Sono trascorsi quasi sette mesi da quel tragico 21 febbraio in cui un incidente stradale si è portato via, a sessantasei anni, Francesco Di Giacomo, per oltre quattro decenni voce e immagine (principale) del Banco del Mutuo Soccorso. Anche se l'ultimo album di inediti, “Il 13”, risale al 1994, la band romana aveva continuato a esibirsi in Italia e all'estero, e a pubblicare dischi incentrati in massima parte su riletture creative, sul palco ma non solo, del repertorio già noto. Del resto, album come l‘esordio omonimo (quello con la copertina a forma di salvadanaio), i successivi “Darwin!” e “Io sono nato libero”, “Come in un'ultima cena” e “Canto di primavera” – insomma, l'intera produzione dei Settanta meno qualcosa – hanno segnato profondamente il rock nazionale, ben oltre quel progressive di cui il gruppo era alfiere assieme a Le Orme e Premiata Forneria Marconi (gli Area, benché coevi, facevano categoria a sé). Può il Banco sopravvivere a una tale perdita, specie considerando quanto il canto tenorile del frontman abbia caratterizzato la sua formula? La risposta più logica sarebbe “no”, ma il titolo del “nuovo” disco che è nei negozi proprio da oggi – “Un'idea che non puoi fermare”: è un estratto di “E mi viene da pensare”, uno splendido brano del 1979 – afferma il contrario. E i contenuti, nel complesso inusuali, sorreggono l‘ipotesi che ci sia spazio per un altro futuro. Un manifesto di intenti fondato su fatti, insomma, e non il classico auto-augurio lanciato assecondando gli input del sentimento.
Disponibile sia in doppio CD che in triplo vinile, in ambedue i casi con il corredo di un libretto denso di informazioni e dettagliate spiegazioni, “Un'idea che non puoi fermare” è un singolare assemblaggio di testimonianze dal vivo – ovviamente con Di Giacomo – per la quasi totalità del periodo 2011/13 e incisioni di studio di quest'anno sulle quali attori di fama declamano i testi di vari classici del Banco. Un autentico atto d'amore che Vittorio Nocenzi – tastierista, co-leader e ormai unico elemento di raccordo con la formazione originaria – ha allestito con i contributi, realmente partecipi e non di circostanza, di Giuseppe Cederna, Giuliana De Sio, Alessandro Haber, Valerio Mastandrea, Moni Ovadia, Rocco Papaleo, Toni Servillo e Franca Valeri. Va da sé che le trame strumentali sulle quali poggiano le recitazioni hanno poco in comune con quelle originarie, ed è cosa buona e giusta: nonostante in molti lo abbiano travisato rendendolo soprattutto manierismo e sfoggio di tecnica, lo spirito del progressive impone(va) passi in avanti e superamento delle barriere. “Nei ‘70”, ebbe a dirmi nel 2013 lo stesso Nocenzi, “pubblicare un album era un’esigenza culturale, significava cercare di dare risposte a tutto un movimento che sperava nell’utopia al potere, che voleva musica liberata dalle gabbie della convenzionalità”.
Impossibile non apporre su “Un'idea che non puoi fermare” l'etichetta “concept”. Nelle due ore abbondanti di visioni e trasfigurazioni, che dopo la breve intro “In volo” si aprono con la veemenza di “R.I.P. (Requiescant In Pace)” – che di Francesco Di Giacomo era il pezzo preferito – e si chiudono con quella sorta di inno alla gioia che è “Traccia 1”, ci sono la doverosa celebrazione dell'artista (e dell'amico) scomparso ma anche un esauriente compendio della filosofia del Banco del Mutuo Soccorso così come l'abbiamo conosciuto finora (deviazioni comprese, come ad esempio la rilettura di “Frevo” di Egberto Gismonti) e accenni tutto sommato nemmeno labili di ciò che un domani potrebbe diventare. Un tentativo di “camminare con passi diversi”, come si legge nelle note, perché farlo è un dovere morale. E perché, dopo avere a lungo volato, sarebbe triste “restare a terra con le ali sgonfie”. Comunque andrà, sarà bello averci creduto.