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Quando il rock italiano omaggiò Ivano Fossati

Vent‘anni meno pochi giorni fa, nel settembre 1994, vedeva la luce “I disertori”, album-tributo a Ivano Fossati che suscitò un certo interesse. Lo festeggiamo, nella speranza di vederlo magari ristampato.
A cura di Federico Guglielmi
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Ivano-Fossati
Ivano Fossati
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L'idea venne a Massimo Pirotta e Davide Sapienza, scrittori e agitatori culturali a più livelli, che lo organizzarono con genuino amore, in accordo con la Sony che lo pubblicò, benché senza grandi trionfalismi, con il glorioso marchio Columbia. Quando giunse nei negozi, subito dopo la pausa estiva, il CD venne accolto con curiosità e soddisfazione; i dischi-tributo a musicisti italiani non erano ancora diffusissimi, e Ivano Fossati – che da due anni aveva realizzato “Lindbergh” e due anni più tardi sarebbe tornato con “Macramè” – era un artista molto amato dalla platea rock, di notevole fama ma fuori da giri sputtanati. Insomma, il personaggio ideale cui rendere omaggio, anche se qualcuno non mancò di osservare, dando il la a un florilegio di scongiuri, che certi atti di riverenza erano di norma riservati ai morti. Il titolo, “I disertori”, faceva riferimento al quasi omonimo brano di “Lindbergh”, il solo in scaletta non firmato dal cantautore genovese; “Il disertore” era infatti una rilettura del celeberrimo inno pacifista di Boris Vian, risalente al 1954.

Ne "I disertori”, naturalmente, il pezzo di Vian non c'è, in quanto non “di Fossati”; ci sono però dodici episodi di alto livello interpretati da altrettanti gruppi e solisti – assai più numerosi i primi – che all'epoca, pur avendo alle spalle carriere anche lunghe, operavano nell'underground. Ad esempio gli Afterhours, alla seconda esperienza con l'italiano dopo la cover di “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano, che eseguono con fervore urticante ”La canzone popolare”, o i Diaframma di Federico Fiumani, che tingono di reggae la “Johnnie Sayre (Il perdono)” che fu dei Delirium. Poi i Gang, bravissimi nel personalizzare in chiave folk “Discanto” così come i Mau Mau con una “Panama” in odore di patchanka e gli Yo Yo Mundi alle prese con una vivace “Terra dove andare” (della quale fu approntato un videoclip) e l'ex Moda Andrea Chimenti con una liricissima “Una notte in Italia”. Fra gli (allora) emergenti destinati a un luminoso futuro figurano i La Crus di Mauro Ermanno Giovanardi e i Modena City Ramblers, che si appropriano nel vero senso della parola di “Naviganti“ e (scelta piuttosto scontata) “Gli amanti d‘Irlanda”, oltre ai Rossomaltese di Luca Gemma e Pacifico (il loro contributo è “La madonna nera”); nessuno, invece, si ricorda più dei Ciroma, che convincono appieno con una vibrante “Lunario di settembre”. Infine, le versioni forse meno fedeli ai modelli: quella jazz, strumentale, di "Passalento” a opera del Paolo Fresu Quintet e quella elettronica di “La volpe” (Dissòi Logòi).

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In una lunghissima intervista biografica rilasciatami nel 2001, sollecitato a parlare de “I disertori” Ivano Fossati si pronunciò in questo modo: “Ne fui molto colpito, perché non credevo di essere oggetto di tale ammirazione da parte di musicisti ‘giovani’. Onestamente, non mi sono ritrovato nell’intera scaletta, ma poiché per anni e anni ho predicato che la musica va manipolata, tagliuzzata e rivoltata non potevo certo scandalizzarmi se alcuni miei brani diventavano irriconoscibili. Anche se a volte i risultati mi lasciavano perplesso, dovevo riconoscere la libertà di interpretarmi in qualsiasi modo, prospettive insolite comprese”. Oggi, per aggiudicarsi una copia de “I disertori”, ci si può rivolgere solo al mercato parallelo del collezionismo, investendo una trentina di euro. L'album è infatti da tempo immemore fuori catalogo e non ci risulta che l'etichetta intenda rimetterlo in circolazione, sempre che ne detenga tuttora i diritti. Su YouTube, seppure con una qualità di sonora non esaltante, è comunque reperibile la massima parte del suo contenuto, ed è giusto così. Sarebbe un autentico scandalo se di operazioni nel complesso tanto riuscite si dovesse perdere la memoria.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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