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Vedere i Maneskin in concerto vale la pena: potrebbero essere il rito rock delle nuove generazioni

I Maneskin sempre più padroni di un palco poco scenografico perché i protagonisti sono loro quattro (e il loro pubblico)
A cura di Francesco Raiola
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Maneskin al Palapartenope di Napoli (ph Fanpage)
Maneskin al Palapartenope di Napoli (ph Fanpage)

Ci sono i fatti e ci sono le impressioni, vale per tutto, anche per la musica. I fatti dicono che i concerti dei Maneskin sono sold out e che il pubblico è entusiasta come poche volte li abbiamo visti in altre occasioni. L'impressione, che rafforza quello che la band sta facendo è che andare a un loro concerto non è solo andare a un concerto per ascoltare le loro canzoni, per incontrare altri fan, per vederli fisicamente sul palco, per cantare con loro, ma anche esserci per assistere a un piccolo evento (la cui portata dipende da come viviate la musica, il successo e compagnia bella). Insomma: come suona dal vivo la band italiana più conosciuta all'estero di sempre? Come posso non vedere cosa combinano questi quattro ragazzi che in due anni hanno visto rivoluzionarsi completamente la propria vita? Posso veramente non andare a vedere la risposta del pubblico a questo fenomeno? Ma quindi i ragazzi si entusiasmano ancora per le chitarre (questa è la domanda di chi ormai si è un po' impigrito)? Tutto questo è nella testa nei momenti precedenti all'inizio del concerto, perché a quel punto, per fortuna, c'è soprattutto la musica.

Forse non avevo mai sentito un boato così forte all'ingresso di un artista al Palapartenope. O forse la nostra memoria labile ci gioca brutti scherzi, però, senza dubbio, se non il più forte, l'apparizione dei Maneskin sul palco del palazzetto di Fuorigrotta ha portato con sé uno dei boati più impressionanti che abbia visto. Sono stati due, anzi: il primo è arrivato quando il telone rosso che copriva il palco ha mostrato le ombre della band che saliva sul palco attaccando "Don't wanna sleep", il secondo c'è stato quando quel telone è caduto, mostrando viso e corpo della band che da un paio d'anni, ormai, può vantare il titolo di band italiana più amata all'estero. Dalla posizione in cui ero, centrale, in fondo e rialzata, ho visto i cellulari che si sono alzati contemporaneamente per filmare quell'apparizione e la sensazione non è stata di fastidio: grazie alle luci del set, quei cellulari componevano un puzzle rosso che sembravano una marea che si infrangeva proprio sul palco.

I Maneskin a Napoli coi fan sul palco (ph Fanpage)
I Maneskin a Napoli coi fan sul palco (ph Fanpage)

Un attimo dopo quel boato è cominciato un lunghissimo singalong, durato ininterrottamente per le due ore di show, che Damiano riusciva a coprire solo grazie all'amplificazione. Non è campanilismo, solo osservazione, i video provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo, ormai, mostrano come sia pratica comune: abbiamo visto il pubblico brasiliano cantare a memoria Coraline, in italiano, ovviamente. Succede sempre? Sì, certo, succede spesso, soprattutto con set che sono rock, ma la sensazione è che si sia abbattuta quell'idea per cui il pubblico era con loro per un po', come spesso capita a chi esce dai talent, invece i Maneskin hanno conquistato, soprattutto sul palco, il rispetto che si deve a chi in power trio riesce a creare un muro di suono che forse non ti aspetti. Chi scrive non è sempre stato generoso con loro, soprattutto quando, usciti da X Factor, rischiavano la deriva "cover band". Poi i live successivi gli hanno fatto comprendere che ok le sequenze, il barocchismo, ma forse era più divertente togliere, piuttosto che aggiungere.

Il concerto non lascia molto spazio all'eccesso scenografico, a parte quelle fiamme che si alzano alle spalle di Ethan durante Gasoline. La scenografia la fanno loro, prima vestiti, poi mezzi spogliati, mentre si scatenano sul palco o quando fanno crowdsurfing tra la folla, o quando Damiano e Thomas abbandonano il palco principale per il mini set acustico. Lo spettacolo devono essere loro: il basso di Victoria, la chitarra di Thomas, la batteria di Ethan e la voce di Damiano. Il set della band ha abbandonato le cover, restano solo Beggin' ("Non so mai come presentarla, Beggin è un po’ la nostra canzone") – che ormai è più di una cover – e Amandoti, ormai hanno un catalogo che gli permette di pescare a piene mani per un paio di ore di set.

Il pubblico è vasto, giovane e giovanissimo, questo ormai è assodato, ma non solo: però è quel pubblico che è bello vedere scatenarsi. Benché sia sempre stato affascinato dall'entusiasmo dei fan, con l'età che avanza quell'entusiasmo si moltiplica quando vede preadolescenti che si battono il petto urlando faccia a faccia con un'amica mentre Damiano canta Coraline, o quando un ragazzino, in estasi, canta tutte le canzoni a occhi chiusi scatenandosi e commuovendosi. Non ci vuole molto per scaldare i cuori dei fan che seguono pedissequamente quello che chiede Damiano: battere le mani, alzare le mani, saltare, cantare, fargli sentire quanto è calda la città. Pubblico che diventa protagonista durante quello che chiameremo "momento Iggy Pop" (con quella ritualità che ricordano anche i concerti di Springsteen), quando la band fa salire un po' di pubblico sul palco, diventata un'abitudine ormai, e soprattutto, a proposito di campanilismo, c'è il momento tra il set principale e il bis in cui tutto il Palapartenope canta ‘O surdato nnammurato.

Fuori, intanto, tutta la zona è bloccata, c'è un traffico eccessivo per essere le 23, il maxicinema lì vicino sta chiudendo, ma c'è un afflusso enorme di auto, tante sembrano in coda, invece sono solo parcheggiate in seconde e terze file. Dentro ci sono padri, madri, talvolta padri e madri che aspettano l'uscita dei figli e delle figlie. Che aspettano, insomma, la fine di questo spettacolo che meraviglia noi, più adulti, poco abituati a vedere quel rito collettivo avvenire per una rock band italiana e non per un rapper.

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