Addio a Ray Thomas, è morto il cantante e flautista dei Moody Blues
Il rock dice addio a Ray Thomas, indimenticato cantante e flautista della band britannica Moody Blues, nota soprattutto negli anni 60 e 70. Thomas è morto il 4 gennaio, come comunicato da una nota della sua etichetta: "È con profonda tristezza che Cherry Red Records e Esoteric Recordings annunciano che Ray Thomas, membro fondatore, flautista e vocalist dei Moody Blues, è morto all'improvviso nella sua casa nel Surrey, giovedì. Siamo profondamente scioccati dalla sua scomparsa e ci mancheranno il suo calore, il suo umorismo e la sua gentilezza: è stato un privilegio averlo conosciuto e aver lavorato con lui e il nostro pensiero, in questo momento triste, è con la sua famiglia e sua moglie Lee". Nel 2002, aveva lasciato i Moody Bues, band tuttora in attività, e nel 2014, aveva ammesso di soffrire di un cancro alla prostata.
La carriera nei Moody Blues e da solista
Thomas fondò i Moody Blues nel 1964, con il tastierista Michael Pinder, il chitarrista Denny Laine, il batterista Graeme Edge e il bassista Clint Warwick. Dopo un inizio in stile Beat-R&B, dal 1967 la band virò verso la psichedelia, anche grazie al contributo fondamentale di Thomas con il suo flauto traverso. L'artista scrisse tra il 1967 e il 1972 alcuni classici della band, come "Dear Diary", "Legend of a Mind", "And the Tide Rushes In" e "For My Lady". Nel 1974 uscì una prima volta dalla band, per pubblicare due album da solista, "From Mighty Oaks" (1975) e "Hopes, Wishes and Dreams" (1976). Nel 1977 partecipò alla reunion dei Moody Blues, che dal 1978 al 2000 pubblicarono sette album in studio e due dal vivo. Molto attivo nei primi tre (tra l'altro, scrivendo la mini-suite "Pained Smile / Reflective Smile / Veteran Cosmic Rocker") diraderà poi il suo impegno sia come autore che nei concerti. Il suo ultimo contributo è "My Little Lovely", del 1999.
Il successo di "Nights in White Satin" e la cover in italiano
Il brano più fortunato dei Moody Blues resta "Nights in White Satin" del 1967, gioiellino di pop psichedelico composto dal chitarrista del gruppo Justin Hayward (entrato nella band nel '66). All'inizio ebbe scarso successo, causa la lunghezza eccessiva per l'epoca, ma con gli anni il brano è divenuto cult, anche grazie a una nuova versione pubblicata nel 1972 e divenuta disco d'oro. Già nel 1968 ne era stata realizzata una cover in italiano, "Ho difeso il mio amore", cantata dai Profeti e successivamente reincisa dai Nomadi e dai Bit-Nik. Tra le tante rivisitazioni del brano, anche un'altra in italiano di Dalida ("Un po' d'amore"), una in versione elettronica di Giorgio Moroder e quella in sardo di Elena Ledda.