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Ultimo si mette alle spalle le polemiche con Mahmood: “Voglio lasciare a Sanremo un ricordo diverso”

Ultimo si prepara a tornare al Festival di Sanremo con Alba, nome anche dell’album che uscirà il 17 febbraio. Fanpage lo ha raggiunto per farsi raccontare questo nuovo progetto.
A cura di Francesco Raiola
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Quando Ultimo decide di aprire casa per parlare un po' dell'album, di "Alba", la canzone che porterà a Sanremo, del festival e della sua musica, un temporale sta squassando Roma. Un pianoforte di legno, messo al centro del giardino, è vittima della furia della tempesta, gli ombrelli si spaccano e noi siamo completamente zuppi. Chi volesse cogliere qualche inesistente segnale divino penserebbe che forse è il tempo ideale per incontrare Niccolò Moriconi, uno degli artisti con la carriera più fulgida e fulminea di questi ultimi anni. Ultimo si porta sulle spalle la fama di essere un artista malinconico, sarà quella sua passione per il piano voce, per le sue melodie, i racconti delle sue canzoni, e lui non fa molto per smentire questa sensazione. Di una timidezza che talvolta sfiora il distacco, il cantautore romano si prepara a questo suo terzo Festival cercando di ribaltare quanto successo nel 2019, quando perse con Mahmood e non riuscì a trattenere la delusione durante la conferenza stampa finale di cui questo incontro casalingo con la stampa è certamente una coda. Un modo per raccontarsi diversamente da un certo stereotipo a pochi giorni dal ritorno sul palco dell'Ariston e dall'uscita dell'album ("Alba" uscirà il 17 febbraio). E in effetti sebbene all'inizio sembri sempre un po' scostante – in parte giustamente, non essendoci confidenza pregressa tra di noi – bastano pochi minuti, e lo spostamento dal divano al pianoforte, perché la diffidenza si sciolga un po' e col tempo che man mano si scurisce e ci si avvia verso la sera, Niccolò si racconta così a Fanpage.

Arrivi con un pezzo che fa parte del tuo percorso. Cosa rappresenta questo ritorno a Sanremo?

Io non credo che sia una delle mie solite canzoni. Credo anzi che in termini di produzione sia qualcosa di diverso, perché è un pezzo che non ha il classico schema strofa-ritornello-strofa-ritornello, ha un crescendo che poi diventa altro, e non ha una struttura definita. Questo non vuol dire che è una cosa migliore o peggiore, semplicemente non è una canzone che ha, in assoluto, delle misure già prestabilite. E parlando del testo, tralasciando le strofe che secondo me sono la parte un po' più "terrena", ha nei ritornelli una riflessione che è un po' più astratta, più eterea. Tant'è che è una canzone che non parla d'amore, se non in una frase in cui tratto l'amore quasi come una cosa universale. Quando dico: "E quando vivi un giorno bello ridi e pensami, a me basta solo questo per non perderti", perché poi in realtà l'amore è in tutte le canzoni, è in tutto. Scrivere una canzone d'amore, intesa come la descrizione di quando ti lasci con uno o quando ti fidanzi con una, è un conto, però poi anche "Alba", a suo modo, è una canzone d'amore, seppure non tratti temi di coppia. Però, appunto, l'amore in realtà è un po' ovunque ed è una canzone in cui io veramente faccio una riflessione con me stesso.

Ultimo si avvicina al pianoforte per mostrare cosa intende.

Quando suono quello che chiamo ritornello o, insomma, quella che non è la strofa (suona, ndr) vedi come sale? Non è un ritornello standard, sai, mi piaceva questa salita melodica, di note, che di grado in grado arriva al massimo che ho nella voce, ché più di quello non potevo.

Non hai alcuna paura che salendo salendo l'emozione possa giocare brutti scherzi su quel palco?

No, no, assolutamente. Io non vedo l'ora, anzi ho la sensazione opposta, a me piace proprio buttarmi lì. Ma il motivo per cui vado è proprio questo, ovvero la sensazione di buttarmi e di far sentire una cosa che secondo me è diversa. Credo che Alba sia una canzone diversa, perché non ha un ritornello, ha una struttura un po' sua e il testo è una riflessione che ti spinge a pensare, tutto qui. Poi come ho scritto su Instagram le canzoni, per molti, rimangono canzoni e va bene così, però mi piace anche cercare di far capire che una canzone non è solo una canzone, perché io la vivo veramente questa cosa, sto tutto il giorno su questo pianoforte a cercare di capire qual è la nota giusta, a studiare, a suonare, per me è veramente una questione di ossessione nei confronti della musica.

