Tommaso Primo: ‘Non importa sfondare, dobbiamo ridare linfa alla tradizione napoletana’
Chi vi dice che a Napoli non è facile fare musica e non è facile emergere, dice una mezza verità che, a seconda dei punti di vista, può essere considerata anche come una mezza bugia. La "nuova onda napoletana" di cui si parla e si scrive a partire dalla fine dell'era dei giganti dei '70-'80, una sorta di "era zero" per chi nasce artista nel capoluogo del sud, andrebbe più inteso come un flusso continuo che non si è mai interrotto. Napoli è più che mai viva ed oggi, come allora, il "sound of Naples" nelle sue declinazioni è sempre più variegato, fulgido e sfacciatamente dialettale. Tommaso Primo è tra i nomi più freschi della scena e con il suo primo album "Fate, sirene e samurai" sembra aver messo in chiaro che si può ancora fare un disco mettendoci l'anima, senza paure e senza calcoli. Un disco che è un concept album di 10 canzoni, 10 favole che partono dalla tradizione napoletana per fare il giro del mondo. Dentro puoi trovarci Caetano Veloso e il suo Sudamerica, la cultura giapponese e la salsa british. Un disco che non ha paura, dicevamo, e nascondere i meriti dell'etichetta FullHeads sarebbe un delitto. Parliamo di una realtà che sta riuscendo a risolvere un malessere per certi versi endemico della città, da sempre incapace di restare unita e farsi movimento. Una lungimiranza imprenditoriale quasi "continentale" che è riuscita ad unire voci diverse in divertenti crossover sfociati in serate evento come quelle al "Barrio", un luogo che è diventato in una sola stagione un nuovo polo per l'intrattenimento e la creatività in Campania.
In questa conversazione con Tommaso Primo, avvenuta nell'incantevole Posillipo, viene fuori un ritratto interessante di un'artista che, diviso tra la musica e la ristorazione, porta avanti i "logos" di Napoli senza paura di sprofondare nell'oleografia.
Tommaso, chi sono le “Fate, sirene e samurai” del tuo disco?
Le “Fate, sirene e samurai” sono le tre anime del disco. Le “fate” rappresentano il Brasile, la cultura tropicalista, le sonorità sudamericane da cui sono fortemente attratto. Le “sirene”, invece, sono l’emblema perfetto della cultura partenopea, sia per una questione mitologica, sia per una questione caratteriale. Napoli è come una sirena, un po’ puttana, un po’ mamma, pronta a deluderti ma anche a proteggerti con tutta se stessa nel momento del bisogno. I “samurai” rappresentano la cultura nipponica che tanto ha influenzato il mio modo di essere.
Leggi molti fumetti giapponesi, quindi?
Sono più legato a Uzumaki Naruto che a Napoleone Bonaparte. Perché ho guardato anime e letto manga giapponesi fino allo svenimento e ti dirò, quelle pagine e quei cartoni animati, hanno influenzato il mio modo di essere, più di qualsiasi altro personaggio, reale o inventato, studiato a scuola.
Quali riferimenti ci sono nel disco?
Sono dieci storie moderne raccontate a mo’ di fiaba. La differenza con il mio primo E.P, “Posillipo Interno 3”, in cui sono ferocemente autobiografico, è che in questa seconda fase della mia composizione, mi sono innamorato dei miei personaggi come se fossi uno scrittore, uno sceneggiatore. Mi hanno contagiato i film di Fellini, il cinema animato di Miyazaki, la ragazza acqua e sapone che abita a cinquanta metri da casa mia, la mozzarella, la bella della scuola di cui m’innamorai perdutamente, i Supersayan.
La mozzarella e i Supersayan?
Sì, soprattutto loro (ride, ndr). Per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’anima "world pop", quella è tutto merito di un genio musicale napoletano che risponde al nome di Enzo Foniciello, in arte Phonix. Lui è un po’ come Maradona, ‘na capa ‘e ‘mmerda ma quando si tratta di vestire brani e inventare nuove cose, è tra le menti più brillanti che il panorama italiano ha da offrire al mondo.
In parallelo al rap, a Napoli stanno crescendo nuovi nomi. I Foja fanno ormai da capofila, dietro tanti artisti tra cui tu e La Maschera. Che aria tira in città?
