Willie Peyote: “Non voglio essere portavoce di nessuno, non sei mai abbastanza per chi ti segue”
In questi anni Willie Peyote ha costruito una credibilità difficile da scalfire, ha riunito attorno a sé un pubblico fedele e ha scelto una strada lontana dalla moda e dai lustrini, scegliendo sempre con attenzione sia l'attitudine musicale che le parole con cui ha scelto di raccontare il mondo che lo circonda e se stesso. Neanche Sanremo è riuscito a scalfire questa cosa, anzi, quella era la cassa di risonanza giusta per far capire a tutti, anche chi non lo conosceva, chi fosse questo rapper torinese che ama i giochi di parole e soprattutto parlare schiettamente. "Pornostalgia" ne è l'ennesimo esempio, un album di cantautorato rap che non molla un attimo, in cui Peyote evita il piedistallo, anzi si mette continuamente in gioco, anche grazie a una scelta accurata dei feat.
Cos'è per te la nostalgia?
La nostalgia è un sentimento molto pervasivo, si fanno solo reboot di vecchi film, ristampe di libri, serie prese da vecchi film, insomma è un continuo guardarsi alle spalle. Io me ne sono accorto in maniera pesante quando si è fermato tutto, soprattutto perché prima c'era quel costante slancio – tornato anche adesso – nei confronti del futuro, c'erano tante novità, mentre quando si è fermato tutto mi sono reso conto che la nostalgia era più plastica anche perché non c'era niente davanti.
Cosa significano per te popolarità e successo?
Secondo me bisognerebbe imparare la differenza tra avere successo ed essere famosi che sono due cose diverse: la popolarità di per sé è inutile e non porta da nessuna parte e mi sembra che spesso la gente cerchi la popolarità fine a se stessa e non raggiungere il successo con la bontà di quello che fa. Quello un po' mi disturba: non è un mondo che detesto ma faccio fatica, talvolta, a trovare la mia posizione, perché risponde a delle logiche in cui non sempre mi rispecchio.
A proposito di popolarità, cosa ne pensi del palco di Sanremo? È un'esperienza che ripeteresti?
Ritengo che non sia il palco che fa l'artista ma è l'artista che gestisce il palco come può. Sanremo è di per sé il palcoscenico giusto e lo era l'anno scorso, in particolare, per dire quello che volevo dire, oltre a essere l'unico palco su cui si suonava. Mi è capitato di andarci, dire quello che volevo dire, essere anche capito più del previsto, ricevere un riconoscimento come il Premio della Critica, quindi perché tornare? Meglio di così non può andare. Però non è che mi sono buttato, in alcuni casi anche un contesto che è lontano da te può servire se hai cose da dire.
"I soldi non esistono" è il pezzo in cui hai collaborato con Jake La Furia e Speranza, ce ne parli?
Jake l'avevo conosciuto di persona, ma per me e per quelli della mia generazione è da sempre un punto di riferimento come rapper, per noi "Mi Fist" è un disco formativo. Con Ugo (Speranza) non ci conoscevamo però ho sempre avuto grande stima di lui, soprattutto della genuinità che trasmette non solo che racconta, poi la sua storia, per cui che nei primi momenti di popolarità tornava a casa per andare a lavorare in cantiere, ha fatto accrescere ulteriormente la stima perché molta gente che fa musica non ha mai lavorato un giorno, invece io mi sento più vicino a quelli che arrivano a far la musica dopo aver lavorato davvero.
"Come Robespierre taglio la testa ai re. Non sono il portavoce di nessuno tranne me". Eppure mi pare che tu sia uno degli artisti che più rappresenta l'idea di portavoce di un pubblico, no?
Non voglio correre il rischio di essere vincolato all'idea degli altri, un po' perché mi sento vincolato io, appunto, e un po' perché non se ne esce visto che non sei mai abbastanza per chi ti sta di fronte. Non voglio essere portavoce di nessuno perché esserlo, oggi più che mai, è ancora più difficile, e si rischia di fare la fine di Robespierre, ovvero che prima sei un grande rivoluzionario e poi la testa la tagliano anche a te. Invece c'è chi si comporta in maniera messianica, come se stesse cambiando il mondo, quindi se non hai quell'atteggiamento già, in qualche modo, il tuo essere punto di riferimento viene gestito in maniera diversa anche dal pubblico.
Crescere cosa significa per te?
