Rolling Stones disarmanti, a Roma è un concerto perfetto
Il corteo delle migliaia di chiunque che hanno popolato Roma nel giorno dei Rolling Stones in concerto non ha età, sesso, estrazione culturale specifica: al Circo Massimo ci sono tutti, indistintamente. Nemmeno lo stile è una discriminante, un ragazzo vede arrivare da lontano un altro amico e gli grida "A France', al concerto de' Rolling Stones co' a Lacoste?". La domanda non era poi così capziosa. Insomma quell'incedere lento di massa che popola la zona del Colosseo e dei Fori Imperiali e la colora di Lingue, lo sa che l'evento è topico, imperdibile: gli Stones c'hanno un'età e, se ci va bene, passano in Italia una volta ogni 7-8 anni (l'ultima fu nell'estate 2006). Circola nell'aria la sensazione, a dirla tutta, che si dirà bene di questo concerto perché ha serie probabilità di essere uno degli ultimi. Ed è una sensazione legittima, anche se confermata solo in parte.
Roma si mette il miglior abito per l'occasione, non fa una piega, al netto delle polemiche dei giorni scorsi sui costi esorbitanti della manifestazione offre un tramonto sulle Terme di Caracalla che toglie il fiato, un clima perfetto, fiumi di birra. Al resto naturalmente ci pensano loro: lo show degli Stones, studiato nelle minime parti, dura due ore esatte, non un minuto di più, nemmeno uno mancante. Sono due giri d'orologio fatti di adrenalina pura, Jagger che sculetta meglio di come abbia mai fatto da quando ha sviluppato la sua tecnica inimitabile, Keith con indosso quelle proverbiali e inspiegabili giacche da high school a inizio concerto e soprattutto tanta, tanta sostanza. I quattro potrebbero certamente mandare in scena uno spettacolo autocompiaciuto e referenziale, ma quando mai. Il tempo si è fermato e "partecipare alla storia" non si limita ad essere la frase di maniera, buona per il titolo di giornale.
La scaletta è vincolata dai successi, selezione di venti must del gruppo londinese che meriterebbero quasi tutti, uno ad uno, d'essere parte di un bis finale. Tutto quello che possono fare è rimescolarne l'ordine. L'inerzia del gig viene condotta e tenuta a bada in modo esemplare, perché dopo un inizio aggressivo con It's only rock ‘n roll (but I like it) attendi un calo di tensione fisiologico, che invece non c'è mai, perché quando non suonano stanno sulla scena e la tengono, tra Keith Richards che fuma una canna sul palco, apprezzandola al microfono, Woods che allarga le braccia, come suo tipico, producendo il moto oscillatorio di apertura alare alle spalle di Mick Jagger, il quale a un certo punto non sa più cosa togliersi di dosso senza rimanere a petto nudo. Non c'è tempo di decantazione perché il tris di pezzi centrale ti fa immergere nella performance ma mette subito, improvvisamente, davanti alla consapevolezza che si stia avviando alla fine: i venti minuti micidiali di Midnight Rambler, Miss You e Gimm Shelter sono, per qualità di esecuzione ed energia profusa la sintesi di cinquant'anni di storia, a cavallo tra r&b, rock ‘n roll e country.
Poi il sipario inizia lentamente ad accusare stanchezza e si capisce sia avviato alla chiusura quando Mick si veste di un mantello a piume nere e rosse per introdursi cantando una versione leggermente più compassata di Simpathy for the devil, per questo forse meno energica dell'originale, ma non v'è il coraggio di criticare, quello manca, onestamente. Il finale è già scritto, Satisfaction come pezzo di chiusura è praticamente una sentenza di cassazione, imprescindibile. Jagger saluta in italiano, con quegli urletti che metteresti in bocca ad un trentenne, Richards saluta la chitarra accarezzandola come una figlia, qualche lacrima sparsa tra i 70 mila presenti, tanti ancora senza maglietta (forse pure Francesco, quello della Lacoste) e il Circo Massimo che si svuota, progressivamente. Quella che va via è tutta gente soddisfatta che forse avrebbe elogiato a priori il risultato perché si partecipa ad un evento epocale e non per la performance. Ma non è questo il caso, perché nel suo essere quadrato e organizzato nei minimi particolari, il concerto dei Rolling Stones è disarmante: la loro storia cinquantenaria, la media d'età del gruppo e tutta l'aneddotica che li rende Stones possono solo amplificare una valutazione già scritta. Questa è gente che, dopo 50 anni, suona con l'impeto apparentemente reale di chi lo stia facendo per la prima volta.