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Com’è questa canzone di Morgan e Panella di cui tutti parlano

Come suona Sì, certo l’amore, la nuova canzone di Morgan, in collaborazione con Pasquale Panella, uscita a ridosso dell’esclusione del cantante da X Factor.
A cura di Federico Pucci
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Nei tempi in cui i numeri di vendite non erano certificati da enti terzi, e la popolarità di una canzone si misurava universalmente tastandone la presenza nella società, correva un adagio. Lo si poteva sentire in particolare nei giorni del Festival di Sanremo (Enrico Ardù lo scrisse sull’Unità nel ‘55), e circola ancora oggi: “se la fischiettano il giorno dopo, sarà un successo”. Cioè, la melodia vince su tutto. Eppure, si potrebbe dire che la musica pop di oggi non faccia grandi sforzi per imprimerci nella memoria le sue topline: certo, la ripetizione è efficace, e allora ecco uno, due, tre ritornelli per ribadire ciò che viene cantato dall’artista; e il mix mette la voce talmente in primo piano da non fare quasi caso a tutto il resto. Molto meno frequente, oggi, è un’altra tecnica per rendere memorabile un motivetto: costruirci intorno l’accompagnamento strumentale della canzone. Insomma le discendenti di (I Can’t Get No) Satisfaction e le cugine di Seven Nation Army oggi latitano. Ma Morgan non fa le cose come tutti gli altri, e anche se forse non farà il giro degli stadi, la sua nuova canzone Sì, certo l’amore confida ancora nel valore di un motivo strumentale.

Già il titolo del brano, Sì, certo l’amore, sembra un riff. Di fatto, è l’unità minima di senso del testo scritto da Pasquale Panella, la pulce nell’orecchio sparsa sull’intero discorso amoroso. Così nasceva, in effetti, la collaborazione tra il cantautore e il paroliere: sulla pagina del volume Parole d’amorgan, pubblicato lo scorso anno, il primo elargiva i suoi leziosi e decadenti madrigali sull’amore, e il secondo li commentava in versi. Tra cui proprio questo, primo estratto da quello che sarà l’album … E quindi insomma ossia.

“Sì, certo l’amore” è un riff prima di tutto perché ritorna: “Sì, certo l’amore ha spesso poco tempo per amare e molto per non amare più” dice la prima sezione del brano, che funge da refrain; “Sì, certo l’amore ha tanto tempo da perdere e in mezzo al tempo ha noi coinvolti come il tovagliolo nel suo anello”, ribadisce la seconda sezione, che getta un ponte tra i ritornelli. Anche ritmicamente, c’è una musicalità in quelle parole distribuite in un esametro composto (uno spondeo, un pirrico e un trocheo, per gli appassionati di prosodia greca che ci leggono): a metà strada fra la tragedia greca e Money dei Pink Floyd, spunta il nucleo metrico di un riff. E così, dopo una breve e quasi impercettibile introduzione strumentale, la canzone irrompe con un quasi-unisono del basso elettrico e della voce di Morgan.

L’effetto di questo raddoppiamento è la creazione di un ritmo a sé stante, che salta in avanti: seguire il 4/4 della batteria, a questo punto, diventa quasi impossibile. Un effetto simile, ma con un passo molto meno accelerato, si sente nell’interplay tra la base e la voce di Sister Midnight di Iggy Pop – del resto mi pare che Morgan debba molto tecnicamente al bassista di quella traccia, George Murray.

Se una canzone si incentra sul riff, non solo la ritmica ma anche l’armonia deve obbedire ai movimenti del motivo, più che alla successione sottostante di accordi. Anzi, se ci fidassimo solo gli accordi, troveremmo che la canzone di Morgan si muove su gradi della scala minore di La in una maniera simile a canzoni pop di tutto rispetto, come Can’t Get You Out Of My
Head di Kylie Minogue. Un paragone che sembra sbagliato, perché lo è! La tonalità minore e gli accordi, infatti, non possono descrivere la canzone: detto in termini umani, il nostro orecchio non sta prestando tanto attenzione a quello che succede intorno, e l’arrangiamento fittissimo e mixato su livelli piuttosto uniformi non aiuterebbe comunque a distinguere il
primo piano dallo sfondo.

