Sanremo non è un flop, ma Fazio scorda il brutto minimo garantito
Alla conferenza stampa di presentazione del Festival di Sanremo Fazio disse, premiato dalla logica, che in buona sostanza Sanremo fosse già di per sé un vettore popolare e, dunque, la sola operazione possibile era quella di una ricerca del bello, per non perdere un'occasione, perché in tv un'occasione persa è una cosa brutta. Tutto giusto, ottimo slogan degno del miglior Renzi, ma non aveva tenuto conto della prima serata della sua 64esima edizione, fatta di un raro tedio di fondo, la cui scoperta più sorprendente, detto in vernacolo, è l'analogia di fondo tra Arisa e la Carrà in fatto di poppe (sebbene la prima sarebbe giustificata da una presunta gravidanza). Non una sorpresa, nulla che non fosse stato annunciato, probabilmente ospiti assemblati in modo sbagliato con Fazio costretto forzatamente e in modo esasperato ad intrattenere (Fabio, lo stai facendo male!).
Tuttavia l'appunto parziale da fare dopo la prima tranche e la metà delle canzoni ascoltate, si muove proprio su un vettore popolare: Fazio e i suoi autori hanno dimenticato cosa volesse dire essere furbi, legge educatamente rispettata nella precedente edizione. È una questione che si articola sempre giocando coi criteri di brutto e bello, con l'alternanza tra essi. Gli "hipsters" e i "Bobo" di tutta Italia, gli unici a parlare del Festival prima che inizi il Festival, accolsero subito con favore l'assenza benedetta di quei personaggi che nelle precedenti edizioni Sanremo l'avevano dominato, per intenderci i vari Scanu, Di Tonno, Marrone, Modà e compagnia. E non perché i suddetti facciamo tutti schifo, sia chiaro, ma perché tutti inseriti in quel calderone definito, a livello nominale, la quota "Amici e derivati".
Gli Hipsters e i Bobo di tutta Italia non avevano ragione e più di tutto, se Sanremo lo guardano solo loro, Giancarlo Leone (direttore di Rai1, ndr) si incazza abbastanza, cosa che avrà fatto stamattina leggendo gli ascolti di ieri. La verità è che la quota Amici e derivati in gara può giovare anche a chi non rientri in questa sorta di Klu Klux Klan. Il perché è facile intuirlo: con la periodica somministrazione della quota Amici e derivati al paziente, il paziente ha un'esigenza impellente di andarsi a procacciare il bello di cui Fazio parla. In questo modo io Hipster, io Bobo, ho vita molto più facile a dire che il Gualazzi o il De André di turno abbiano fatto una bella canzone. Ho proprio sete di pronunciare le frasi "Ha un testo interessante", "Si sente che è musicalmente strutturata" eccetera eccetera. Soprattutto, ho interesse a fare il tifo per loro come quando tifo per il Senegal ai mondiali e vedere nel gioco del Senegal sprazzi di ottimo calcio.
Che poi in molti casi il Senegal non è che abbia questo gran gioco e quindi quei pezzi strutturati dai testi interessanti siano poca roba, è altra cosa. Mettiamola così: da che Sanremo esiste questo criterio ha sempre dato agio di trovare qualcosa, percepire un afflato. Quest'anno l'asticella del livello medio si è alzata, facile capirlo ad esempio dai due pezzi portati in gara proprio da Arisa, che paiono due agglomerati di incipit (magari bellissimi al nono ascolto, ma sicuramente non dal grande impatto). Cosa pare mancare, dunque, a questo Sanremo, dopo le prime quattro ore di diretta? Semplicemente la quota minima di brutto garantito.
I dati d'ascolto della prima serata, descritti come pessimi inizialmente, pessimi non sono, ma corrispondono al pubblico hipster e bobo di Che Tempo Che Fa, che saggiamente si appioppa qualunque cosa propini il credibile Fazio per credo, più che per gusto. Il pubblico di Sanremo è strutturalmente e numericamente diverso da quello di ogni domenica sera e credo che, se è consapevole di quanto ha fatto, Fazio nella busta sigillata consegnata a Pif nel prefestival, in cui ha scritto il suo pronostico sugli ascolti, non abbia segnato cifre molto diverse da quelle pubblicate questa mattina. Con questa chiave di lettura, gli ascolti di Sanremo non fanno ribrezzo. Anzi, Leone e Fazio si sono detti contenti.