Ossessione che evidentemente ti ha portato, senza talent e con tanta gavetta, a fare gli stadi e ad avere un pubblico numeroso…

Qualche giorno fa pensavo proprio a questa cosa: a marzo 2016 è uscito il mio primo singolo ufficiale con la mia prima etichetta, quindi sono sette anni che è iniziata la mia attività discografica. E per me è sorprendente, dopo sette anni, avere questa risposta, come per esempio tre concerti allo Stadio Olimpico, col terzo già pieno a metà a pochi giorni dall'apertura delle prevendite. In più riflettevo come questi non siano i sette anni degli '80, dei '70, perché oggi che tutto è più veloce, non solo della musica, e questa cosa mi fa sentire doppiamente soddisfatto. Riuscire tutt'ora a continuare questa connessione emotiva con la gente che mi segue per me è un grande motivo d'orgoglio e non credo che sia così facile perché un conto è fare una hit, un conto non avere mai quel picco con una hit, ma avere tante canzoni che piacciono, e ogni fan c'ha la sua. Insomma, quello che sto provando a fare è avere un percorso discografico, un insieme di canzoni che valgano l'ascolto: questo è il quinto album per cui ho scritto ogni canzone, ogni testo, ogni musica per me è una soddisfazione clamorosa, è la mia vita, non è che canto le cose di un altro.

Da marzo 2016 sono passati sette anni, appunto, cinque dal primo Sanremo, che non sono tantissimi, ma hanno cambiato tutto…

Uno considera sempre una cosa sbagliata, ovvero pensa che io sia partito da Sanremo, che è vero se pensiamo al raggiungimento del grande pubblico, ma dietro c'è tutto un percorso che tanti non vedono. Prima di Sanremo giovani con Baglioni, dove mi presentai col "Ballo delle incertezze", c'è tutto un percorso che la gente non conosce, e non può conoscere, infatti non è che gliene facciamo una colpa, però una carriera non inizia quando uno va in tv. Andavo a suonare al San Lorenzo, facevo i soliti tre locali, pensa che c'è una pagina che ha tutti i miei video di quando suonavo lì, non so come facciano, però è curioso anche vedere quella parte lì che non si conosce. Io ho fatto di tutto, ho provato anche i talent e ciò che alla fine mi ha dato ragione è l'aver martellato come un pazzo, cosa che continuo a fare perché, posso piacere o meno, ma è il fuoco che ho dentro che mi porta a tornare a Sanremo per chiudere un cerchio artistico con quel palco. Ho quest'album, questa canzone, ma ho anche 26 anni e comunque faccio gli stadi, eppure sono cose che non mi danno quella sensazione di dire ‘Ok, ora mi siedo', io ho voglia di fà, in qualche modo.

Questo Sanremo è anche un modo, dopo le polemiche dell'ultimo, per chiudere più degnamente questo capitolo della tua vita? C'è una voglia di riscatto…

No, non di riscatto, ma di lasciare un ricordo diverso.

E l'aspettativa qual è?

L'aspettativa è che Alba, la canzone, arrivi veramente a più persone possibile. Per farlo le ho donato il palco più importante d'Italia, quindi su questo la mia musica non può dirmi niente. Aver dato ad Alba e al disco, che uscirà una settimana dopo, il palco più importante d'Italia mi fa stare anche a posto con la coscienza. Anche perché oggi un conto è funzionare nei live, un altro è funzionare discograficamente, perché c'è chi funziona nei live e non nella discografia, chi nella discografia e non nei live, c'è chi funziona in entrambe, ma per me, a 26 anni, è ancora importante scrivere la mia discografia, al di là dei live, è importante mettere fieno in cascina, continuare a scrivere canzoni, costruire una storia.

Ci tieni molto a questa cosa dello scrivere in fieri la tua storia: intanto hai fatto Sanremo, gli stadi, ora cosa vuoi fare?

