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Basile, Antico e i figli della Sicilia, dove la ricerca musicale non finisce mai

La Sicilia si conferma una delle realtà musicali più in fermento del panorama italiano, sia con le nuove leve che con due musicisti, Cesare Basile e Alfio Antico, che da anni, in un modo o nell’altro, non scendono a compromessi e portano avanti un discorso musicale coerente che unisce tradizione alla ricerca di nuove sonorità.
A cura di Francesco Raiola
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Alfio Antico (sx) e Cesare Basile (dx)
Alfio Antico (sx) e Cesare Basile (dx)

A volte non c'è bisogno di andare lontano per trovare il mondo, basta guardarsi attorno, esplorare incuriositi la quantità immensa di musica che l'Italia è in grado di produrre. Se è vero che uno degli album più belli di questo inizio 2017 è senza dubbio quello dei Tinariwen, la band maliana, tra le maggiori rappresentanti del cosiddetto blues del deserto, è anche vero che potreste innamorarvi in un batter d'occhio anche di "U Fujutu su nesci chi fa?", l'ultimo album di Cesare Basile, uno dei nomi storici della musica italiana, vincitore di due Targhe Tenco, l'ultima delle quali, sempre nella categoria di quelli dialettali, vinta nel 2015 per "Tu prenditi l'amore che vuoi e non chiederlo più". Che Cesare Basile sia una certezza non lo scopriamo certo oggi, eppure è uno di quegli autori che potrebbero raccogliere molto più di quello che in realtà s vedono riconosciuti, non solo per quanto riguarda la critica, ma anche il pubblico, che certe sonorità, però, preferisce cercarle all'estero (o non cercarle affatto).

Basile, in quest'ultimo lavoro, pubblicato per Urtovox il 24 febbraio scorso, mescola infatti la ricerca continua della tradizione siciliana con le musiche africane, trovando nel dialetto dell'isola come sempre uno strumento in più, di forza se si parla di pertinenza al progetto, in barba all'ammiccamento a qualcosa che sarebbe altro rispetto all'idea musicale del cantautore. E così ci si può fermare alla superficie, godendo delle trame musicali create da musicista, lasciandosi cullare dalla bellezza del suono della lingua siciliana (come ci si lascia cullare dalla lingua dei gruppi che da anni arrivano dall'Africa a ristabilire le regole moderne del blues), oppure fare un passo in più e immergersi nelle Storie mitiche che compongono "U Fujutu su nesci chi fa?".

Non poteva, comunque, non finire in Africa la ricerca del musicista, sceso fino alle radici di quel blues che voleva mescolare alla sua ricerca folk, come capiamo subito da "Lijatura" – che arriva dopo il minuto e mezzo dell'intro "Scongiuro" – che odora di deserto e protesta, ironizzando sulle "belle pinsate" che vengono "a li patruni" ("Le belle pensate che vengono ai padroni"), in un pezzo che immerge subito l'ascoltatore di quello che sarà il mood di quello che ascolterà, ovvero storie di vinti, di navigatori che cercano di allontanare la Coda del Drago, ovvero la tromba d'aria nata da tre nuvole e "venuta per distruggere", di Cola che si è dato fuoco sotto gli occhi delle Guardie ("Vinissi l'Arsu Cani e si puttassi vaddia e patruni", ovvero "Venisse il Cane dell'inferno a portarsi via guardie e padroni"), canti contro "U Scantu" ("Lo spavento"), o per sapere "U fujutu su nesci chi fa" ("Se esce il matto cosa succede?").

C'è molta natura nelle canzoni di Basile, che sanno farsi nenia e tempesta: "Questa è la storia della Dannata, la città in cui per sortilegio gli offesi sono grati a chi li offende (…). È storia narrata agli angoli delle piazze dalla voce consumata di un vecchio cuntista. Ed è la paura, il nostro insoddisfatto bisogno di consolazione" spiega il cantante, che conferma la Sicilia come una delle realtà più belle, interessanti e variegate della musica italiana. È solo di un anno fa l'uscita di "Antico", ultimo lavoro di Alfio Antico, tamburellista di fama mondiale (ha collaborato con la Compagnia di Canto Popolare, passando per Fabrizio De Andrè e Vinicio Capossela, girando il mondo intero), che nel 2016 ha sorpreso tutti con un album potente, in grado di scavare in una dimensione arcaica, grazie anche alla produzione attenta di Mario Conte e Lorenzo Urciullo (meglio conosciuto come Colapesce), che hanno mescolato la tradizione del tamburello di Antico con un tessuto elettronico, dando all'album un suono popolare, moderno ma con le radici ben attaccate alla tradizione.

È uno di quegli album che si fa prima ad ascoltarli che a spiegarli, in cui anche la voce di Antico si fa mantra, trasportando l'ascoltatore nelle sue storie di mare. Non c'è nulla di semplice, l'album di Antico è di quelli che hanno bisogno dell'impegno dell'ascoltatore, che deve scendere in profondità nei suoni e nella voce, nel siciliano, nelle distorsioni, ma quando entrerà in sintonia sarà un loop da cui non sarà facile uscire. È quello che succede con Basile, appunto, ma anche con uno degli album più belli di questi ultimi anni, ovvero quello dell'altro isolano (ma sardo, questa volta), Iosonouncane. Album che non scoprirete in radio, ma che danno l'idea di cosa può essere la musica, che si può godere nelle strutture più orecchiabili del pop, ma anche di un album dove la voce di Alfio ha un carattere primario: "La produzione, infatti è stata costruita e plasmata attorno ai due elementi unici e fondamentali, trade union di tutto il lavoro: Il tamburo e la voce di Alfio Antico (…). Nella produzione abbiamo cercato di partire dalla matrice pura e arcaica della performance tamburo/Voce di Alfio per poi rielaborare il materiale con un trattamento di sound design e arrangiamenti minimali per chitarra e sintetizzatore, talvolta ‘strutturando dei brani più vicini alla forma canzone, talvolta destrutturando le performance di Alfio, sempre con sonorità elettriche o elettroniche ma di matrice ‘organica', ‘materiale'" come spiegano Urciullo e Conte.

E proprio Colapesce è uno di quelli che dalla Sicilia sono partiti alla conquista dell'Italia (prima con gli Albanopower e poi da solista), aprendo – dopo i fasti di Battiato, Consoli e Uzeda – uno squarcio man mano allargato da artisti come Dimartino, che prima solista e poi assieme a Fabrizio Cammarata – palermitano trapiantato a Parigi – ha(nno) prima affrontato il cantautorato pop, poi cantato le canzoni ranchere di Chavela Vargas, ma anche da artisti come Niccolò Carnesi, che dovrebbe avere una ribalta maggiore di quella che ha, Alì, autore di quella piccola gemma pop che è "Facciamo niente insieme", Alessio Buondì che mescola il siciliano alle atmosfere bahanartiane, fino alla bravissima Patrizia Laquidara e a Gabriella Lucia Grasso, che in questi ultimi giorni è uscita con l'album "Vussia Cuscienza" – in cui la Sicilia incontra l'argentina -, per l'etichetta al femminile Narciso Records della Consoli (di cui sta aprendo i concerti).

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