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Carlo Avarello, in musica tra creator e cantanti: “Sogno un talent senza filtri televisivi”

Carlo Avarello, founder e Ceo dell’etichetta Isola degli Artisti, ha parlato della sfida degli ultimi 10 anni della musica italiana e della suggestione futura.
A cura di Vincenzo Nasto
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Carlo Avarello, Ceo di Isola degli Artisti
Carlo Avarello, Ceo di Isola degli Artisti

Carlo Avarello, compositore, produttore e fondatore dell'etichetta Isola degli Artisti, sembra già aver affrontato negli scorsi anni, una delle sfide più difficile dell'industri discografica: che ne sarà della musica e della sua distribuzione? Con la sua etichetta ha puntato forte su giovani creator con sogni musicali, ma anche su certezze come Giordana Angi, Serena Brancale, ma non solo: "La sfida è nel digitale, sul web, ma già da 10 anni. È dove nasce sfera e si sviluppa Fedez. La televisione, come la radio, è uno strumento secondario nella nostra ottica, a meno che tu non debba lavorare per Jovanotti, ma lì parliamo di un altro tipo di percorso". La sua label è anche un'accademia della musica, con 90 iscritti all'anno, dove i giovani artisti possono entrare in contatto con il mondo professionistico della musica, senza dover per forza lanciarsi nei talent televisivi, una mossa successiva. A proposito di talent, il suo sogno sarebbe quello di creare un format condotto da creator e in cui viene comunicato al pubblico giovane, "quello che compra i biglietti e consuma la musica maggiormente", una musica fresca in costante evoluzione. L'intervista qui a Carlo Avarello.

Quali sono i tuoi primi passi nel mondo della musica?

Ho avuto la fortuna di avere un padre compositore, quindi l'amore per la musica è sbocciato sin da piccolo. Non ho avuto gran pressioni dalla mia famiglia, anche perché questo lavoro è difficile e rischi solo di fare del male. Da chitarrista ho fatto tournée in Italia e all'estero, poi nel 2009, decido, anche contro i suggerimenti dei miei genitori, di aprire uno studio di registrazione. Per me, inizialmente, un piano B a cui non avevo minimamente pensato.

Poi la svolta.

All'inizio ho fatto produzioni per ragazzi che partecipavano all'Accademia di Sanremo, diventata adesso Area Sanremo. Con la mia etichetta, a 24 anni, ho partecipato per la prima volta a Sanremo e sono stato uno dei più giovani produttori discografici di quel Festival. Proprio in quell'anno, oltre al lavoro autoriale per il brano di Sanremo per Ornella Vanoni, ho scritto la musica e il testo della sua canzone "Amore a prima vista", presentata all'Arena di Verona. Poi è arrivata Simona Molinari con cui ho lavorato tantissimo, senza dimenticare Renzo Rubino che nel 2013 si è presentato al Festival con "Il postino".

Cosa significava, per un'etichetta indipendente, il Festival di Sanremo?

Per un'etichetta indipendente, fino a poco fa, era difficile ergersi in un mondo di grandi major, soprattutto per una questione di fondi, era un rapporto di uno a mille. Poi bisognava scegliere bene su chi investire, vedere prima ciò che avverrà: per questo motivo, per me il Festival di Sanremo è sempre stato il palcoscenico perfetto per la presentazione di un artista affermato. Non dovendo badare a aspetti esterni alla musica, come in un talent, un'etichetta doveva essere attenta al piano qualitativo della musica da presentare, e poi sperare che le cose vadano in un certo modo, anche dal punto di vista comunicativo. Adesso invece, la situazione è cambiata.

In che cosa?

Con la conduzione di Amadeus, se un artista ha tutte le carte in regola, deve preoccuparsi solo della sua musica, e riesci a fare il suo bene. Amadeus è riuscito ad allargare la fascia di pubblico ed è riuscito a rendere il Festival di Sanremo la vetrina migliore per gli artisti, anche i più giovani.

E invece l'Isola degli Artisti?

L'etichetta nasce dal desiderio di lavorare in maniera artigianale con la musica, sul contenuto e non sul marketing. Adesso le major hanno personale solo dal punto di vista marketing, legale e ci sono poche figure che si occupano dell'artista,  della visione e dei musicisti da mettergli vicino. Oggi ci sono piccole etichette che fanno scouting e quando si raggiungono certi numeri, le grandi ci si avvicinano. L'Academy oggi conta 1014 iscritti da tutta Italia, abbiamo studi di registrazione, abbiamo il teatro dove fare laboratorio, i videomaker, i grafici per copertine e social.

Non solo artisti, ma figure anche più poliedriche, come creator.

