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Brunori Sas: “Cheap!, la mia risposta alla pandemia che ha stravolto il nostro mestiere”

Con Cheap! Dario Brunori, alias Brunori Sas, chiude la trilogia cominciata con “Cip!”. Un Ep in cui il cantautore racconta con ironia il mondo che ci circonda: dal patriarcato ai fascismi quotidiani.
A cura di Francesco Raiola
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Dopo Cip! e Baby Cip! – pubblicato dopo la nascita della figlia Fiammetta – è arrivata la terza versione dell'ultimo album di Brunori Sas, ovvero CHEAP, che è anche acronimo di Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk, che riporta, come si vede già dal titolo, il cantautore calabrese in un territorio di gioco e ironia che lo contraddistingue fin dagli esordi. In una discografia sempre più invasa da singoli, Brunori sceglie la forma di Ep per cerare di pubblicare canzoni che sentivano il bisogno dell'immediatezza, della pubblicazione senza troppi pensieri, e la sua idea di racconto. E così in poche settimane Cheap è stato scritto, registrato e pubblicato. All'interno c'è l'intero campionario brunoriano, con l'ironia a raccontare patriarcato, fascismi contemporanei, i tic cantautorali fino alla borghesia di cui siamo figli. Un album veloce, ma che anche nei momenti più scanzonati a livello musicale non perdono mai di vista la scrittura (Italiano-Latino ne è, probabilmente, l'esempio più fulgido) e che chiude con "Figli della borghesia" che forse è il momento che più si avvicina agli ultimi lavori di Brunori.

Sei in un periodo in cui scrivi canzoni con varie funzioni, compresa quelle di provarle come ninne nanne per tua figlia, se ho capito bene…

Ho trovato questo sistema per cui faccio una via e due servizi: metto mia figlia di fronte a me e io mi siedo sul divano con la chitarra e provo le mie cose e, come diceva Morgan nella canzone che ha scritto per sua figlia "ogni cosa che accade mi piace". Tanto lei è in una fase in cui non fa discriminazioni.

Siamo alla terza versione di Cip!, CHEAP, è questa nuova discografia che ti porta a sperimentare nuove forme discografiche?

In parte. Da quando è uscito Cip! è stato tutto così strano, penso che tra le varie cose che questo periodo e questa pandemia hanno stravolto c'è sicuramente il modo in cui avevamo concepito il nostro mestiere. Eravamo tutti pronti a fare un tour, a pensare alle dinamiche discografiche classiche e invece anche quello alla fine è diventata una variabile aleatoria. Erano passati due anni e mi dispiaceva che quell'album fosse rimasto un po' lì e mi dispiaceva pensarlo come un disco finito – in questo senso c'è una resistenza alla dinamica discografica attuale -, questo pettirosso che aveva spiccato solo mezzo volo e non un volo totale, così ci siamo chiesti come avremmo fatto a farlo rivivere stando nei tempi. Da una parte, quindi, abbiamo fatto "Baby Cip!", che era il desiderio di un padre rimbambito e poi questo qui.

Che è nato in maniera molto veloce.

Avevo delle bozze e mi sono detto che volevo fare una cosa veloce: a un certo punto ho pensato che ci sarebbe voluto un altro anno ma avevo il desiderio che alcune canzoni uscissero subito, anche per non farle passare sia come argomento, ma anche dentro di me, così ho deciso di farlo velocemente.

Da qualche parte ho letto chi diceva che avevi fatto una cosa un po' folle, ma alla fine è molto brunoriana: c'è il gioco, c'è l'ironia, è un campionario di tutto il Brunori che conosciamo.

Sì, per chi mi conosce non è una sorpresa, magari può esserlo per chi ha seguito il mio percorso solo negli ultimi tempi o che magari conosce solo i pezzi un po' più classici, sai, gli amanti del Brunori di "Per due che come noi" magari dicono ‘Ma è lo stesso?". Quando fai un percorso che alla fine ti porta anche al grande pubblico, però, è normale che ci sia gente che non sa neanche come sei fatto.

Alla fine tocchi tematiche che chi ha anche ascoltato solo i tuoi ultimi album sa che ti appartengono…

Le uniche cose che hanno avuto una componente di novità sono state da una parte il ritorno personale a un approccio più do it yourself, l'idea di fare una cosa come la facevo agli inizi, il desiderio di recuperare quella libertà e dall'altra l'aver trattato determinati argomenti cercando di non seguire una strada precisa. Di solito quando li tratto c'è sempre un percorso che utilizzo, in questo caso penso di averlo fatto in maniera inconsapevole, forse la velocità di cui parlavamo prima non mi ha permesso di intervenire a posteriori, quando ti capita di fare degli aggiustamenti che vengono dagli ascolti e dai feedback che a volte sono stati utili ma questa volta forse avrebbero tolto freschezza all'insieme. Alcune cose già ora le cambierei ma forse la sorpresa è stata quella di farlo e non pensarci troppo, senza procrastinare il momento della pubblicazione.

