Tony Tammaro: “Per interpretare il tamarro ho perso amici, ma le mie canzoni mi sopravviveranno”
Se vivi a Napoli e in Campania non puoi parlare di Super Santos, frittata di maccheroni e Ape Car, senza che la mente corra immediatamente a Tony Tammaro. Nome d'arte che racchiude in sé la sua idea di rock demenziale – anche se sulla questione "genere" c'è un po' di dibattito -, interpretando il ruolo del tamarro, appunto, per raccontare l'uomo comune, il popolo, e prendere in giro i tic dei ricchi giocando con i cliché e capovolgendoli, spaziando tra i generi. Qualche anno fa ha provato a espandere il verbo con un tour nazionale, eppure la sua connotazione resta molto locale ed è un peccato, perché Tammaro persegue la strada che fu degli Skiantos e degli Squallor, senza scimmiottare nessuno ma trovando una strada che ormai lo ha reso una vera e propria icona. Negli anni '90, quando le cassettine pirata davano vita a un vero e proprio mercato discografico parallelo, Tammaro andava via come il pane, e se da un lato a livello economico possiamo parlare senza dubbio di passivo, quel passaparola gli è servito per costruirsi una carriera che dura da trent'anni, cifra tonda che festeggerà con un concerto al Palapartenope di Napoli il prossimo 27 dicembre.
Cosa pensava Tony Tammaro, 30 anni fa, quando sognava di fare musica?
Pensavo: chissà come va a finire? Oggi penso: bene.
Come hai cominciato a fare musica e quando hai capito che la chiave tamarra era quella giusta?
Ho cominciato a suonare a 15 anni in una band che si chiamava La cantina sociale provavamo a Via Pigna nella sala prove della chiesa o a casa del chitarrista. In effetti, nelle canzoni che scrivevo per questa prima band, già c’era sentore di “musica tamarra”. La musica tamarra vera e propria nacque molto dopo. Avevo 29 anni e scrissi “Patrizia”. Già dalla prima sera in cui la cantai, viste le reazioni del pubblico, capii che avevo imboccato una buona strada.
Trent’anni dopo cosa hai imparato?
Ho imparato a non aver paura del pubblico. In fondo sono persone come noi e noi siamo come loro. Che c’è da aver paura?
Senti, è mai capitato di sentirti stretto nei panni tamarri?
Certo. Continuamente. Per questa dicitura “tamarro” che mi porto addosso mi sono giocato amicizie, soldi e amori. Spesso ho sentito dire: “Non chiamiamolo, è un tamarro” in realtà, il tamarro è il personaggio che interpreto. Chi mi conosce, sa bene che sono tutt’altra persona.
Una volta, parlando della tua musica scrissi che poteva rientrare nel “rock demenziale”, nel solco di artisti importanti come gli Skiantos, ma tu non fosti d’accordo. Come la racconteresti la tua musica a chi (quei pochi) che non la conosce?
Ve la spiego con un aneddoto. Un giorno ero alla Feltrinelli e l’addetto al settore dischi che mi conosceva aveva appena ricevuto un pacco di miei cd da collocare negli scaffali. Mi disse: “dove devo metterli i tuoi dischi? In canzoni napoletane non è possibile, in musica italiana no, in rock no, in canzoni per bambini nemmeno”. Ma che razza di genere è il tuo?” Non seppi rispondergli. La musica che faccio, probabilmente fa parte di un genere a se stante. Decisamente trasversale a tutti gli altri generi.
A volte il rischio è di pensare che Tony Tammaro sia un fenomeno locale, hai mai sentito che il successo poteva essere ancora più esteso?
Volutamente non sono andato mai in trasmissioni televisive “nazional popolari”. Desideravo la carriera lunga e l’ho avuta. A volte il successo nazionale fulminante raggiunto attraverso la televisione ha l’effetto collaterale di trasformarti in meteora dopo pochi anni.
Nel comunicato leggo: "Si è esibito dal vivo in tutti i 550 comuni della Campania". Hai un altro obiettivo da Guinness?
Beh, ora ci vogliono i 378 comuni del Lazio, i 258 della Puglia ecc. il mio è un lavoro “porta a porta”.
Sei sempre stato un cantore del popolo, che hai raccontato in tutte le salse, usando spesso oggetti simbolici come il Super Santos e la frittata di maccheroni, e hai cantato, contemporaneamente, l’ipocrisia dei ricchi. Ti sei sempre sentito capito o a volte hai sentito che la tua popolarità fagocitasse il messaggio?
Mi sento capito ma non da chi usa parole o ragionamenti per capire. Mi sento capito “a pelle”, “a sensazione”. La gente ascolta e sorride. Senza a volte spiegarsi il perché. Ci sono troppi messaggi subliminali e chiavi di lettura nelle mie canzoni. Forse dovrei dilungarmi a spiegare. Credo che lo farò con un libro. C’è tanto da dire.
A proposito di ricchi e poveri e di messaggi, come Cristina D’Avena pochi giorni fa, anche tu fosti al centro di una polemica politica quando cantasti per Lettieri. L’arte deve andare su ogni palco? Non può esserci anche selezione nel caso il messaggio non coincida col committente?
In Italia si vuole appiccicare l’etichetta di destra o di sinistra anche alla mortadella (Giorgio Gaber docet). Io credo che un cantante come me sia neutro come lo è Paperino. La D’Avena poi è Minnie. Si canta per tutti. Mica quando vedo uno ridere con le mie canzoni gli chiedo: “sei di una corrente politica diversa dalla mia? Allora smetto di cantare. Non voglio che tu rida”.
Il concerto napoletano avrà tutti i successi, immagino. Ci racconti come l’hai costruito?
Piccola inchiesta sul web: "Cosa volete che vi canti?" e, dopo pochi minuti, era pronta la scaletta. Un po’ lunga. Qualcosa l’ho dovuta tagliare.
Senti, cosa ascolta nella quotidianità Tony Tammaro? Riesci a stare appresso anche agli ascolti contemporanei?
La trap mi annoia con tutti quei riferimenti a Lamborghini, Rolex e ragazze degli altri da portarsi a letto. Amo il jazz, ma la mia passione più grande è la musica Techno.
C’è gente che lotta una vita per cercare di trovare una canzone che gli dia il successo e l’eternità artistica. Ti fermi mai a pensare a quanto Tony Tammaro sia diventato un’icona e questa nella conquista di questa immortalità artistica sia a un punto molto avanzato? Che effetto ti fa?
Quando ho preparato la scaletta per lo spettacolo del 27 dicembre al Palapartenope, mi sono reso conto di aver piazzato quasi 30 hit nelle classifiche non ufficiali di regione Campania e limitrofe. È un grosso privilegio per un cantautore sapere che i tuoi testi e le tue musiche sono stati memorizzati da tanta gente. Pensando al dopo (al molto dopo) credo che qualche mia canzoncina sarà cantata anche dopo il passaggio terreno di Tammaro. Il che mi fa pensare che ho fatto un buon lavoro.