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Cesare Cremonini: “La musica richiede verità. Cosa significa essere un musicista? Non avere scampo”

Cesare Cremonini ha incontrato Fanpage.it per parlare del suo ultimo singolo Chimica, del suo impegno civile e dell’essere artisti oggi.
A cura di Francesco Raiola
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Oggi a Cesare Cremonini non basta più essere solo il musicista, cantautore e cantante che ha segnato un percorso importante all'interno del mondo musicale italiano di questi ultimi anni, ma ha capito che il senso dell'essere artista è più ampio e a 42 anni, nella sua posizione, la voglia è di ampliare il discorso artistico, allargandolo sempre più a quello civile. La scelta di legare il suo ultimo album a murales dipinti nelle periferie di alcune città e entrare nelle scuole a parlare con gli studenti rientra proprio in questo bisogno che, in qualche modo, Cremonini ha cercato di inserire nel discorso musicale. Oggi Cremonini è senza dubbio una delle (poche) popstar italiane, un cantautore che riempie gli stadi, con un percorso e un suono ben riconoscibili che non ha paura di citare apertamente mostri sacri come Beatles e Bowie. Fanpage.it lo ha incontrato in occasione del murales che il cantautore ha inaugurato a Ponticelli, nella provincia partenopea, dove Cremonini ha passato una mattina a incontrare i ragazzi e i bambini di alcune scuole. Il cantautore ha parlato del progetto, dell'importanza delle scuole, del suo nuovo singolo Chimica, di futuro e del ritorno ai live. Cremonini, che ha appena annunciato la presenza al Gran premio di Imola in occasione del quale presenterà il nuovo manifesto per il concerto evento del 2 luglio all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola, sarà protagonista di otto concerti negli stadi italiani.

Torni con Chimica, che è la parte notturna de La camicia, non è un caso che siano una dopo l'altra in tracklist, no?

Chimica è la notte, La camicia è il mattino, tanto è vero che Chimica è stata scritta di notte e La Camicia quando ero appena sveglio. Il disco reagisce così ai sentimenti, La ragazza del futuro affronta dei sentimenti basici, cioè vuole essere reale, preciso nei sentimenti: la morte, il futuro, il sesso, l'amore quotidiano, il viaggio, la follia. E tutti questi sentimenti sono precisi, perché veniamo da una pandemia e ci siamo in mezzo, si tratta di decidere se siamo arrivati a un punto o stiamo partendo e per questo ho scelto di fare un album che è un punto di partenza, in cui scelgo da dove ripartire, da quali sentimenti.

Non a caso l'album si chiude con una parola d’altruismo, quel “raccontami di te” in un mondo di “Ti racconto di me”…

L'album è così, molto intimo, l'hanno definito un album estremamente intimo dal punto di vista di quello che è stato un rovesciare il bicchiere delle mie emozioni verso il tavolo dove poi siamo insieme a mangiare, quindi il disco deve finire così, doveva finire così, dopo tutto quello che ti ho detto di me ora non voglio un applauso ma che tu mi racconti chi sei.

In Moonwalk c'è un omaggio a Five Years di Bowie?

In realtà ho scritto Moonwalk, l'abbiamo arrangiata, prodotta e poi mi sembrava troppo classica nell'intenzione soprattutto nella parte introduttiva e allora ho capito che quel 6/8 era interessante andarlo a cercare nelle ballad anni '70 di Bowie e "Five Years" mi ha suggerito come iniziare, Bowie partiva con la batteria, con la parte ritmica e poi con degli appoggi di pianoforte vuoti, con solo il testo, geniale.

Come deve essere il musicista del futuro?

Essere musicista nel futuro sarà importante e difficile, innanzitutto perché significa conoscere la musica, quindi continuare a studiarla e praticarla. Io sono certo che torneremo a suonare, che tornerà il suono meno digitale, che tornerà la band, le cose che dai Beatles in avanti hanno mantenuto la musica per quella che è, cioè una enorme, gigante, forma di comunicazione che si basa sulla verità. Credo molto nella verità della musica, nel senso che non ti lascia scampo. Cosa significa essere musicisti? Vuol dire non avere scampo. La musica sa prendersi cura di chi se ne prende cura e questa è una verità che lascia chi la tratta male, prima o poi, a bocca asciutta.

Dopo due anni di pandemia tornano i tour, per un artista è un momento importante, ti è mancato, immagino.

Il tour è importante perché è un'occasione incredibile di tornare ad abbracciare il pubblico e anche portare un messaggio di grande spazialità della musica. Un concerto è una cosa nella quale migliaia di persone diverse, che fino a dieci minuti prima erano lì a giudicare il mondo come un insieme di tante diversità, finalmente abbassa i propri muri e si trova di fronte a uno stesso coro di emozioni. Questa è una cosa che ci è mancata veramente tanto, è ora che torni, la gente si disabitua a capire, attraverso la musica, che siamo davvero tutti uguali davanti a un certo tipo di emozioni, pur nella nostra diversità. E gli stadi sono il massimo per questo, perché sei di fronte a 50 mila, 60 mila persone.

Musica e murales: il tuo ultimo progetto ti ha portato a Napoli, in una scuola di periferia, come mai?

Noi entriamo nelle scuole perché abbiamo individuato nella scuola il centro di gravità del futuro di questi ragazzi e bambini. Ci mettiamo nelle condizioni di ascoltare, scuola per scuola, città per città, quartiere per quartiere: ho visto delle cose bellissime in questi mesi e in queste settimane, al di là dei rapporti umani, dell'arte, dei murales, della gioia di questi bimbi, forse solamente adesso ho capito profondamente il significato della scuola.

Che significato ha per te essere artisti oggi e cosa ha significato nella tua carriera?

Credo che ognuno debba intendere l'essere artista come preferisce. L'artista fa soprattutto quello che gli pare, se no che artista è. Il modo in cui vuole intendere essere un artista deve nascere da un'esigenza personale, vera, profonda. Nella mia vita ho sempre seguito fortissimamente la passione e l'intenzione che per me la musica significava. C'è stato un momento, quando avevo 18 anni, che volevo dire fuggire di casa, ribaltare le idee che mi erano state imposte, fuggire da un destino predestinato, successivamente è diventato il conquistarmi un ruolo come cantautore nel corso del tempo, riuscire a lasciare un segno grafico, visivo, melodico distintivo del mio modo di fare musica. Poi è diventato la voglia di fare i grandi concerti, il sogno di fare gli stadi che poi è il sogno che mi portavo dietro da quando ero bambino e a 42 anni la pandemia ha interrotto questo flusso e mi ha posto di fronte a nuove domande molto importanti, per me, perché trovare lo stimolo di fare dischi non può diventare semplicemente un contratto discografico.

In che senso?

Perché non è quello che mi fa fare dei dischi, non me li scrive lui, ma per poter dare un senso al mio mestiere, alla mia età, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutta questa grande cavalcata verso il fare di una vita intera un sogno musicale ho sentito che dovevo trovare un significato più profondo e me lo sono andato a cercare nella scrittura, perché La ragazza del futuro non è una canzone sociale, politica, ma civile, un brano sulla collettività, che allunga un braccio verso gli altri e cerca di raccontare loro un'esperienza che dovrebbe interessare tutti. E poi l'ho fatto diventare un progetto di carattere sociale perché era naturale, era quello che desideravo. Questo significa essere artisti, ovvero essere liberi, in fin dei conti, di fare anche questo, quello che senti epoca dopo epoca, età per età.

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