Abbiamo deciso di puntare anche sui creator, ci direzioniamo molto verso il mondo del web. Non è possibile, in termini economici, affidarsi a figure esterne, anche perché abbiamo puntato sulla voglia di consolidarci come gruppo. Mangiano assieme, bevono caffè assieme, vivono momenti di crescita personale. Questo lo puoi fare solo se sei innamorato e incosciente per la musica e se trovi persone come te. Due volte al mese i ragazzi si incontrano, 90 prescelti all'anno sui 1300 iscritti, e tra questi, alla fine dell'anno, scegliamo tre artisti: miglior autore, miglior interprete e miglior cantautore, che può fare le due fasi.

Giordana Angi e Serena Brancale: personaggi che avevano già messo i piedi nel mercato mainstream italiano. 

Giordana (Angi), quando è venuta da noi, aveva partecipato già quattro volte ad Amici. L'ha fatto di nuovo, ma questa volta ha donato le sue canzoni a Tiziano Ferro. Siamo anche testardi, vedi Amara, un'autrice che ha vinto per quattro volte la nostra accademia, che però non riusciva a entrare in zona Festival di Sanremo. Alla fine ci siamo riusciti, l'hanno presa, e ha potuto dare i suoi brani a Elodie, Fiorella Mannoia, Emma Marrone. Ed è tutto partito dai banchi della nostra accademia.

Qual è il ponte che collega artiste come Serena Brancale a giovani creator che si sono approcciati al mondo della musica?

Serena Brancale è ciò che io sono in natura, come lo era Simona Molinari. Abbiamo quest'anima jazz che ci unisce e quindi abbiamo le conoscenze per trattare più ambiti musicali. L'obiettivo era raggiungere un pubblico più ampio, che magari non ascolta dalla mattina alla sera Miles Davis o Louis Armstrong. Quello è il lavoro che mi viene naturalmente più facile, mentre per i ragazzi come Michelangelo la selezione è diversa: ancora più diversa quella per Vincenzo Cairo, che da poco ha incominciato l'accademia per migliorare l'aspetto interpretativo durante le sue esibizioni.

Come vengono avvicinati questi giovani artisti?

Questi ragazzi, semi-sconosciuti, li abbiamo presi in accademia per capire anche che spirito hanno, come comunicano. Devo ammettere che c'è stata anche fortuna, ma sempre dettata da quella serenità che puoi avere quando sperimenti e non hai paura del risultato. Alcune volte bastano 10 tentativi, altre 20, e non tutti hanno la forza di attendere il loro momento. Lì subentra la selezione naturale.

Un linguaggio diverso, non solo nell'approccio alla comunicazione social.

Loro hanno una comunicazione super-pop già quando parlano, quindi non risulta difficile approcciarsi alla scrittura della propria musica. Poi sono affiancati da autori che fanno solo quello. In tanti hanno già la canzone giusta in tasca e hanno bisogno di qualcuno che la peschi, mentre molte volte c'è bisogno di analisi, quasi terapeutica, per trovare la cosa più vera che hanno da dire, nel modo in cui possa arrivare a tutti.

Qual è la più grande sfida che un'etichetta ha davanti in questo momento?

La sfida è nel digitale, sul web, ma già da 10 anni. È dove nasce sfera e si sviluppa Fedez. La televisione, come la radio, è uno strumento secondario nella nostra ottica, a meno che tu non debba lavorare per Jovanotti, ma lì parliamo di un altro tipo di percorso. L'obiettivo è distribuire contenuti sul web credibili, costruire un personaggio musicale coerente, che non si debba abbassare a legami marketing. Non è per forza fare musica sofisticata: certo è che se hai Serena Brancale, devi sfruttare quella voce, e nei mesi successivi scoprirete le grandi collaborazioni.

Per gli artisti più giovani, che non hanno quel tipo di riconoscibilità vocale all'inizio, come funziona?

Per un artista giovane l'obiettivo è riuscire a trovare l'equilibrio tra il mondo musicale e quello social, la sua comunicazione. Abbiamo persone esperte, da questo punto di vista, come il creator Daniele Cabras che ha vinto "Generazione Lol" su Amazon. L'obiettivo magari è unire questi due mondi, creare un festival che si leghi magari all'Accademia di Sanremo, per far vedere al pubblico come nasce una canzone, come lavora un artista e come si arriva a un pubblico di 5mila persone.

Una scuola di musica, che non sia un talent, sul web?

Magari non farlo con tutti i filtri che ci sono in televisione, e fare delle produzioni interessanti. In questo modo, il creator può capire anche di non voler fare il cantante, ma il conduttore, il comico o una cosa trasversale alla musica, dando poi la possibilità a chi si occupa di musica di arrivare in maniera diretta al pubblico giovane, che è quello che compra i biglietti e consuma la musica maggiormente.

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