Voglio fare più concerti possibile per tutta la vita, sento che il concerto è quello che mi dà qualcosa di diverso. Mi piace fare dischi in studio, stare lì, scegliere i suoni – sono veramente nerd dal punto di vista – ma mi piace anche studiare e continuo a studiare il piano, adesso sto prendendo una specializzazione in blues (comincia a suonare delle scale blues, ndr), cominciare a studiare le scale e scoprire nuovi mondi, perché quando uno dice che una canzone ha due accordi a volte non capisce che ci sono canzoni con due accordi che hanno un mondo dentro, quindi in realtà la musica c'ha mille modi per uscire però se perdi quel fuoco che io sento di avere perdi tutto.

E quali mondi stai scoprendo?

Io sono sempre stato appassionato, pur non avendolo mai studiato, di un mondo tipo quello di John Mayer, un blues un po' più melodico, perché io devo sempre essere un po' più malinconico (suona, ndr): tipo un pianobar triste.

Ultimo (ph Giulia Parmigiani)
Ultimo (ph Giulia Parmigiani)

E l'album pure ha qualcosa di queste tue nuove strade?

L'album non è un concept, ogni canzone è un mondo, sono affezionato a tutte però ci sono delle frasi e dei concetti che descrivono un po' l'album, tipo "Le solite paure" che una canzone piano e voce del disco e che è un po' la sorella gemella di "Sogni appesi" che è un'altra mia canzone piano e voce. Questa canzone ha una frase che è un po' simbolica, a un certo punto, infatti, dico: "È vero, dovrei avere anche una vita, ma ho scelto di usare la mia per crearne una collettiva", cioè, siccome sto veramente tutto il giorno su ‘sto pianoforte, vivo nella musica, sono immerso come un sasso nell'acqua e tante volte mi dicono ‘Stacca un attimo, esci, fai altro", io rispondo a questa ipotetica accusa spiegando che sì, dovrei avere una vita, c'hai ragione, però ho fatto una scelta, che è quella di provare ad avere una vita collettiva e ti assicuro che quando arrivano i concerti negli stadi, ma anche quando vado al bar o a mangiare da una parte tanta gente dice: "Grazie a questa canzone ho passato questo momento", per esempio, capisco che la musica non è solo musica. Per questo dico che una canzone non è una canzone, c'è molto di più dietro. E mi spinge poi a voler scrivere sempre di più, a voler fare sempre meglio.

Possiamo dire che questo è l'ultimo capitolo della tua vecchia vita e poi dalla prossima…

La prossima sarà da bluesman (ride, ndr)

C'è sempre stato, nel tuo racconto, questo aspetto del riscatto, ma anche dell'essere sempre rimasto lo stesso: ma si può rimanere veramente sempre gli stessi?

Io non so perché uno è affascinato dall'artista o dalla persona che fa successo e che deve rimanere la stessa di prima. Non lo capisco, tutti cambiamo. Prima abbiamo detto che il primo album è uscito sette anni fa, ma chi è che dopo sette anni è lo stesso di prima? A prescindere da quello che fai, è impossibile! Molti hanno un'idea di successo che è totalmente sbagliata. Per uno come me è un mezzo per riuscire a vivere, per poter fare la mia musica, ma questo non vuol dire che scrivo canzoni per avere successo! Io faccio le canzoni perché mi emoziona quando mi metto al pianoforte, lo faccio innanzitutto per me.

Mi pare che a volte, però, sia complesso far comprendere questa cosa a un fan, no?

Sai perché? Perché alla parola crescita le si attribuisce per forza un qualcosa di positivo, ma è una cazzata, perché io posso crescere e diventare peggio di com'ero prima. Crescere è cambiamento e cambiare non vuol dire diventare migliori, ma vuol dire che in alcune cose diventi migliore, in altre peggiori e in altre cose resti uguale.

E che tipo di cambiamento porti nell'album Alba?

Innanzitutto ci sono canzoni che uno avrebbe potuto sentire in "Solo", per esempio, che sono un po' più intense. Però poi ci sono canzoni come "Alba", o un'altra che si chiama "Tornare a te", che ha qualcosa di diverso, una scrittura un po' più eterea, più astratta, meno didascalica. E siccome in un disco si inizia sempre con due-tre pezzi, poi ne fai quattro e così via, penso sempre: "Chissà dove andrò?". Mi piacerebbe andare verso una scrittura che ti dà un po' più di sensazioni. Ti dicevo di questa canzone, "Tornare a te" in cui, nel ritornello, dico: "Vuoi sapere cosa penso? A volte a casa rido e penso a te. Eppure dici è strano farlo, sì, forse è vero eppure boh, vabbè, mi fa tornare a te". Cioè è una specie di flusso di coscienza, dire "sì, forse è vero eppure boh, vabbè", scritto così è come vorrei provare a scrivere.

