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Addio Prince, genio della musica e ultima anima ribelle degli anni ‘80

Ecco cosa mancherà di Prince, uno dei più grandi artisti di sempre, un genio assoluto dei nostri tempi.
A cura di Michele Azzu
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Il principe è morto. Nel pomeriggio di oggi, 21 aprile 2016, è circolata la notizia del ritrovamento di un corpo a Paisley Park, il grande studio di registrazione poco fuori Minneapolis dove la rockstar Prince da sempre ha composto e inciso la maggior parte delle proprie musiche. Il magazine americano TMZ è stato il primo a confermare che si trattava proprio del musicista, e pochi minuti fa la conferma: Prince è morto.

Le circostanze della sua morte non sono ancora state chiarite, ma sappiamo che solo pochi giorni fa, il 15 aprile, il suo aereo aveva dovuto effettuare un atterraggio d’emergenza in Illinois per trasportarlo di corsa in ospedale a causa di un malore. È possibile, dunque, pensare che questo fatto sia collegato alla scomparsa dell’artista avvenuta oggi, all’età di 57 anni.

I social media si stanno già riempiendo di hashtag, foto e commenti commossi dei fan del musicista, e c’è da aspettarsi che nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, questa onda di commozione continuerà. Arriveranno tanti tributi importanti, dai media, dal mondo della musica e dello spettacolo. Perché Prince, assieme a Michael Jackson, Stevie Wonder, David Bowie e pochi altri, è stato senza discussione fra i più grandi musicisti e compositori dei nostri tempi, se non il più grande in assoluto.

Sarà dura pensare ad un mondo senza di lui. Dura pensare che ora si ferma per sempre la sua produzione musicale sterminata, iniziata nel 1978 quando la Warner Brothers, a soli 18 anni, lo consacrò come il più giovane produttore discografico della storia. Da allora iniziò una produzione senza fine, con pochi rivali al mondo per qualità e quantità delle musiche. Una creazione senza limiti: dal funky al rock, passando dal jazz fino al pop d’autore, che è stata ispirazione per una grandissima parte dei musicisti più famosi dei nostri giorni.

Stando alle dichiarazioni rilasciate dall’artista durante la sua carriera, Prince avrebbe composto musiche di continuo, ogni giorno, per anni, mosso da un impeto incontrollabile. Dalle hit mondiali come Purple Rain o When Doves Cry, alla colonna sonora del primo film di Batman (con Michael Keaton) al celebre ritornello di Kiss. E poi i tanti brani scritti per altri artisti, come ‘Nothing compares to you', che divenne celebre cantata da Sinead O’Connor. Fu per l’incredibile forza delle sue composizioni che Miles Davis gli rese merito, chiamandolo il “nuovo Duke Ellington”, e più di una volta il mito del jazz manifestò la sua stima per la rockstar.

Ecco, a descrivere la complessa storia e la personalità di Prince una parola viene subito in mente: genio. E anche se questa è una parola spesso abusata nel mondo della musica e dello show business, non esiste alcun rischio di esagerazione nel dire che Prince è stato, semplicemente, un genio assoluto della musica. Un talento puro, “naturale” come si dice in America.

La sua voce era capace di raggiungere i registri più bassi del soul fino alle note più alte con un falsetto che ha reso il suo timbro unico al mondo. Come chitarrista le sue performance sono state ammirate dai più grandi: Eric Clapton, ad esempio, ha più volte affermato che il solo di chitarra di “Purple Rain”, eseguito da Prince stesso sul disco, è il più grande solo di chitarra della storia.

Con il basso elettrico Prince si è guadagnato la stima dei più importanti nomi del settore: da Victor Wooten a Larry Graham, storico bassista degli Sly and The Family Stone che inventò la tecnica “slap”. Al pianoforte, poi, è stato un vero virtuoso, e proprio tra voce e piano si sono presentate le sue ultime esibizioni dal vivo, in alcune date australiane da poco concluse dopo che l’artista aveva cancellato un tour in Europa a seguito degli attentati di Parigi.

