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Colapesce: un ‘Egomostro’ uguale e diverso

Da domani, 4 febbraio, sarà nei negozi “Egomostro”, atteso seguito di quel “Un meraviglioso declino” che nel 2012 fece parlare di Colapesce come di un‘autentica rivelazione della nuova musica italiana. Magia rinnovata, oltretutto con varie (parziali) sorprese.
A cura di Federico Guglielmi
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Avevo avviato il progetto in sordina, senza ambizioni… anche per risolvere il mio rapporto con la lingua italiana, dato che fino ad allora avevo scritto e cantato solo in inglese. L’album è stato concepito in un momento per me difficile: è figlio del disagio personale che ho vissuto mentre lo incidevo, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il relativo ingresso nel mondo dei disoccupati”. Così mi aveva detto Lorenzo Urciullo, alias Colapesce, alla fine del suo folgorante 2012. Pubblicato dalla 42 Records il 27 gennaio dello stesso anno, “Un meraviglioso declino” era stato un fulmine a ciel sereno per il nostro circuito indipendente e non solo: critiche entusiastiche un po' ovunque, concerti a iosa, Targa Tenco e PIMI per il miglior esordio, consensi pressoché unanimi. A un anno dall'uscita l'etichetta aveva persino immesso sul mercato, oltre al vinile, un'edizione “deluxe” in doppio CD, con ulteriori diciannove tracce di diversa provenienza. Di questa ristampa estesa avevo avuto il piacere e l'onore di scrivere la presentazione sul libretto, che conteneva anche questa osservazione: “Perché fra i tanti meriti di Colapesce c’è quello di avere aperto alla nostra canzone una strada mai battuta, sicuramente di respiro internazionale a dispetto dei testi scritti in un idioma che internazionale certo non è”.

Un disco al quale non era facile dare un seguito, insomma, in giorni come gli attuali in cui gli artisti emergenti fanno in fretta a crollare dagli altari e sprofondare nella polvere. E Lorenzo, trentun anni compiuti lo scorso settembre, non si è saggiamente affrettato. Ha compiuto nuove esperienze – molto significativo il tour del 2013 assieme a Meg – e ha lasciato che tutti gli eventi più o meno concitati dei quali è stato protagonista si sedimentassero in lui e, in modo naturale, si traducessero in altre canzoni e altra musica. Il risultato si chiama “Egomostro”, in uscita mercoledì 4 febbraio sempre per la 42 Records, che dietro il brillante calembour del titolo nasconde un secondo (quasi?) concept. Dodici brani, compresi fra una intro e una outro (“Entra pure” ed “Esci pure”: più chiaro di così), che raccontano i diversi volti del viaggio personale portato avanti durante e dopo l'esplosione del pur relativo successo. Personale, ok, ma non per questo privato, visto che i sentimenti, le emozioni e i malumori descritti con parole e suoni da Colapesce sono pressoché universali e quindi, quale più quale meno, condivisibili; abbiamo tutti i nostri ripensamenti, le nostre vittorie, le nostre sconfitte, i nostri momenti di gioia e i nostri blues da piangere.

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Presentato con una copertina che non è figlia di Photoshop ma raffigura una vera e propria statuetta, “Egomostro” non è la replica di ”Un meraviglioso declino”. O, meglio, lo è per la voce dai toni pacati, per le atmosfere sospese ed evocative, per il sempre efficace abbraccio fra morbidezza e intensità, elementi che rendono il Nostro sempre riconoscibilissimo. Il cambiamento maggiore è nelle trame strumentali, organizzate assieme al coproduttore Mario Conte e contraddistinte da un uso più deciso dell‘elettronica e da un'impronta ritmica nel complesso più accentuata. Nulla di rivoluzionario, comunque, come ben sanno quanti hanno frequentato l'album di tre anni fa: i semi di “Egomostro” erano già stati piantati in pezzi come “Oasi” o “Un giorno di festa”, al tempo considerate una sorta di occasionale deviazione dalla strada tracciata dai più propagandati “Satellite”, “S'illumina” o “La zona rossa”. Ora, però, le sonorità sintetiche paiono prevalere su quelle elettroacustiche, così come le soluzioni ritmiche un po' più marcate su quelle carezzevoli; un ribaltamento di prospettiva stilistica che in alcuni brani – quelli più “scanditi” tipo la title track, “Brezsny” o "Mai vista” – potrà risultare un po' spiazzante, ma che la dice lunga sulla vivacità creativa del songwriter siracusano. Che con la sua verve a cavallo fra vintage anni ‘70/‘80 e modernità continua a essere una figura a sé stante nel pur composito panorama del pop nazionale. Per fortuna, perché di presenze uniche e carismatiche c'è sempre un dannato bisogno.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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