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Ufficio stampa musicale: istruzioni per l’uso

A quanto pare, nel circuito della musica “alternativa” sono in molti ad attribuire grande importanza agli uffici stampa. Giusto o sbagliato? Proviamo a capirci qualcosa.
A cura di Federico Guglielmi
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Scrissi il mio primo articolo sul rock italiano, dedicato ai dischi d’esordio di Gaznevada, Confusional Quartet e Stupid Set, nel mese di giugno di trentacinque anni fa, e da allora sono stato attento e appassionato cronista di tutto ciò che di bello, di meno bello e pure di brutto è accaduto in tale controverso settore. Non lo sottolineo per fare “lo sborone”, come si dice in Romagna, ma solo per far capire a chi non mi avesse mai sentito nominare che conosco bene il tema di cui mi occupo qui su Fanpage.it. Mi sento un po’ come il replicante di “Blade Runner” interpretato da Rutger Hauer, quello che aveva “visto cose che voi umani…”, con la non trascurabile differenza – lui era costretto a fuggire, io (ancora?) no – di poter condividere quanto appreso prima che finisca perso “come lacrime nella pioggia”. Ok, smetto di tergiversare e vado al punto, rivolgendovi una domanda: “Sapete cos’è un ufficio stampa?”. “Ovvio", risponderete all’unisono, “è una struttura che sta nel mezzo tra chi vuole promuovere qualcuno o qualcosa e il mondo misterioso e difficilmente accessibile dell'informazione". Nient’altro che questo, con le dimensioni e le modalità di comportamento che cambiano, e nemmeno poco, a seconda del fatto che il prodotto da vendere sia rivolto alle masse o a una nicchia di pubblico. Perché parlarne qui? Perché sempre più musicisti rock (in senso lato) underground, emergenti e quasi famosi vogliono avere le idee chiare sulla questione. Un ufficio stampa serve davvero? E, se serve, come dovrebbe funzionare? Interrogativi rilevanti e impellenti, altro che le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione o i raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.

Non mi sono messo a contarli, non voglio stranirmi troppo, ma andando a braccio gli uffici stampa che si occupano di musica italiana alternativa, indipendente e autoprodotta, e che mi cercano più o meno regolarmente, sono oggi svariate decine. Forse arrivano persino a cento. Dieci volte quelli operanti fino a non molti anni fa, come d’altronde dieci volte di più sono gli artisti reali o sedicenti che sgomitano sognando di ritagliarsi un posticino al sole e, per via di Internet, i cosiddetti giornalisti. In questo scenario simile a un girone dell’Inferno di Dante (il Sommo Poeta, non il rapper), dove quasi tutti corrono come criceti nella ruota ma non arrivano da nessuna parte perché l’offerta è di gran lunga superiore alla richiesta del mercato, la confusione è grande. Anche nel campo degli uffici stampa. Ci sono quelli gestiti da una sola persona, quelli dove i compiti sono suddivisi fra due o tre soci, quelli di proprietà di un boss che delega i rapporti con i media a ragazzetti/e spesso a digiuno di musica nonché ignari della storia e del ruolo del loro interlocutore; ci sono quelli professionali e quelli cialtroni, quelli che insistono fino allo sfinimento e quelli che si limitano a inviare una mail e sperare in una replica, quelli che amano gli artisti che sostengono e quelli che pur di intascare il migliaio di euro (ma c’è chi pretende il doppio) pattuito per le loro prestazioni curerebbero gli interessi persino del duo Himmler & Mengele. In che consiste il loro lavoro? Promettere ai clienti il massimo impegno nel rappresentarli, redigere un comunicato, caricare qualche file (audio/video/foto/testi) del quale far girare i link, inviare eventuali dischi fisici, martellare per tre mesi – il tempo standard per una campagna – direttori, redattori e collaboratori di riviste, webzine, siti, radio e quant’altro per ottenere un trafiletto, una piccola immagine, una “toccata e fuga” in una playlist da sbandierare come obiettivi raggiunti. Le apparenze potrebbero ingannare, ma non è roba alla portata di chiunque: occorrono un database dei contatti, un minimo di pratica dell'ambiente, il “know how” essenziale, un luogo (attrezzato) dove svolgere quanto sopra e, soprattutto, la pazienza di Giobbe. Inutile (?) specificare, ed è logico che sia così, che l’entità del compenso non è legata ai risultati, ammesso e non concesso che da tali ipoteticissimi risultati derivi qualcosa di più tangibile di qualche bocconcino per nutrire l’ego.

Visto come le decine di uffici stampa in frenetica attività sottopongano ogni mese ai media centinaia di progetti, chi di ufficio stampa è privo ha ben poche possibilità di ottenere riscontri; può succedere, è naturale, ma non è il caso di trattenere il fiato nell’attesa. In quel mondo perfetto che esiste solo nelle mie fantasie, i responsabili degli uffici stampa dovrebbero fungere da filtro di qualità, rifiutandosi di alimentare le speranze dei numerosissimi “improponibili“ e appoggiando unicamente chi vale, ma ciò implicherebbe onestà e competenze che non tutti vantano. In più, diciamolo, quanti artisti e “artisti” accetterebbero il suggerimento di lasciar perdere, considerato come mercato e “mercato” premino spesso gente raccapricciante? L’addetto stampa sincero passerebbe per ottuso e/o incapace, a differenza di quello furbetto che, lavandosi la coscienza con il classico “bisogna pur campare”, dipingerebbe un futuro tanto luminoso “da dover indossare gli occhiali da sole” e incamererebbe i mille/duemila euro, per poi addossare le colpe dell’inevitabile gloria mancata ai soliti giornalisti superficiali, ignoranti e, perché no?, corrotti. Concedetemi una battuta: come se dalla corruzione si ricavasse un utile concreto, e soprattutto come se ci fosse, la materia prima con la quale corrompere.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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