Nel mondo di Internet chiamarsi Altro può costituire un handicap, e non è il caso di offendere l’intelligenza altrui dilungandosi a spiegare perché. Quando i ragazzi oggi meno ragazzi azzardarono i primi passi in quel di Pesaro, del resto, si era nella seconda metà degli anni ‘90, e all’epoca una band basava la scelta del nome quasi solo sulla facilità di memorizzazione: chi avrebbe mai potuto prevedere che, un giorno, i motori di ricerca avrebbero avuto un’importanza cruciale per qualsiasi carriera? Anche se non mancano di indicare da più parti che “le parole chiave per cercarci su Internet sono: Altro + punk”, comunque, i tre musicisti non paiono molto interessati alla carriera, almeno nel senso che di norma viene attribuito al termine: hanno altre occupazioni, vivono in posti diversi e neppure tutti in Italia, realizzano dischi se e quando gli va, non seguono le regole del mercato. Sono insomma più punk della stragrande maggioranza dei gruppi punk, e questa loro genuina “indipendenza” è uno dei motivi della considerazione e del rispetto dei quali godono nel circuito underground nazionale, unita magari al fatto di aver preceduto tutto il plotone guidato da Fine Before You Came, Gazebo Penguins e Fast Animals And Slow Kids nel ruolo di portabandiera della nostra seconda generazione emocore (la prima, quella cresciuta sotto l’ombrello della Green Records, è purtroppo roba solo da iniziati). Senza dimenticare che il cantante, chitarrista e songwriter, Alessandro Baronciani – completano l’organico Gianni Pagnini al basso e Matteo Caldari alla batteria – è da alcuni anni uno dei disegnatori/illustratori e fumettisti più apprezzati e amati del giro indie e non solo.
Non sono pop, gli Altro. Suonano da sempre canzoni brevissime e parecchio ruvide sul piano strumentale e canoro, eseguite per lo più velocemente e avvolte in quell’aura di malinconia mista ad apparente svogliatezza che del summenzionato emocore è inscindibile caratteristica. A completare il quadro, testi in italiano efficaci sebbene di comprensibilità non proprio immediata e titoli composti in massima parte da un’unica parola: delizie per gli ultratrentenni che con certe cose ci sono cresciuti e per tanti giovani bisognosi di ascolti non artefatti e se possibile catartici.
Il percorso del trio è documentato dagli album “Candore” (2001), “Prodotto” (2004) e “Aspetto” (2007), ai quali vanno aggiunti la raccolta di remix “Disco” (2009) e svariati pezzi disseminati fra EP, split e raccolte. Al repertorio “minore” è collegato il nuovo CD, “Sparso”, uscito da un mese esatto e ancora (per poco, si suppone) disponibile nella stampa originale in trecento esemplari con copertina speciale, logicamente opera dello stesso Baronciani: marchiato da La Tempesta, da ormai un bel po’ di anni etichetta-cardine della scena alternativa nostrana, il disco mette in fila le sedici tracce di quattro EP pubblicati dalla Holidays e dalla To Lose La Track fra il 2009 e il 2013 – “Autunno”, “Estate”, “Primavera” e “Inverno”, “naturalmente” non usciti nelle stesse stagioni dei nomi – con l’aggiunta degli inediti “Che non sembri reggae” e “Paolo”. Sono in totale ventotto minuti e trentotto secondi che scorrono fluidi fra ritmi frenetici e momenti più rilassati, poderosi assalti elettrici e pause acustiche, aggressività punk e imprevedibili aperture wave. Nemmeno il tempo di capire che sviluppo potrebbe avere il brano, e si è già passati al successivo: e il bello è che l’insieme, più che dispersivo, risulta avvincente. A patto, è ovvio, di essere attratti dalle sonorità ispide e rugose che, però, non disdegnano creative, vivaci contaminazioni con pur deviate melodie.