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Achille Lauro, l’album, Sanremo e mascolinità tossica: “Combatto i pregiudizi e ne faccio arte”

Achille Lauro torna con un nuovo album vero e proprio, “Lauro”. Un lavoro in cui torna a esplorare diverse sensibilità sonore e attraversa vari argomenti, partendo dalla sua carriera, e affrontando anche questioni di cui in questi anni è diventato simbolo, come la lotta alla mascolinità tossica.
A cura di Francesco Raiola
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Nel 2018 Achille Lauro pubblicava Pour l'amour, album che in qualche modo avrebbe raccontato l'evoluzione che avrebbe preso l'artista romano. Dentro quell'album c'erano i semi della poliedricità con cui si sarebbe confrontato in futuro, sia a livello sonoro che d'immagine. Nella cover dell'album e in quella di "Angelo blu" (ma già in "Ragazzi madre" a dire la verità) c'era tutto quello che avreste dovuto sapere sulla sua idea di mascolinità tossica. Dopo quell'album ne sono venuti tre che hanno analizzato un diverso genere e un diverso periodo. Con "Lauro", l'album che esce oggi, il cantante è tornato a comporre un album dalle varie anime e sfaccettature. Dentro, infatti, ci sono non solo vari riferimenti (da Prince a Vasco Rossi), le solite citazioni cinematografiche e pop in generale, ma anche la scrittura prende varie direzioni, alternando vere e proprie storie ("Marilù") ad altri costruite per immagini ("Generazione X"). In questi anni qualcuno è rimasto sconvolto, ma l'impressione, alla fine, è che Lauro non sia altro (e non è poco) che un artista che decostruisce se stesso, in continuazione, per trovare una strada nuova. Decostruisce l'idea di mascolinità tossica in cui è vissuto, rompe lo schema che poteva permettergli di conservare il suo pubblico, rompe con le regole musicali e di scrittura. A noi piace, ma questo è un dettaglio, perché in fondo chi maneggia questo materiale che alcuni chiamano arte, alla fine deve sporcarsi, e anche essere divisivo. Di questo e altro ne abbiamo parlato proprio con Lauro.

Pour l’amour è stato un album seminale, anche per te. In Lauro, come succedeva lì, c’è una varietà stilistica importante. Col senno di poi abbiamo capito che quelli erano semi della tua nuova strada, vale anche per Lauro? Che idea avevi?

Io scrivo tanta musica, se non ho niente da dire non scrivo nulla, altrimenti in tre giorni scrivo 15 pezzi. Avevo tanti brani da parte e nel 2020 ho deciso di far uscire questi progetti side, da "1969" che era un vero e proprio album e poi i suoi figli che sono stati "1990" e "1920": erano progetti notturni, nati nella massima spontaneità. Lauro riparte un po' dai veri miei stati d'animo, sono le mie canzoni, le mie poesie, alcune sono quasi state scritte senza musica, poi arrangiate, altre scritte con dei giretti di chitarra miei. A livello di sound si divide in due grandi macroaree e anche di feeling: quella introspettiva, proprio tempesta dell'anima e quella punk-rock-grunge, può essere incasellato lì.

Incaselliamolo, ma dentro ci sono cose che vanno anche oltre questi generi, no?

A grandi linee troviamo tante sfumature perché fanno parte delle sfumature del mio carattere. La mia musica parte da lì, di conseguenza, sì, in qualche modo c'è un legame con Pour l'Amour, anche lì c'erano sfumature del mio carattere, era un album a tratti di musica elettronica ma anche crossover col cantautorato: c'era "Penelope" ma c'era "Angelo blu". Nella copertina di Lauro si incarna un po' il senso di tutto, innanzitutto perché abbiamo la seconda possibilità, quella "O" in rosso come per dire che c'era stata una fine ma ho deciso di prendermi una seconda possibilità. Associato a ogni lettera, poi, c'è un genere musicale che ho presentato durante Sanremo: il glam rock, il rock and roll, la musica pop, intesa come musica popolare, il punk rock e classic orchestra che vanno a comporre il nome Lauro e vanno a comporre i generi che hanno caratterizzato il mio percorso.

