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Carlo Lomanto, da Napoli agli Usa: “Ecco il mio blues che deve molto a Pino Daniele e Bennato”

Carlo Lomanto è docente di canto al Conservatorio di Salerno e da pochi giorni ha pubblicato l’album “Blues in my soul” in cui mescola inediti a standard internazionali, ma anche brani di Pino Daniele e Edoardo Bennato, unendo Partenope agli Usa e spiega: “Ho imparato a suonare la chitarra a orecchio proprio con i brani di Edoardo e Pino”
A cura di Francesco Raiola
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Carlo Lomanto (Ph Diego Loffredo)
Carlo Lomanto (Ph Diego Loffredo)

Carlo Lomanto è docente di canto al Conservatorio di Salerno e da pochi giorni ha pubblicato l'album "Blues in my soul" in cui mescola inediti a standard internazionali, ma anche brani di Pino Daniele e Edoardo Bennato, unendo Partenope agli Usa. Maestro della tecnica Scat, Lomanto ha deciso di lanciare l'album con "Ninna nonna", una ninna nanna blues che dà subito l'idea delle radici in cui affonda la voce e la musica del bluesman che a Fanpage.it parla dell'importanza del confronto con i grandi ma anche coi suoi allievi, delle radici della sua passione per la musica e anche di come grazie ad artisti come Bollani e Venni sia possibile portare il jazz, il blues e la classica a un pubblico generalista in tv.

Quando nasce l’idea di “Blues in my soul” e come l’ha realizzata?

Dopo l’estate scorsa, con il riaggravarsi della situazione pandemica e di conseguenza con i nuovi lockdown, suonare in club e teatri ci è stato vietato. Per non arrugginirmi troppo, quindi, mi sono visto spesso con l’amico Rolando Maraviglia, fantastico contrabbassista che abita vicino casa mia e ci siamo divertiti a mettere su un repertorio più orientato verso il blues, ma giusto per divertirci. In quei giorni mi ha contattato un altro amico, Fabio D’Andrea, anch’egli cantante e chitarrista come me che mi dice di aver scritto il testo di un brano, "La musica è finita", e che gli avrebbe fatto piacere che la musica la scrivessi io! Ovviamente è diventata un blues shuffle e ci è piaciuto talmente che ne abbiamo scritti altri tre in pochissimo tempo! A quel punto è stato naturale coinvolgere Mario Nappi al piano e Dario Guidobaldi alla batteria per preparare i 10 brani dell’album che poi siamo andati a registrare al Godfather studio di Napoli con il bravissimo Massimiliano Pone che oltre alle riprese di studio ha curato sia il missaggio che il mastering. Oltre al quartetto, poi, ci sono due special guest, ovvero i ragazzi de “La Terza Classe” che mi hanno accompagnato nella bellissima “L’isola che non c’è” di Edoardo Bennato e Fabio D’Andrea che duetta insieme a me in “La musica è finita”.

L’album si compone di standard e di inediti. C’è mai la paura del confronto? Come la si supera nel caso?

Ovviamente non c’era nessuna intenzione di confronto con brani del calibro di “While my guitar gently weeps” o “Saint James Infirmary”, che sono delle pietre miliari entrate ormai a far parte della storia della musica del 900, piuttosto un approccio da “bravo” jazzista quale sono, di mettere insieme gli “Standard” con gli inediti, come fanno da sempre i musicisti sia di jazz che di blues.

Mi parla, allora, del confronto come stimolo a migliorarsi? 

Oltre ad essere un cantante e chitarrista, prima di tutto sono un didatta, insegno canto jazz al conservatorio di Salerno per cui per me lo studio ed il confronto con musicisti e allievi è una cosa giornaliera che mi arricchisce tantissimo. Inoltre penso che confrontarsi con le composizioni dei grandi del passato sia fondamentale per la crescita artistica di ogni musicista.

La scelta di lanciare l’album con Ninna nonna immagino abbia a che fare con le radici del blues. Ci racconta la genesi della canzone?

A differenza degli altri tre brani che sono nati musicando il testo finito, la musica di “Ninna Nonna” mi girava in testa già da un po', strimpellandola con la mia Gibson acustica. Una mattina, poi, dopo aver sognato mia nonna ho deciso di chiamare Fabio e chiedergli di scrivere una canzone dedicata a lei, abbiamo parlato molto e gli ho raccontato tutta una serie di aneddoti legati al rapporto strettissimo che ho avuto con lei, a sua volta Fabio mi ha raccontato che anche lui ha avuto un legame molto forte con la sua e da quella chiacchierata il giorno dopo è nata “Ninna Nonna”.

