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Saluti da Saturno: musica da un altro mondo

Al terzo album, i Saluti da Saturno dell’estroso Mirco Mariani hanno realizzato il loro capolavoro con “Dancing Polonia”. Difficile immaginare un avvio migliore per una nuova stagione discografica.
A cura di Federico Guglielmi
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Su Mirco Mariani, quarantaquattro anni compiuti proprio ieri, si potrebbe – e, forse, dovrebbe – fare un film. Al di là del suo aspetto decisamente cinematografico, il musicista romagnolo vanta una carriera inconsueta e affascinante vissuta fra musica colta (si è diplomato al conservatorio, in contrabbasso), collaborazioni come batterista con Vinicio Capossela e jazzisti non sempre convenzionali (Rava, Bollani, Trovesi, Ribot…) e suoi singolari progetti nei quali fondere folk, rock, canzone d’autore e pop: nei ‘90 i brillantissimi Mazapegul, stroncati dopo due album dalla morte in un incidente stradale del giovane cantante Daniele Di Domenico; nella prima metà dello scorso decennio i meno longevi Daunbailò, con all’attivo un solo lavoro discografico; dal 2010, i Saluti da Saturno, il cui terzo CD sarà commercializzato il 2 settembre. Un percorso eclettico basato sul rigore ma anche sul piacere di assecondare l’intuizione, senza limiti se non quelli dettati dalla creatività, da un talento aristocraticamente bastardo, da una verve e un approccio un po’ surreali. Non è da tutti, d’altronde, intitolare un album “Valdazze”, come quello che nei Sixties avrebbe dovuto essere – nella visione ottimistica del suo ideatore – un villaggio con le residenze dei primattori della musica nazionale, e che da sempre è invece un borgo-fantasma.

Quella di Valdazze è però una faccenda dell’anno scorso, così come quella del debutto “Parlare con Anna” risale al 2010. L’ultima follia di Mirco Mariani, per dirla alla Mel Brooks, si chiama “Dancing Polonia”, è sempre edita dalla Goodfellas ed è una raccolta di dodici brani che sanciscono il varo di un stile – il “free jazz cantautorale” – che manda in pensione il vecchio “pianobar futuristico elettromeccanico”. Perplessi? Non ce n’è motivo. Cosa c’è di poco chiaro in un disco che vuole rendere omaggio a, lo stesso Mariani dixit, “due grandi maestri del free jazz cantautorale, Secondo Casadei e Ornette Coleman, tanto lontani ma tanto vicini”? Che è stato promosso, fra le altre cose, con figurine virtuali dove i musicisti sono ritratti in un ipotetico viaggio verso Cracovia? Che, soprattutto, è fondato su “vari pianoforti intonati e stonati” al cui fianco appaiono, oltre alle chitarre e ad altri strumenti più o meno usuali come l’ormai diffusissimo theremin e il mellotron, congegni dimenticati quali Ondes Martenot, Ondioline, Glassarmonica, Cristal Baschet e Intonarumori (se non li conoscete, cercateli su Wikipedia: ne sarete rapiti)? A dispetto delle eccentriche premesse, i trentotto minuti di “Dancing Polonia” sono comunque un florilegio di episodi accattivanti ed evocativi, resi senza dubbio particolari dall’anticonvenzionalità di alcuni arrangiamenti ma, dal primo all’ultimo, del tutto godibili: nei suoni che inevitabilmente catturano l’attenzione, nelle atmosfere ricche di forza immaginifica, nei testi – all’insegna di una poesia a seconda dei casi legata alle bellezze del sentimento e della natura, autobiografica o più bizzarra, con qualche richiamo al grande schermo – interpretati in modo garbato e confidenziale ma mai abulico o tedioso.

Mirco Mariani
Mirco Mariani

Si respira un’aria di classicità nella quale non c’è però retrogusto di muffa, in questi gioiellini sospesi tra dolci malinconie, trame tendenti all’estatico e spezie esoticheggianti che rendono molto ardua l’eventuale attribuzione di palme di merito. Si potrebbero citare il pezzo apripista “Un giorno nuovo”, dagli aromi vagamente caraibici, impreziosito dalla chitarra del grande Arto Lindsay; la morbida, solenne “La vita mia (Vodka Lemon)”, affine alla meno solenne “Le luci della sera” con Paolo Benvegnù ospite alla seconda voce; l’ipnotica, caracollante “Cloro”, che rimanda ai giorni dei Mazapegul; “Ombra”, più ritmata e livida in sintonia con la vicenda della Resistenza cui si ispira… ma si farebbe torto al resto di una scaletta priva di cadute di tono. Fantasia e classe a iosa, insomma, per un album personale e riuscitissimo in ogni dettaglio. “Il Dancing Polonia è il nostro locale itinerante”, ha spiegato ancora Mirco Mariani, “con colori accesi, comode poltrone in similpelle, tavolini rotondi con un fiore sopra e un bel bancone con tante bottiglie e una barista bella ma non più giovane, con tante storie da raccontare e ci si sente protetti come dentro un condominio volante che da fermo ti fa girare il mondo”. Ci si può accontentare ascoltandolo in streaming, ma per goderne appieno è il caso di procurarsi “l’oggetto”. Sperando magari in una futura stampa in vinile, che sarebbe il suo formato naturale.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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