmente a tutti.

Un motore che avete usato anche per allontanarvi un po’ questa volta, esplorando sonorità pop/folk americane o sbaglio? Mi dici anche cosa hai ascoltato mentre scrivevi queste canzoni?

Come ti dicevo prima, ho ascoltato cose un po’ diverse da quelle che ero solito preferire intorno al 2010. Glen Hansard, Band of Horses, Ryan Adams, William Fitzsimmons e Iron & Wine per esempio.

Ne hai esplorato le varie sfaccettature, pur restando nel colco del cantautorato e del folk pop. In quest’album se ne trovano alcune, penso a cose che guardano più ai classici degli anni ’90, ma anche pezzi in cui si ritrovano i vecchi Mumford & Sons, per dire. Cosa ti influenza e come cerchi di rileggere quella tradizione?

Non sono un grande fan dei Mumford a essere sincero, ma ho amato il primo disco e le accordature aperte. Al momento mi influenza molto un discorso di sottrazione più che della band o artisti in particolare. Less is more. Sono molto affascinato dall’idea di fare già un nuovo disco super spoglio e minimale ma con al centro delle canzoni che siano le migliori mai realizzate finora.

Tra l’altro in quest’album c’è anche un po’ di elettronica che, a dire il vero, non è mai invadente…

È merito dell’altra parte dei Pipers cioè Stefano Bruno, che da sempre si aggira tra suoni anni 80, sintetizzatori e tastiere varie. È lui che ha prodotto il disco e gli ho dato carta bianca nel realizzare l’opera. Sono molto fiero di lui, è un produttore molto ispirato.

Anche per quest’album avete guardato all’estero per quanto riguarda gli aspetti ‘strutturali’, questa volta siete andati a masterizzarlo a Seattle, con Ed Brooks, come mai questa scelta?

Perché volevamo fare un mastering adatto a lavori acustici e con una patina vintage e lo-fi allo stesso tempo. Ho fatto una ricerca e alla fine ho scelto lui perché ha masterizzato diversi dischi che avevo consumato in passato e che vedevo come possibili riferimento a questo terzo lavoro.

Tu hai suonato molto in Inghilterra e hai aperto/collaborato con personaggi importanti. Come è visto un italiano che cerca di farsi spazio a quelle latitudini?

Sono molti i progetti italiani che girano all’estero oggi ed è un bene. Siamo visti con rispetto e con quel pizzico di tocco esotico che sembra piacere. Personalmente voglio migliorare ancora alcune cose specifiche relative alle esibizioni estere e già nei prossimi mesi avrò l’occasione di farlo visto che sarò in Germania, Lussemburgo e Francia.

Senti, invece da queste parti come va? Ho l’impressione che a parte il rap e un pezzo di elettronica, la scena locale (pop/rock/folk) faccia un po’ fatica a farsi notare. Mi sbaglio?

Parliamo di Napoli? Beh c’è una scena molto local che si è radicata e che ha fatto scudo attorno all’unica etichetta presente. Molti hanno scelto di passare alla lingua vernacolare assecondando un trend che sta dando comunque i suoi frutti in termini di risposta che di qualità. Ognuno fa le proprie scelte e va bene così. Personalmente non sento di appartenere a nessun posto in particolare.

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