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Shade: “Potevo diventare uno stronzo, ho scelto di diventare maturo”

Il 13 gennaio scorso usciva “Pendolari”, il nuovo singolo di Shade, a sei mesi dal successo di “Tori Seduti” con J-Ax. Qui l’intervista all’artista torinese.
A cura di Vincenzo Nasto
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Shade 2023, foto Fanpage.it Maria Oberti
Shade 2023, foto Fanpage.it Maria Oberti
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Il ritorno di Shade nel 2023, a mesi dal successo estivo con J-Ax in "Tori Seduti", è un cambio di passo. Sempre assistito dal producer Jaro, "Pendolari" rappresenta un nuovo capitolo, più intimo, del cantante torinese: un immaginario esplorato anche nel video ufficiale prodotto da Borotalco.tv e diretto da Matteo Colombo, che hanno rappresentato i due luoghi di un pendolare. Da una parte la propria auto, dall'altra il proprio nido domestico, a rappresentare la fatica della quotidianità, ma soprattutto spostando il concetto di casa, non più un luogo domestico, ma una metafora rappresentata da una persona che il protagonista raggiunge ogni sera. Qui l'intervista a Shade.

Dopo il successo di "Tori Seduti" con J-Ax, torni con "Pendolari". Da dove nasce l’idea di un singolo del genere?

Ho scelto "Pendolari" perché mi rappresenta al 100%, essendo io stessi un pendolare e vivendo questa situazione quasi quotidianamente. Mi è venuto in mente di creare una metafora, di associare l'essere pendolare al ritornare tutte le volte fra le braccia di quella persona che, volente o nolente, è come se fosse casa. Però con tutte le sensazioni che può provare un pendolare, quindi la frustrazione, la stanchezza, la sfortuna, la pesantezza di una brutta giornata.

La scelta di una creator come Nicky Passerella invece da dove nasce?

Ho scelto Nicky Passerella perché nella canzone c'è un passo che dice "Peter bacia Mary Jane". E ovviamente mi rifaccio all'angelo dei primi film di Sam Raimi di Spider-Man, non a quella più recente, molto ben interpretata da Zendaya. Quella che mi ha cresciuto è quella che ha interpretato Kirsten Dunst e quindi volevo un'attrice con i capelli rossi. Io seguo Niki sui social da un sacco di tempo, mi ha sempre trasmesso molta positività e molta simpatia, spontaneità e quando poi l'ho conosciuta ed è venuta sul set ho avuto la conferma di aver fatto un'ottima scelta perché è nata per fare l'attrice.

Un pendolare per il proprio lavoro, ma anche nei propri rapporti: quanto ha sacrificato Shade in questo percorso?

In termini economici tantissimo, ma posso dire che forse ora ci sto rientrando perché non guadagnavo grandi cifre all'epoca e le gare di freestyle non erano pagate. Non ero pagato per andare a farle, era una passione e mi piaceva. Quando magari vincevo c'erano dei premi in denaro che mi ricoprivano le spese, non c'erano grandi guadagni. Ho sacrificato tanto, non solo in termini economici, ma soprattutto da un punto di vista emotivo.

Come hai affrontato quei momenti?

Tante delusioni, tanto sbattimento inutile, tanta frustrazione che ti porta a maturare, a crescere. Ci sono due vie che puoi prendere quando succedono queste cose: o inizi a diventare stronzo perché il mondo è stronzo con te, oppure maturi e cerchi di capire come mai in quel momento lì il mondo si comporta così nei tuoi confronti e magari riesci a superarlo. Finora ho sempre scelto questa opzione, spero di avere la forza morale di continuare a sceglierla.

Nell’intro del pezzo si tocca il tema del freestyle: quanto ti ha aiutato nell’evoluzione della tua scrittura?

Il freestyle mi ha aiutato e mi aiuta tuttora moltissimo. Lascia perdere i live, dove comunque se c'è un problema tecnico so che posso partire e fare freestyle: è un modo per intrattenere il pubblico. Ma nella scrittura, se hai la mentalità di un freestyler sei molto più agevolato, perché tutto il lavoro che devi fare in pochissime frazioni di secondo, in studio hai tutto il tempo del mondo per farlo, quindi sicuramente aiuta nell'approccio e nella fattispecie in quelle prime barre di canzone. Dico "Però ti ho avvertita Baby Don't Cry, ho passato una vita a fare freestyle", quindi se vuoi litigare con me sappi che so sempre cosa dire e ho sempre la battuta pronta. Ecco, quello era il significato che c'è dietro quella barra.

Una ballad pop che si differenzia dalle tue uscite, che si allontana comunque dalle note rap che hanno accompagnato i tuoi primi anni. Ti senti anche un viaggiatore in questo senso?