Tu parlavi di due grandi macroaree e io le vedo anche nella scrittura, con canzoni – penso a Marilù – scritte a mo' di storie, più lineari, e altre fatte di immagini – penso a Generazione X -, possiamo vederlo anche lì questo schema?

La cosa principale è che la mia musica nasce dalle sfumature caratteriali: quanti stati d'animo attraversiamo durante una giornata, un mese, durante una vita? Quante personalità siamo? Quanto un giorno ti svegli in un modo e un altro in maniera diversa? Io semplicemente fermo quei momenti.

In effetti in Lauro sei un po' Vasco, un po' Prince, sei Lauro, ovviamente…

Penso che alla fine ognuno è il frutto di quello che è stato nella propria vita e l'opera musicale è una centrifuga di tutto. Non solo dei riferimenti musicali, ma anche dei discorsi, di quello che ci stiamo dicendo noi adesso, l'ispirazione è ovunque, è qualunque cosa.

In "Lauro", la canzone, ripercorri la tua storia: “Ho scelto le stelle” (“Scelgo le stelle” da Immortale), "Dio c’è" (secondo album), "so che te ne freghi", "A casa da Sandro", "Barabba", "Pour l’amour", "Rolls Royce". Che carriera è stata la tua?

È stato ogni giorno saltare nel vuoto, ma è stato giusto così. Infatti se mi chiedessero se rifarei tutto quello che ho fatto, risponderei di sì, anzi spronerei la gente a saltare nel vuoto. Quando andava di moda l'urban io comunque già ero un outsider e vestivo pantaloni stretti e camicette e il borsello a tracolla come va di moda adesso, ma prima era figlio della mia permanenza adolescenziale nella periferia romana. Con l'urban ho fatto il salto in un mondo che era da esplorare, poi quando sono diventato esponente di quel mondo lì ho fatto Pour l'amour, che era un crossover tra musica elettronica, samba, trap. Quando siamo diventati ancora più grossi ho detto: "Signori, vado a Sanremo" e la gente m'ha detto che non stavo bene. Non solo andavo a Sanremo, ma lo facevo con "Rolls Royce", un pezzo punk che mi dicevano che non avrebbe mai funzionato. E così è stato sempre. L'anno dopo con Me ne frego, quando dissi che volevo mettermi la parrucca, mi dissero che se non m'avevano cacciato l'anno prima l'avrebbero fatto quell'anno.

Sono cose che facevi anche prima, poi è vero che Sanremo ha amplificato tutto e quel modo di essere e apparire è apparso quasi scandaloso. Come hai vissuto questa dicotomia tra chi ti criticava e chi ti osannava come portatore di un messaggio di inclusione?

Io avrei potuto tenermi il pubblico che avevo tre anni e mezzo fa, consolidarlo, allargarlo etc, ma non ho paura di perdere il mio pubblico, non ho paura, domani, che finisca tutto, non mi interessa della popolarità intesa come andare nella discoteca e stappare la bottiglia, io porto solamente quello che penso. Per quanto riguarda la parentesi sanremese ho fatto quello che, appunto, ho sempre fatto, ho costruito un vestito alla canzone rimanendo sempre coerente e restando me stesso, perché nella mia musica cambiava il sound ma l'anima era sempre la stessa, ho sempre parlato di quello che ero io in quel momento.

E come cambia il racconto con la popolarità?

Quando ho firmato il contratto discografico grosso mi sono trasferito a Milano, ho iniziato a mettermi al tavolo con le multinazionali e non parlavo più della panchina, parlavo del "voglio una vita così". Posso parlare del mio mondo, che è stato quello della periferia e che vivo ancora, ma da un altro punto di vista, quello di "Solo noi", cioè noi generazione fuori controllo, ma sono stato sempre coerente e sono contento che qualcuno possa pensare che c'è qualcosa di più, perché così è, c'è un messaggio dietro la performance, ci sono più chiavi di lettura. Poi c'è anche il passatempo, il mi diverto e me ne frego, ovviamente.

