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Stash, i Kolors e la nuova strada di Mal di gola: “E pensare che dicevano che non funzionavamo!”

Si chiama “Mal di gola” la nuova canzone dei The Kolors, nuovo tassello di quel nuovo percorso intrapreso con il successo di “Pensare male”. È passato molto tempo da quando i discografici dicevano che il loro suono funky non avrebbe funzionato e oggi sono una band solida che ha negli 80 la strada attuale da seguire.
A cura di Francesco Raiola
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Durante l'intervista Stash canta, fa smorfie e soprattutto suona la tastiera per farti capire cosa intende quando le parole, da sole, non bastano. Ha un synth al suo fianco, quello che ha dato il suono vintage che si sente ascoltando l'ultimo singolo dei The Kolors, che con quest'ultima canzone allargano lo spettro sonoro degli anni 80 che stanno attraversando da un po'. Scegliendo, questa volta, un groove diverso, mettendo le mani in un cantautorato che una volta avremmo chiamato indie, con un sapore nostalgico di cui Stash va enormemente fiero. Un brano che mostra un altro volto della band che negli anni ha pescato a piene mani nel funk ma che con "Pensare male", la hit che vedeva la collaborazione di Elodie ha cominciato un altro percorso di cui "Mal di gola" è solo un passo. Il 2021, racconta il cantante a Fanpage.it, sarà pieno di musica e novità.

Come sempre negli ultimi tempi quando si ascolta qualcosa di vostro è una sorpresa, qui siamo in un'altra faccia degli anni 80. Dove nasce e in che modo "Mal di gola" si muove all'interno del tuo percorso?

In realtà è una delle sfumature degli 80 che mi piaceva citare perché il nostro concetto è un po' pizzicare una nostalgia sonora più che di testo. Il testo è sempre contemporaneo, siamo pur sempre una realtà che vive nel mondo di oggi, però amiamo citare delle sonorità che appartengono a quella decade che ci ha formati non solo artisticamente ma anche umanamente: c'è sempre il funk, anche se non è quel funk sporco da sala prove come potevi sentire in "Non è vero", è un funk più americano, del periodo più glossy degli anni 80. E come puoi vedere qui (mostra la tastiera al suo fianco) c'è una tastiera che è un sintetizzatore degli anni 80 che si chiama DX7 e queste cartucce tirano fuori questi suoni (suona, ndr) e dentro c'è qualsiasi cosa. Questa l'ha comprata mio padre a Napoli e dopo averla avuta, "Mal di gola", che era completamente un'altra cosa, è cambiata: era quasi un piano e voce, aveva un arrangiamento diverso, poi è partita la macchinona Kolors e Daddy's Groove sull'analogico e l'arrangiamento è diventato un po' più pulito proprio per via del synth.

Il tuo percorso ha toccato gli Usa, la Francia poi sei tornato in Italia: che percorso è quello che stanno portando avanti i The Kolors?

È un percorso che abbiamo cominciato prima che arrivasse la moda di questi viaggioni in quell'epoca lì, gli anni 80, appunto. Penso che questa cosa qui sia la nostra forza dal punto di vista sonoro, perché ci dà una vera identità che non è un cavalcare l'onda, benché non ci sia niente di male, ma il modo organico con cui produciamo le nostre canzoni sta creando una vera identità artistica dei Kolors.

Come è cambiato il percorso dei Kolors da Everytime a oggi? Non siete mai stati appresso alla moda, come ti muovi musicalmente oggi e come trasformi gli ascolti in musica?

Oltre alla trasformazione degli ascolti in produzioni, in mezzo c'è il vissuto, motivo per cui crescendo vivi e noti cose diverse e provi sensazioni variegate, facendo sempre fede a quella che è la nostra natura, ovvero quella di preferire le Stratocaster ai Macbook. Riflettendo sul nostro percorso, che poi ha preso una direzione sempre più suonata, si è evoluto più per la nostra crescita umana che per la parte artistica, perché gli elementi sono quelli ma noi siamo cresciuti cambiando il modo di esprimerci sullo strumento. Io penso che da "Pensare male" in poi per in The Kolors sia partito un nuovo treno, è proprio un altro tipo di percorso: dal punto di vista organizzativo, di gestione, ci siamo sentiti per la prima volta in un team coeso, non che prima non l'avessimo provato, ma mai come in questo momento è così evidente.