C’è voglia di ridare a Napoli il ruolo che le spetta, ovvero quello di essere al centro di cambiamenti sociali, politici e culturali come avveniva negli anni ’60 e ’70. Oggi, purtroppo, il mondo canzone è screditato da ciò che i talent propongono alla gente e non parlo di talento dei singoli individui o dell’abilità di questi ad esercitare il bel canto, ma del pensiero.
Screditato come?
La Tv di oggi, le radio, ma anche certa stampa, ammazza tutto ciò che ha voglia di esprimere un concetto o un'opinione. Viviamo nell’elogio della plastica, a noi presentata e venduta come porcellana di Capodimonte. Per questo a Napoli, come autori e compositori partenopei, abbiamo una missione in più: dare linfa vitale ad una tradizione millenaria di musica e parole. Il bello di questa generazione è che ognuno riesce a mescolare lingua e sonorità della città: i Foja, La Maschera, i TheRivati, i Fede'n'Marlen, Tartaglia, Clementino, Pepp-Oh e tanti altri.
Poi ci sono i neomelodici.
Sì, poi ci sono i neomelodici. Ma anche loro fanno canzone e se ci mettono l'anima, vanno rispettati.
Non per fare il Michele Giuffrida della situazione, ma dicono che chi canta in napoletano non riuscirà mai a sfondare, o almeno non del tutto.
Non si canta per sfondare, lasciamo questo verbo agli scassinatori e agli attaccanti. La gente deve capire che c’è della verità in quel che diciamo e che Napoli non si ama solo a parole ma con i fatti, incoraggiando la sua cultura, non lasciando morire la sua lingua e, soprattutto, rispettando il suo passato, senza aver timore di dover influenzare il suo futuro. Napoli è viva, pullula di originalità e nuovi “logos” in tutti i suoi campi, dalla Musica al Teatro, dal Cinema alla Canzone, dall’Ingegneria all’Architettura passando dalla Ristorazione fino ad arrivare all’Arte. Inoltre, per quanto riguarda la musica, c’è una cosa che conta più delle parole e del messaggio, ovvero il suono. Ti dirò, non mi pare di vivere in un paese di anglofoni, eppure i Coldplay sono nelle prime posizioni in classifica anche in Italia. Probabilmente ciò che deve cambiare è lo snobismo mediatico, le tv e radio, anche locali, che ci snobbano. Per fortuna sono in netta minoranza.
Nel 2013 c'è stata una tua perlina, “Gioia”, che su Youtube ha superato le 100mila views. Come mai ci hai messo due anni per tornare?
“Gioia” è una canzone che mi ha dato tanto, l’ho scritta a quindici anni e mi è venuta così, all’improvviso, mentre dal balcone di casa mia guardavo il mare. L’ho scritta in dieci minuti e la sanno a memoria ovunque. Ci ho messo due anni a tornare perché “Fate, sirene e samurai” è stato un disco musicalmente, compositivamente ed economicamente dispendioso. Ho avuto un santo di nome Luciano Chirico che ha creduto in me prima di tutti gli altri e ha scatenato mari, cieli e terre per permettermi di realizzarlo. Inoltre dovevo rincorrere e svegliare il mio produttore artistico, geniale musicista ma come ho già detto, personaggio stravagante.
Qual è l'artista con cui vorresti incidere un brano, esclusi quelli presenti nel disco ovviamente.
Caetano Veloso, mi piacerebbe cantare con Caetano Veloso… Ah, e colgo l'occasione visto che sono su Fanpage e non so quando mi ricapita, di dire a tutte le ragazze che sono single…
Conosciamo il Tommaso cantautore, non tutti sanno che c'è un Tommaso ristoratore.
Io ho avuto una fortuna nella mia vita, quella di poter guardare il mondo da un punto di vista privilegiato, ovvero il ristorante di mio nonno. Sai, io ho perso papà ad otto anni e sono “cresciuto” fra camerieri, cuochi, clienti strambi e parcheggiatori abusivi autorizzati, personaggi che amo definire geni analfabeti e che tanto hanno dato alla mia formazione caratteriale. Ti dirò, non ero portatissimo per il mestiere di famiglia ma ero un vero e proprio portento ad intrattenere i clienti con canzoni e poesie scritte da me. Mio fratello, invece, è il ristoratore di casa, a ventun’ anni ha avuto il coraggio di riaprire “Giuseppone a Mare”, storico locale della città, rimasto chiuso per anni, e lo ha fatto contro tutto e tutti. Sta andando molto bene ….
Ma il Napoli, invece, che fa quest'anno?
Emoziona!!!
Non parliamo di scude…?
Shhh…