Oltre a standard stranieri, nell’album si confronta con due classici contemporanei: Pino Daniele ed Edoardo Bennato. Ci racconta il rapporto con la loro musica?

Ho imparato a suonare la chitarra a orecchio proprio con i brani di Edoardo e Pino, in realtà prima quelli di Edoardo, che armonicamente sono un po' più semplici e poi quelli di Pino che invece hanno delle soluzioni armoniche più complesse. Per cui quando ho pensato di fare "Blues in my soul" la scelta di rendere omaggio a questi miei due conterranei, anch’essi appassionati di Blues, è stata la cosa più naturale.

Li ha mai conosciuti?

Non in maniera approfondita, saluti veloci nei backstage.

Parlando con molti artisti, tra cui Senese, Gragnaniello, lo stesso Bennato, ho notato che una delle cose che li accomuna è il porto. Reale e come metafora degli USA da cui arrivava la musica che hanno mescolato con la tradizione. Quali sono stati i suoi amori d’oltreoceano?

Ho avuto tantissime influenze dalla musica americana, prima tra tutte il jazz di cui mi sono innamorato perdutamente. Il jazz per me è libertà, è la possibilità in musica di essere se stessi e di poter essere diversi ogni sera; Billie Holliday diceva che anche se in concerto cantava sempre le stesse canzoni, per lei era come se fosse stata sempre la prima volta. E con il jazz mi sono innamorato perdutamente delle voci e della musica di Billie, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Louis Armstrong, Joe Williams e tanti altri.

A proposito di radici, quali sono le sue radici artistiche? Ricorda quando ha cominciato a innamorarsi della musica?

Sono innamorato della musica da sempre, quando ero un bambino, avrò avuto 4/5 anni, mio padre comprò un impianto hi-fi composto da amplificatore, sintonizzatore radio, giradischi e casse, uno sballo per l’epoca! Metteva sul piatto i dischi di grandi orchestre sia classiche che jazz e io in piedi sulla sedia immaginavo di essere il direttore d’orchestra!

E quando ha pensato che potesse diventare qualcosa di più di un hobby?

Non ho mai pensato alla musica come un hobby, ho iniziato abbastanza presto a guadagnare qualcosina con la musica, per cui verso i vent’anni già iniziavo a dare le mie prime lezioni di canto e cominciavo a fare le mie prime serate nei club napoletani. Come tutti, ovviamente, ho avuto anch’io momenti difficili ma non ho mai pensato lontanamente che avrei potuto fare un altro mestiere, per me la musica è la mia vita.

L’amore per lo scat come nasce?

Una sera in TV per caso ho visto un concerto di Ella Fitzgerald in duo con Joe Pass e a un certo punto la Fitzgerald ha cominciato come suo solito a lanciarsi in questi funambolici assoli di Scat. È stato lì che ho capito che dovevo assolutamente imparare a farlo anch’io, e da quel giorno, avrò avuto 16 anni, ho iniziato ad esercitarmi imparando a memoria nota per nota sillaba su sillaba, i soli di Ella Fitzgerald prima e poi quelli fantastici di Al Jarreau, George Benson, Bobby Mc Ferrin e tanti altri.

In questi giorni stiamo vedendo jazz, blues, classica in TV, grazie a Bollani. Cosa ne pensa, da fruitore e da docente? Un’altra musica in tv è possibile, quindi?

Trovo la trasmissione di Stefano e Valentina deliziosa. Stefano, oltre ad essere il musicista eccezionale che tutti quanti noi conosciamo, è un intrattenitore fantastico. Ha parlato durante la trasmissione di argomenti tecnici legati all’armonia, all’improvvisazione e addirittura della differenza di accordatura del diapason tra 432 e 440 Hz con una leggerezza e un’intelligenza che pochi possono vantare, per me Stefano è il Piero Angela della musica! Per cui, sì, è sicuramente possibile, visto l’enorme successo che sta avendo la trasmissione, e penso che ci sia un gran bisogno di cultura e di bellezza anche in TV.

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