Ma Prince è stato un pioniere, una figura di riferimento, anche nei costumi, nella moda, in una rivoluzione che il musicista ha portato avanti con un’anima ribelle lontana anni luce dal culto dell’immagine delle pop star odierne (che da lui hanno imparato). Fin dall’inizio, Prince ha voluto vestirsi con abiti che richiamano quelli femminili, dalle “zeppe” ai tacchi a spillo, alle borchie, le tute di pelle, i pizzi, i merletti, le pellicce.

Le sue avventure amorose non si contano, la più celebre forse con l’attrice Kim Basinger, di cui registrò i mugolii (di piacere) in una nota canzone. Del resto nei suoi primi lavori Prince parlava quasi unicamente di sessualità. Ma non c’è mai stata alcuna rivendicazione di genere nel suo modo di presentarsi, come spesso in tanti – soprattutto fra chi non ascoltava la sua musica – ha creduto. La sua vita è sempre stata una sola: stupire sempre e comunque. Ribellarsi a tutto e tutti: all’industria, ai media di massa, alla percezione che i fan avevano di lui. Conformarsi mai.

Come nel 1993, quando si esibì in pubblico con la scritta “schiavo” sul volto, in aperta critica con la propria etichetta dell’epoca, la Warner Brothers, che deteneva i diritti sul suo nome, le sue musiche e sul suo brand. Fu una battaglia durissima, che costrinse l’artista a cambiare per un periodo il proprio nome in un simbolo e con l'acronimo TAFKAP (tradotto: "l’artista un tempo noto come Prince"), e che gli costò tantissimo finanziariamente, mediaticamente, e a livello umano, finendo per costargli parte della carriera.

E pensare che il principe di Minneapolis non era affatto nato privilegiato. “Non ho soldi ma sono ricco di personalità”, cantava in una delle sue prime canzoni. Figlio di due musicisti, visse durante la sua infanzia le conseguenze psicologiche di una travagliata relazione amorosa fra i due genitori – in seguito raccontata nel film “Purple rain” che gli valse la bellezza di un Premio Oscar, e che gli portò fama e successo (ma il cui confine fra storia e realtà non venne mai del tutto svelato).

Eppure, nonostante il genio e la sregolatezza, nonostante il carattere ribelle, Prince si è sempre distinto, nei racconti di chi lo ha conosciuto da vicino, come un essere umano fondamentalmente buono e generoso. Sono pochissimi gli artisti del suo calibro che hanno lanciato così tante carriere individuali di persone che lavoravano per lui: dalla batterista Sheila E, ai Revolution, dai The Time di Morris Day fino alla sua ultima band, le 3rdeyegirl.

La sua lezione, nella musica e nella vita, sul palco come nella cinepresa, lascia un impronta indelebile nella cultura del ventesimo secolo. E ora, forse, vedremo una sfilza infinita di dischi postumi, con la pubblicazione dei brani che da decenni si dice siano chiusi in una cassaforte senza essere stati pubblicati. Di certo non mancheranno gli album a suo nome nei prossimi mesi ed anni, e saranno pubblicati proprio da quell’industria che così a lungo ha combattuto.

Ma non sarà quella la sua vera eredità. Perché di Prince ricorderemo le tante, straordinarie canzoni, le migliaia di esibizioni dal vivo. Ma a mancare sarà soprattutto l’anima dell’ultima vera rockstar degli anni ’80, lui che sapeva suonare tutto, comporre e scrivere di tutto, lui che sapeva ribellarsi contro ogni cosa per portare i limiti dell’arte un pochino oltre la soglia imposta dai suoi tempi. E questa è una cosa che succede poche volte nell’arco di un secolo. Una cosa di cui sono capaci solo i grandissimi artisti, i geni.

È questo, soprattutto, che mancherà dell’artista un tempo noto come Prince.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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