No, l’orecchio è fisso sul riff intonato dal basso elettrico e dalla voce: e quello di Sì, certo l’amore salta sui gradini della scala blues di La. La scala blues – considerabile minore, ma con cautela – usa sei note al posto delle tradizionali sette: nel nostro caso La, Do, Re, Mi bemolle, Mi, Sol. Non è una semplificazione, ma un’ottimizzazione: alla solidità della minore pentatonica viene aggiunta una nota fuori tonalità, la quinta diminuita, o blue note, che dona un irrequieto senso di movimento a ciascuna melodia si ritrovi a passare di lì. Finita la lezione di teoria, quello che conta è che i riff costruiti su questa scala sono notoriamente efficaci (Sunshine Of Your Love dei Cream, per fare un esempio), e forse è proprio per la presenza di quella nota “aliena” che esige di essere suonata solo di passaggio.

Ma Morgan, lo sappiamo fin troppo bene, dà tutto sé stesso quando si crogiola nel perturbante, nello sconfortevole, nell’urticante. Ecco allora che la seconda sezione mostra un movimento armonico molto più chiaro, per quanto, appunto, sinistro: il passaggio tra l’accordo di Mi minore e un Mi bemolle. Puoi considerarlo costruito proprio sopra quella nota
blue, puoi pensarlo come un fulcro che esercita una pressione innaturale per tornare al Mi minore: fatto sta che quest’accordo non dovrebbe essere lì, e noi dovremmo restarci posati sopra. La musica di Morgan, proprio come l’amore scritto da Panella, richiede la nostra attenzione e il nostro tempo in un modo che potrebbe sembrare ingiusto e squilibrato: invece è questo il contratto non scritto tra musicista e ascoltatore, e vale anche quando prestiamo poca attenzione a canzoni composte con poca cura.

Restando a lungo con noi, la canzone ci costringe anche a far caso più del solito ai suoni, con i quali dobbiamo convivere per 6:29 minuti (nella versione non “radiofobica”). Come impronte digitali, i timbri rivelano identità nascoste: come il timbro del basso elettrico, ribadito da una tastiera impettita, che ricorda i tempi di Zero. Allora, canzoni come Finché saprai spiegarti, Porno Muzik o Autofraintendimento, debitrici della trilogia berlinese di Bowie-Eno-Visconti, possono considerarsi antecedenti di Sì, certo l’amore anche per la struttura asimmetrica e i movimenti circolari dei riff. Oltre che per le contorsioni retoriche del testo, ai tempi senza il contributo di Pasquale Panella. Ma prima che l’effetto nostalgia entri in azione, la produzione densa e un mix della voce basso (tranne nei verbi ausiliari “è”, “ha” usati come accenti) ci ricorda che stiamo ascoltando qualcos’altro, un nuovo Morgan, meno Bowie (che notoriamente odiava il mix originale di Lodger) e più Talking Heads sotto steroidi,
era Remain In Light e Speaking In Tongues. Ma soprattutto, molto lontano dal pop barocco dei suoi dischi di inizio millennio.

È a questo punto che l’ascoltatore si ricorda di essere nel 2023, e fa caso al contesto che circonda la canzone: la cacciata da X Factor; le polemiche di quest’estate a Selinunte; “che succede?”; il personaggio TV; i Sanremo mancati; e mille altri casi di cronaca e gossip che, negli ultimi 17 anni, sono diventati più rumorosi della musica, spesso spiacevoli. Nemmeno
il più forte dei riff, forse, può coprire questo rumore di fondo.

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