Qual è la cosa bella del percorso che stai scrivendo?

È bello avere un certo tipo di risposta con la mia musica, che può essere giudicata bella o brutta, però va in parallelo con la mia vita privata. Questa cosa mi dà soddisfazione, sapere che comunque a prescindere da tutto, nei miei dischi c'è un racconto che è andato in parallelo con quello che io vivevo e vivo veramente, oppure quello che avrei voluto vivere, che faceva, però, comunque parte delle mie fantasie di quel momento.

Quali sono le fantasie che hai realizzato con la notorietà?

Quando ero piccolo avevo in testa l'immagine di suonare all'Olimpico, quindi questa sicuramente è una. Alla fine ho realizzato tutto, vivere di musica, vivere facendo canzoni, è una grande fortuna. Io me ne rendo conto che è privilegio, che sono un privilegiato, però allo stesso tempo c'ho veramente messo impegno, studio. Sai, a volte uno ascolta una canzone che gli sembra semplice, ma per farla sembrare così semplice c'è uno studio importante, in fondo non è che devi fare un giro di blues o una pentatonica per far vedere che sai suonare il piano.

Ci lotti con questa cosa dell'aspettativa?

Tante volte faccio un errore dal quale, per fortuna, ancora riesco a tornare indietro: comincio a scrivere una canzone pensando a chi e quando la sentirà. A quel punto comincia un processo un po' stupido, perché cominci a dire che ti piacerebbe fare un giro, ma ne fai un altro perché tutte le canzoni hanno quello e ti dici: ma perché? E poi magari trovo un compromesso. Invece un cantautore dovrebbe veramente fare, almeno nell'arte, le cose per se stesso. Credo che tutta la musica che ci colpisce è stata fatta per esigenza, questa è la verità, quando cominci a fare le cose perché devi piacere al giornalista o a quel tipo di pubblico o vuoi provare a fare la famosa hit è la fine. Ma poi che cazzo vuol dire "fare la hit?". Io conosco hit che non sono state scritte per essere hit, però poi lo sono diventate. Per questo l'approccio alla scrittura deve essere sempre vero, nel bene o nel male.

E qual è lo sfizio più grande che ti sei tolto? E non parlo esclusivamente di questioni economiche.

Poter avere un confronto con tanti artisti che ritengo tuttora maestri: con Antonello (Venditti, ndr), De Gregori, Claudio Baglioni, ce ne sono tanti.

Beh, dire "Oggi chiamo Antonello", non è una cosa da poco, no?

Quella cosa lì ti dà tanto, ti restituisce molto. A me piace proprio chiedere, non dico trucchi, ma suggerimenti o anche solo toglierti quella curiosità che hai sempre avuto, su cui a volte hai costruito castelli e scoprire che era una cosa molto più semplice di ciò che pensavi. Ecco, la grande fortuna è poter avere un confronto con grandi maestri e avercelo in modo naturale, senza doverlo fare in 30 secondi, di corsa, ma avendo più tempo anche per poter parlare.

Questa cosa vale anche per le delusioni? Non solo con gli artisti, ma pure col fan a cui capisci che interessa più la foto che la musica.

Guarda, io sono sempre molto comprensivo, anche perché mi metto sempre molto nella testa del fan che chiede solo la foto o di un artista a cui vai solo a chiedergli una cosa e casomai non ha voglia di parlare. C'è una canzone di De Gregori che si chiama "Guarda che non sono io" in cui racconta di quando torna dal fare la spesa, e c'è chi lo riconosce, lo ferma e lui dice: "Guarda che non sono io. E guarda che non sto scherzando, guarda come sta piovendo, guarda che ti stai bagnando, guarda che ti stai sbagliando". Ecco quel concetto lì di De Gregori che dice "Guarda che non sono io" è bellissimo, perché è così. Cioè, non è che Totti va in giro palleggiando, ha una sua vita che magari è pure deludente per il fan, da un certo punto di vista: ha una vita fatta di spesa, di voglia di farsi una passeggiata, leggersi un libro, ovvero qualsiasi cosa che è molto più normale. Per questo dico che il successo è più idealizzato che vissuto.

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