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Baby K presenta Buenos Aires: “Basta chiamarmi rapper, per rispetto di chi fa rap”

Come ci si sente a incontrare all’improvviso il proprio ex quando non te l’aspetti? Lo spiega e lo canta Baby K nel suo ultimo singolo “Buenos Aires”. La cantante, autrice di successi come “Roma-Bangkok”, “Voglio ballare con te”, “Da zero a cento” ha raccontato a Fanpage.it di incontri improvvisi, di lavoro durante il coronavirus, di femminismo e rap.
A cura di Francesco Raiola
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Baby K
Baby K

Come ci si sente a incontrare all'improvviso il proprio ex quando non te l'aspetti? Lo spiega e lo canta Baby K – vero nome Claudia Nahum – nel suo ultimo singolo "Buenos Aires". Dopo averne inizialmente rinviato l'uscita a causa del coronavirus, infatti, la cantante ha pubblicato questo nuovo brano, che vede la collaborazione di Zef e Davide Petrella: "Ci siamo detti che in un momento del genere la musica può essere fonte di sfogo e spensieratezza" ha spiegato la cantante. "Buenos Aires racconta quella sera in cui ti capita dal nulla di imbatterti nel tuo ex mente sei in giro per la città" spiega la hitmaker (da "Roma-Bangkok" a "Voglio ballare con te" e "Da zero a cento") che sottolinea: "Non posso chiamarmi rapper, non è giusto per tutti quelli che davvero si occupano di rap"

Ciao Claudia, come va?

Ho avuto un paio di giorni di sconforto, ma solo due, in realtà questa uscita del nuovo singolo mi sta tenendo impegnata e alla fine le mie giornate si svolgono, lavorativamente parlando, quasi come sempre, solo che faccio tutto da casa.

Sei una delle prime a dover affrontare il problema dell’uscita in un periodo di crisi. Prima hai rimandato l'uscita di Buenos Aires, poi hai scelto di pubblicare. Mi racconti che giorni sono stati?

Era stato programmato tutto in maniera molto organizzata, perché sapevo cosa dovevo fare, anche come organizzazione. Era tutto pronto da ottobre, poi giustamente il Paese ha iniziato a prestare la propria attenzione all’epidemia. Doveva uscire in quei giorni in cui in tv non si vedevano altro che dibattiti sull'argomento e non sapevo se era il caso di uscire perché, sai, l'uscita è quasi come una celebrazione. Poi, però, abbiamo capito che sarebbe comunque stata una cosa lunga e ci siamo detti che in un momento del genere la musica può essere fonte di sfogo e spensieratezza.

Hai lavorato con Zef e Davide Petrella: come siete tornati a lavorare assieme?

Io sono amica di Zef, il produttore, lavoro con lui da quando mi occupavo di rap, insomma sono molti anni che lo conosco e avevo voglia di fare una sessione con lui e Davide, ci siamo messi d’accordo e ci siamo visti una sera e quella sera stessa abbiamo chiuso Buenos Aires. Io sono arrivata in studio con una produzione che mi piaceva, su cui avevo costruito una melodia, poi la produzione è diventata un’altra roba, si è mantenuto qualcosa di quella melodia e per il resto si è costruito insieme tutto Buenos Aires.

Interessante quel "In tempi in cui mi occupavo di rap", anche perché ormai sei su altri lidi…

Non mi posso chiamare rapper, non sono una rapper, non posso chiamarmi rapper, non è giusto per tutti quelli che davvero si occupano di rap, è chiaro che ho avuto uno shift musicale abbastanza evidente, soprattutto nel periodo estivo. I miei singoli non sono rap, è un genere che non sento più mio, anche perché crescendo d'età cresci anche artisticamente. Non mi sentivo più appagata dallo scrivere strofe rap, mi sono innamorata della melodia, è la mia parte preferita nella scrittura di un brano e ormai sono cresciuta, ho voglia di raccontare cose diverse con un linguaggio diverso.

Anche nella struttura del testo ormai sei strettamente pop. Torniamo a Buenos Aires, come avete lavorato materialmente sul testo?

È stato veramente un lavoro a tre, il bello di una sessione in cui ognuno rispetta il lavoro dell’altro ma è anche appassionato del mondo dell’altro. Davide è molto veloce nella scrittura, però parte tutto un po’ da chi sono io, dal mio mondo, dalle mie sonorità, dal mio stile e dal mio mood. Buenos Aires racconta quella sera in cui ti capita dal nulla di imbatterti nel tuo ex mente sei in giro per la città, come dice il brano stesso, quella notte avere i suoi occhi su di te è stato come cento lame, come avere cento coltellate. Sono in molti quelli che possono immedesimarsi, è un ex a cui hai dato tutto.

Quanto Buenos Aires è un primo passo di un progetto più grande?

Volevo essere un poco più autentica verso chi sono io. Non essendo stata una cosa creata a tavolino avevo l’esigenza artistica di esprimere le diverse sfaccettature attorno al mio mondo. Ho molti brani già pronti, ipotetici singoli che fanno parte di un percorso che è mio, sempre in evoluzione, perché ogni anno, ogni periodo, sento l’esigenza di mostrare un'altra parte di me. Però solo più in là potrò dirti quale sarà la conclusione, se ci sarà un album, ad esempio, per adesso non te lo so ancora dire.

Sei partita con uno shooting in cui ti mettevi a nudo. In che modo si lega a questa uscita o, comunque, a una nuova immagine che vuoi dare di te?

Sono diventata donna, sento un altro tipo di femminilità, quello che volevo far capire è che io mi sono sempre voluta rappresentare in una maniera molto forte. Per me l’immagine di una donna doveva essere legata alla forza dello stile, non volevo puntare sul lato sexy, perché non mi sentivo così. Andando avanti, però, mi sento sempre più donna. Qualcuno mi ha criticato, accusandomi di non essere più quella di prima, ma io lo so, sono cambiata! Non è che la forza di una donna è la negazione di una femminilità.

E questa cosa si lega pure al singolo?

Certo, è legata a Buenos Aires, perché lì ho parlato di una fragilità, perché dico che mi hai ferito e questo non ha mai fatto parte di quello che ho comunicato, ho sempre comunicato: ‘No io per te non ci sto sotto, non soffrirò mai’, ma fa parte di un’evoluzione personale e per questo con Roberta Krasnig abbiamo voluto esplorare anche questo lato, facendolo in maniera artistica.

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