Sì, mi sento un po' viaggiatore di vari generi musicali, perché negli ultimi anni è cambiato tutto. Ho cambiato tanto e la mia musica hanno iniziato ad ascoltarla tantissime persone. Ci sono state varie fasi, ci sono state delle fasi in cui sono caduto, vittima del mio stesso meccanismo per cui cercavo di rifare la formula che funzionasse di più ma sentivo che questa era una fase in cui invece dovevo sperimentare, buttarmi su qualcosa di nuovo. Poi non abbiamo bisogno del riscontro in termini di numeri, perché in questo momento quello che mi interessa è arrivare ai cuori delle persone, soprattutto quelle che non mi hanno mai ascoltato, che non conoscono una parte di me che invece nei dischi c'è, ma è sempre stata sistemata in modo che per scoprirla ci dovessi proprio andare tu a cercarla.

Un grande cambiamento.

Diciamo che le persone che mi stanno scrivendo mi stanno confermando che ho fatto bene a fare questa cosa. Chi è abituato a prendere un treno regionale quotidianamente sa quanto sia pesante e sfiancante, soprattutto se poi fai un lavoro che non ti piace, come è capitato a me per tanti anni. Quindi sono sensazioni che, per quanto abbia la fortuna di vivere di musica da ormai un po' di tempo, mi sono rimaste dentro ed è difficile poi dimenticarle. Ma quasi non le voglio dimenticare proprio per rendermi conto della grandissima fortuna che ho oggi e allo stesso tempo, nonostante la negatività e il grigiore di quei giorni, c'è sempre comunque una piccola luce anche in quei giorni lì. Ed era quello che volevo proprio descrivere col brano. Volevo che fosse una sorta di pacca sulla spalla quando finisce la giornata di una persona per dirle che è vero che sono ripetitive, sono noiose, sono stancanti, ma il mondo non finisce lì. E io dico sempre che la fine del deserto potrebbe essere dietro la prossima luna, però se non la superi non lo scoprirai mai.

Sono ormai passati cinque anni da Truman e le lancette del prossimo album stanno cominciando a ticchettare. 

Ho scritto un disco nuovo che spero veda la luce quest'anno, nel 2023 al 99,9%. Dovrebbe essere così, non vedo l'ora. È un disco che tratta tantissime tematiche, anche di un certo spessore, a volte con leggerezza, a volte nascondendole in bella vista. Non ti nascondo che comunque ci sono un sacco di canzoni che girano, le hit soprattutto. Però non è niente che suoni come quello che ho fatto fino a qualche anno fa.

Conduttore, artista, doppiatore. In che veste si vede Shade nei prossimi anni?

Credo che vorrei vedermi semplicemente nella veste di una persona felice, che è quello per cui sto lavorando da un sacco di tempo. Poi mi diverto a fare tutto. Mi richiede tanti sacrifici, tante sveglie alle cinque, alle sei di mattina per poter fare tutto, soprattutto i progetti di doppiaggio che richiedono una cadenza settimanale importante. Perché le serie tv, i cartoni animati, escono ogni settimana, le puntate arrivano di settimana in settimana e tu non puoi non dare la tua disponibilità, quindi magari ho delle cose importanti da registrare. Per le sessioni è difficile incastrare tutto, però questo sacrificio mi fa sentire vivo, quindi continuerò a farlo. Che sia doppiaggio, che sia musica, che sia conduzione, qualsiasi cosa mi mi faccia brillare gli occhi.

E invece il Festival di Sanremo?

Ovviamente ho pensato alla fatidica data di Sanremo. Un pochino. Mi sono anche illuso di poterci essere in prima persona perché avevo una vacanza in programma in California. Ho aspettato a prendere i biglietti, ma forse dentro di me già sapevo che sarebbe stato un no: però una parte del tuo inconscio ti porta sempre a illuderti. E poi effettivamente siamo arrivati proprio a tanto così. Per fortuna c'è ogni anno, quindi si potrà riprovare in futuro e lo guarderò come spettatore, perché ci sono un sacco di amici che partecipano e per cui farò il tifo da casa.

Invece come hai vissuto l'avventura della graphic novel "La fabbrica dei rapper"?

Era un'idea che avevo in testa da un sacco di anni. All'inizio ne volevo fare una serie tv, però chiaramente non c'era il budget e quando DeAgostini mi ha proposto di fare una graphic novel ho accettato subito. Erano anni che un sacco di case editrici mi cercavano per fare il classico libro del personaggio pubblico che vende solo perché sei un personaggio pubblico. Però preferisco che i libri li facciano gli scrittori. Io ho questa idea di una graphic novel da un sacco di tempo e fortunatamente sono stato affiancato da uno sceneggiatore e da un disegnatore che sono stati eccelsi. Abbiamo creato una bella storia che è piaciuta molto e ancora adesso viene gente con la copia del fumetto ai concerti a farcelo firmare perché ho fatto solo due firma copie. Se non sbaglio sono andati molto bene, ma tanta gente in tutto il resto d'Italia non ha avuto modo di farsi firmare la copia. Quindi quando qualcuno tira fuori il fumetto un pochino mi fa battere il cuore.

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