Uno degli argomenti di cui sei diventato simbolo è il contrasto alla mascolinità tossica argomento che affronti in "Femmina" e non solo e che immagino sia complesso affrontare se hai vissuto in certi ambienti. Com'è stato diventare un simbolo?

Io sono cresciuto in quel tipo di ambiente, a cui effettivamente manca una base culturale per fare dei discorsi che andrebbero fatti nel 2022, ovvero i diritti umani, la libertà di lasciare spazio a tutte le persone, accettare e confrontarsi con le diversità, poi ci sarebbe anche da affrontare il tema di cosa sono le diversità. Per me anche parlare di diversità, oggi, è fuori luogo, purtroppo capita che a volte in periferia soffri lo stato di abbandono, la Cultura non ha un posto, non c'è istruzione e di conseguenza nascono tutte queste dinamiche. Io sono contento di essere il portavoce di quel mondo, cercando, però, di inserire nuove tematiche: sono un po' vittima e un po' figlio di quel mondo lì e di conseguenza sono anche un po' allergico a quella sfumatura di quel mondo. Io amo la periferia, amo Roma, amo la poesia nascosta nell'abbandono, la genuinità delle persone, ma come tutto ci sono anche lati negativi.

Prendere posizione su questi argomenti non è semplice e per un artista popolare vuol dire anche beccarsi insulti, immagino, no?

Ma l'insulto ci sta, è il contrappeso del successo. Bisogna essere intelligenti a non dare peso a quello che arriva dall'esterno. Se la critica è costruttiva, ovviamente, bisogna analizzarla, ma bisogna avere comunque molto chiara la propria visione. Tornando a "Femmina", il bello di quel brano è che analizza una sfumatura caratteriale molto comune, quell'idea dell'uomo a ogni costo, questo bisogno di nascondersi dietro alla virilità…

Un'altra cosa interessante è che tu parli della Generazione X ma lo fai parlando alla Generazione Z, che forse a differenza nostra la vive discutendone in maniera differente rispetto alla mia e vivendo anche meno l'idea di barriera di genere, in ogni senso.

Penso che stiamo arrivando in un periodo di transizione importante per l'umanità, si va verso un mondo ecosostenibile, in cui si penserà il diritto umano sopra ogni cosa, verso l'inesistenza di generi musicali, l'idea del non offendere le altre culture e penso che i ragazzi di oggi siano già dentro questo meccanismo, quindi sono fiducioso per il futuro.

Mi parli, se ti va, di tutti questi riferimenti religiosi attraversano la tua arte, talvolta anche in maniera iconoclasta?

La rappresentazione visiva secondo me è importante, perché quell'iconografia rappresenta per l'Italia, Paese basato su questo tipo di raffigurazione qualcosa di misterioso, di onirico, qualcosa che tutti conosciamo, visceralmente intrecciato con la cultura popolare: la Madonna, San Francesco, sono icone che rappresentano qualcosa di forte a livello di concetto, nonché di misterioso, che lega tutti quanti, e di pop, ovviamente. Di conseguenza io sono uno che è nato e cresciuto con un'educazione cristiana e per quanto non creda nella religione ordinaria, sono profondamente credente, quindi è anche un rappresentare qualcosa che fa parte di me e in cui io credo. Metto sempre in mezzo Dio nei miei testi perché comunque per me il mistero della vita, di una figura che non conosciamo ma c'è, è qualcosa di reale, proiettata sia a livello visivo che autorale.

Insomma, possiamo dire che una delle tue caratteristiche è mettere in discussione tutte quelle che sono le tue certezze date e farne arte?

Mettere in discussione tutto è proprio la base della mia espressione artistica.

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