Questo modo di lavorare può diventare, in futuro, uno strumento possibile?

Certo, io da fruitore sono sempre stato un amante dell'evoluzione che la tecnologia ti dà, il confronto con l'aspetto tecnologico mi ha sempre interessato, detto questo mi sono chiesto, negli ultimi tempi, che senso avesse fare un album intero quando spesso le persone non lo ascoltano. C'è chi ha una fruizione vecchio stile come noi, e c'è chi, forte della tecnologia che impone un certo tipo di ascolto, mette le playlist e acchiappa un pezzo e basta. Per non arrendermi all'idea di pubblicare singoli, perché per me è troppo limitato un pezzo solo per raccontare quello che voglio, forse così ho trovato una via di mezzo che, non ti dico che possa diventare uno strumento, ma comunque qualcosa che ti permette di utilizzare strumenti diversi per raccontare cose diverse. Se ti serve uno strumento rapido usi questo, altrimenti hai il disco…

“Ode a Fabrizio De André di certo non uno come me che sono un surrogato, prodotto dal mercato che vive solamente di cliché-é-é” un sassolino tolto ironicamente dalla scarpa? Un po’ come la questione De Gregori, che è un modo anche per dire che siamo al punti in cui si può anche smetterla, no?

All'inizio era proprio un autodissing, riconoscere che anche involontariamente incarnare un cliché mi fa ridere di me – sai come quando parlo della barbetta etc – e siccome non me l'ha fatto nessuno, me lo sono fatto da solo, ma sarebbe stato bello anche riceverlo. Sai, a volte mi metto dall'altra parte e, come diceva Pino Caruso, spesso "ho dei pensieri che non condivido" e io mi ritrovo in questa massima.

Dopo molta ironia e scanzonatezza, Cheap si chiude con una ballad brunoriana, "Figli della borghesia", che se non sbaglio avevi in mano da un po'…

Questa canzone l'avevo da un po' ma non riuscivo a inserirla negli album, perché è uno di quei pezzi che non appena lo arrangi un po' di più non sai dove infilarlo, in più non c'era mai spazio negli ultimi dischi, o almeno io non lo sentivo. Invece qui sta benissimo perché è tutto un girare intorno a una serie di tematiche, a una serie di condizioni ma anche al linguaggio. Lo dico con grande onestà, non c'è stata molta consapevolezza, ma nel riascolto ritrovavo delle ripetizioni, come questa reiterazione del cantautore o comunque della formula cantautoriale che fa il giro e ritorna a essere mia, per questo dico che è meglio farle rapidamente certe cose, perché l'istinto gioca meglio rispetto al pensiero. È sicuramente il pezzo del lotto che quando l'ho cantata aveva all'interno la parte più emozionante.

Italiano-Latino invece come nasce?

Ecco, quello sono proprio io quando sono con gli amici, è la mia parte cazzona che ultimamente non riesco più a comunicare nei dischi, e che magari ti fa trattare un argomento in maniera più sagace rispetto al farci il pezzo serio. Mi piace perché è tagliente il giusto ma col sorriso, mi piacerebbe che ci ridessero anche quelli che sono presi in giro.

La vedo difficile…

Ma io ci spero sempre.

Nel frattempo hai già cominciato a scrivere altro?

In realtà no, ho scritto queste cose e adesso mi sento come se mi avessero liberato uno slot, già nei giorni scorsi pensavo ad alcune cose ma sto cercando di riflettere più che altro sul suono, so che se lo trovo la scrittura viene di conseguenza.

E il suono dove lo stai cercando?

Ho sempre avuto il desiderio di fare dei dischi con suoni piccoli, batterie piccole, pianoforti fermi, cose à la Charlotte Gainsbourg, o quelli di alcuni album di Beck, come "Morning Phase", album che cito sempre perché è mi piace. Sto ascoltando The War on drugs, cerco di ascoltare questo Adult Oriented Rock che mi stanno consigliando, sarà per le camicie di jeans che metto sempre… Semplificando, mi piacerebbe fare un disco più elegante, con atmosfere più eleganti, chissà se mi esce.

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