Parli anche di libertà?

Stiamo riuscendo a fare una cosa che mai ci saremmo aspettati, quello che veramente amiamo: sai, quando da ragazzino ti dicono che quando firmi contratti grandi, la casa discografico ti dice che questo non va bene, questo non funziona? Beh, a volte è così, non nel nostro caso ma a volte accade, sai ti dicono che se fai il pezzo così forse è meglio fare un latin beat, è meglio fare una roba danzereccia, ma noi in questo momento siamo contenti e fortunati di riuscire a mantenere una coerenza con quello che abbiamo dentro che non so come spiegartelo.

Può essere proprio per il fatto che siete partiti fuori da un percorso scritto, affermandovi con un suono che aveva una sua storia ma non proprio mainstream in quel momento?

Pensa che in quel periodo, appena prima di uscire con quei singoli e quel disco (parliamo di ""Out", ndr), quelle canzoni erano etichettate dalle case discografiche come cose che non funzionavano, ci dicevano: "Non state in Inghilterra!", che per andare in radio bisognava fare certe canzoni: "Per noi è comprensibile, ma siamo in pochi che possono capire che questo è pop e non è alternative". E stiamo parlando di "Everytime", quindi "uohohohoh" (canta, ndr).

Quelle gabbie di genere che se parli con qualsiasi artista giovane non concepisce: si ricollega anche a quando, per esempio, sceglieste di non mettere i vostri volti sulla copertina di "You".

Se ci penso, mi rendo conto che sono state scelte dal punto di vista imprenditoriale non proprio azzeccate, se fossi stato uno che pensavo al discorso: "Uso questa cosa per guadagnare, per fare numeri", avrei raggiunto qualche disco di platino in più, ma forse adesso non starei qui a fare "Mal di gola".

Il riferimento a Vasco come nasce? Sbaglio o subito dopo c'è un accenno di "Una canzone per te"?

Esattamente, "Me l'ha detto Vasco, siamo solo noi" (imita la chitarra, ndr). La frase "siamo solo noi" – che in realtà è concetto che viviamo tutti – se la metto in un pezzo ha una sola paternità: Vasco, e mantenere una coerenza sonora con quello è il nostro messaggio, stimolare qualcosa è il nostro obiettivo: stimolare il ricordo, la nostalgia nell'ascoltatore che magari conosce quel mondo sonoro ma si rende conto l'istante dopo che ascolta un pezzo uscito nel 2021. È l'emblema del nostro messaggio artistico. E per fare quel suono di chitarra alla Solieri è stata dura.

Il vostro video l'hanno girato gli Younuts, che video è?

È il video più bello di sempre, per me è la spiegazione dell'allineamento generale di tutto quello che ci rappresenta artisticamente con delle immagini. Tutto quello che ti ho raccontato in questa intervista puoi capirla guardando quel video, c'è una cura dei dettagli maniacale, perché con Antonio e Nicco (Antonio Usbergo e Niccolò Celaia, ndr) siamo fratelli, da "What happens last night" col feat di Gucci Mane, siamo diventati come fratelli e ci vogliamo bene anche dal punto di vista artistico. È il racconto di quello che siamo noi e le nostre radici ma con la contemporaneità.

Che 2021 sarà per voi?

Abbiamo in cantiere un sacco di cose, penso che mai come questa volta abbiamo avuto il tempo materiale di preparare tanta roba e abbiamo già settato dei checkpoint del 2021 con un bel po' di uscite. Nel frattempo però io continuo a scrivere con Davide Petrella, quindi oltre alla roba che c'era già si aggiunge altra roba. Sarà un 2021 di rinascita un po' per tutti, anche perché abbiamo i nostri fan che non ce la fanno più ad aspettare e vogliamo uscire quanto prima con un album.

La paternità ha impattato su quello che fai?

Sul processo artistico sicuramente, perché è di riflesso al processo umano. E quella cosa ti dà un boost dal punto di vista emotivo ed energetico che ti fa scattare come una molla sempre. Se poi hai davanti tutto questo ben di dio di tasti (suona la tastiera, ndr) e ogni tasto fa una nota, con tutto quello che hai dentro praticamente tiri fuori l'impossibile.

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