Secondo me significa cambiare imparando da ciò che ti è accaduto. Per esempio Sanremo è un'esperienza che mi ha insegnato molto, non solo nel rapporto col mezzo televisivo, ma anche per la capacità di gestire determinate pressioni, determinati palchi, confrontarmi con una serie di personalità e professionalità del mondo dello Spettacolo. Quello ti fa crescere molto, poi secondo me è la capacità di cambiare che fa la differenza nei grandi artisti, non rimanere sempre uguali a se stessi, fare in modo che tutto quello che impari ti porti da un'altra parte, ma anche non fare mai due volte la stessa cosa. Non avrebbe avuto senso il successo di "Mai dire mai" mi portasse a fare sempre pezzi con cassa dritta, con quel tipo di sonorità e approccio al testo, sarebbe stato troppo facile e poi l'effetto sorpresa, ormai, era già finito.
In cosa sei cambiato di più?
Credo che nel mio caso sia più la modalità di scrittura che fa l'identità. Mi piacerebbe che si sentisse il cambio nella scrittura, ma non è immediato. Quello del grillo parlante è un ruolo che mi sono preso scrivendo in un certo modo ma da cui è impossibile uscire.
Come ti alleni ad avere un punto di vista aperto e uscire dalla bolla personale?
Intanto non circondandosi di persone che ti danno sempre ragione, cerco di non farlo anche al lavoro. Nel disco la metà dei feat capovolgono il mio punto di vista nella canzone a cui partecipano, mi piaceva mettere un contraddittorio dentro al disco. Con i ragazzi con cui lavoro ci sono tante idee diverse, secondo me si inizia confrontandosi non per forza con l'idea più opposta alla nostra ma senza dubbio circondandosi di persone che mettano in dubbio costantemente le tue certezze. Questo è un rapporto che sono riuscito a sviluppare anche col pubblico.
In che senso?
Spesso sento che chi mi ascolta non è d'accordo con me, però gli piace il modo di esporre, ma a me piace l'idea per cui non siamo per forza d'accordo, se no è limitante, diventa una setta e non è quello che mi interessa.
In "All you can hit" contesti i meccanismi che regolano il sistema discografico. Non trovi che tuttavia sia lo stesso da cui provieni?
No, nel senso che negli ultimi cinque anni le cose sono cambiate dieci volte, dal 2019 quando è uscito il mio ultimo album, a oggi il mondo discografico è totalmente un altro, la velocità con cui si consuma è un'altra, il genere musicale di riferimento è un altro, i suoni che si usano sono altri e con un pezzo come quello con cui andai molto bene in radio nel 2019, oggi non ci sarei neanche entrato in radio. O pensa alla velocità con cui si consumano i dischi: passava già poco tempo nel 2019 ma oggi in due settimane che tu sia il più grande artista d'Italia o uno che ha avuto un buon esordio il tuo disco lo hanno dimenticato tutti. Io mi sono fatto conoscere in Italia in un periodo in cui non c'era neanche Spotify, quindi per quanto fosse simile a questo periodo storico non è affatto questo periodo storico. Fino a poco tempo fa la radio e Spotify viaggiavano su binari separati mentre oggi c'è totale identità dell'offerta quindi è diverso ancora.
(Intervista con la collaborazione di Andrea Parrella)
Il tour di Willie Peyote
- 29 GIUGNO 2022 FIRENZE Ultravox
- 30 GIUGNO 2022 ROMA Rock In Roma
- 01 LUGLIO 2022 PERUGIA Umbria Che Spacca
- 03 LUGLIO 2022 NAPOLI Suona Festival – Ex Base Nato
- 08 LUGLIO 2022 COLLEGNO (TO) Flowers Festival
- 13 LUGLIO 2022 PISTOIA Pistoia Blues – Storytellers
- 19 LUGLIO 2022 MILANO Ippodromo Snai San Siro
- 23 LUGLIO 2022 MARINA DI CAMEROTA (SA) Meeting Del Mare
- 29 LUGLIO 2022 GRADISCA D’ISONZO (GO) Castello
- 06 AGOSTO 2022 SOGLIANO AL RUBICONE (FC) SoglianoSonica
- 16 AGOSTO 2022 BRESCIA Festa di Radio Onda D'Urto
- 21 AGOSTO 2022 MOLA DI BARI (BA) Locus Festival
- 22 AGOSTO 2022 GALLIPOLI (LE) Parco Gondar
- 30 SETTEMBRE 2022 TREZZO SULL’ADDA (MI) Live Club