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Renato Zero: “Siamo alieni, siamo tanti e contagiamo più del Covid”

Renato Zero ha pubblicato i secondo capitolo di “Zerosettanta” il progetto che vedrà la pubblicazione totale di tre album di inediti che segna il ritorno di uno dei cantanti più iconici del nostro tempo. A Fanpage.it Zero ha parlato di trasgressione, Dio, del mondo musicale odierno e degli “alieni” che portano speranza, allegria, impegno, amore nel mondo.
A cura di Francesco Raiola
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Siamo al secondo capitolo di "Zerosettanta", il progetto con cui Renato Zero festeggia i suoi 70 anni. Tre album di inediti in cui una delle icone della musica italiana, colui che per alcuni prima di Bolan e Bowie ha dato via al Glam Rock, si racconta, parla di Dio, trasgressione, amore, mondo musicale, senza alcun tipo di remore. È uno Zero in gran forma che da anni ha abbandonato le major per ritrovare la sua libertà totale, una libertà che lo porta ad accrescere la sua creatività, riuscendo, questo va detto, a trovare spunti e regalare al suo pubblico canzoni che non vivono della gloria che fu: "È la mia scommessa" dice Zero a Fanpage.it, che lo ha raggiunto via Zoom nel suo studio. Con l'artista abbiamo parlato di trasgressione, ma anche di Dio, della polemica con le radio e con l'industria, fino a coloro che potrebbero prendere il suo testimone. Ma con una richiesta fin dal principio: "Ti prego, però, diamoci del tu".

E che tu sia. Renato, se dovessi spiegare a mia figlia chi è stato e chi è Renato Zero, cosa le dovrei dire?

Augurati che Renato viva abbastanza affinché tu ne possa assimilare le gesta e il senso.

Tre album di inediti, alla faccia di chi col tempo rifà un po’ sempre le stesse cose. Una bella scommessa…

Ancora una volta ho vinto una scommessa, perché la mia carriera e la mia vita sono una scommessa. Scommettere, per me, è la chiave necessaria per non essere un replicante, per non correre il rischio di annoiare e per non sentirmi io stesso non appagato. Il rischio è un elemento importante perché è vero che presenta questa possibilità di non sortire gli effetti desiderati, non arrivare alla meta, ma è anche vero che, come si dice a Roma, chi non risica non rosica, quindi cerchiamo ogni volta di portare a casa la pelle e il risultato.

E il risultato mi sembra portato, anche perché riesci a essere te stesso senza sembrare lo scimmiottamento di te stesso, come ti rapporti alla novità, a quello che succede attorno a te, oggi?

Io non indosserei i panni di un rapper, non posizionerei la mano morbida verso l'inguine, come farebbe un rapper, tutto questo non fa parte di un artista come me che ha sempre lavorato in proprio e ha sempre cercato di non sembrare quello che non era, questo è un punto a mio favore, nel senso che ho cercato il più possibile di essere originale e singolare.

E riguardo ai tre album di inediti?

Riguardo ai tre album devo confessarti che è un po' colpa e merito del Covid, perché l'ho sfidato, gli ho detto: "Adesso tu m'hai provocato e io me te magno" come disse Alberto Sordi, ho messo in moto la mia creatività, ho preso la Lettera 23 della Olivetti assieme alla chitarra e alla complicità di amici autori e compositori e ci siamo messi in marcia.

Chi ti ha aiutato a mettere su il progetto?

Il disco è stato prodotto da quattro elementi diversi: Danilo Madonia, Phil Palmer, Alan Parker e Adriano Pennino, una famiglia che si è attivata chiamando a raccolta il fior fiore dei musicisti: io stesso ho riconfermato i Neri per caso, Fabrizio Bosso, Gianluca Littera, Demo Morseli, Claudio Mattone, insomma presenze valide. Ho celebrato un compleanno nella ricchezza del mio raccolto, questa vendemmia di amici e musicisti, per questo sono contento anche di quello che è stato, un grande divertimento. So che sembra blasfemo, ma se questo lavoro non avesse anche questo ingrediente diventerebbe peggio del cartellino.

Per quanto riguarda la scrittura, invece? Leggo versi come "La memoria nasce dal dolore, il desiderio è figlio del timore e la miseria è orfana del fato" o "dall’indifferenza nasce il suono e da un abbraccio il senso di abbandono" che mi ricordano Emily Dickinson…

Guarda, chiamo in causa Lorenzo Vizzini, autore della musica e anche del testo, io mi sono inserito in alcuni suoi brani per cercare di portare il brano verso di me. Certe piccole ingenuità o luoghi di appartenenza di un ventisettenne li ho addomesticati, alcuni di questi brani che portano altre firme me li sono messi addosso innanzitutto perché meritavano attenzione e considerazione e poi anche perché questo mondo nuovo, di nuove prospettive, di autori e compositori emergenti, laddove il materiale è nel rispetto di melodie e armonie di alta fattura, sono ben disposto ad adottarle, a farle mie.

Non so in che modo hai messo voce, ma i testi dell'album mi pare descrivano molto bene quello che immaginiamo sia il tuo pensiero: ci sono brani di trasgressione, d'amore, di fede che in qualche modo riconduciamo facilmente a te.

Sì, poi comunque la regia è fondamentale, io ho questa necessità di confezionare i miei lavori non trascurando alcun particolare. Anche quando ho cantato altri colleghi, ho sempre fatto attenzione alla coerenza e a non essere stonato per quanto riguarda l'ambientazione, la probabile attinenza a quel discorso piuttosto che a un altro, perché non posso indossare un vestito che non sia della mia taglia, farei ridere.

Quindi, quando canti "Siamo solo merce la mia rabbia cresce"…

No, quella è mia, anche la musica.

Allora ti chiedo di spiegarmela, con la musica che fa da contraltare a questa amarezza che traspare dal pezzo.

È un quadro, se vuoi, anche un po' inquietante, ma ci piace sempre dire la verità, perché le favole le raccontiamo ai bambini, ma a noi le hanno raccontate i grandi per addormentarci. Oggi c'è questa abitudine dei Governi di addormentare i popoli e con la scusa del Covid ci sono Governi che impongono le loro dittature, che anestetizzano le coscienze e le menti. Non è affatto un momento spensierato e dobbiamo svegliarci prima che sia tardi.

"Benedette le manette, sia lodato il bondage, aghi, bende, spranghe e fruste e ci si dà" anche questa non so chi l'abbia scritta…

Anche questa è mia (ride, ndr).

Incipit molto da Renato Zero, quindi ti chiedo cos'è la trasgressione oggi e qual è la differenza con quella che vivevi anni fa?

Oggi la trasgressione viaggia in doppiopetto con la ventiquattr'ore, è adeguata, si è ammorbidita, ha fatto in modo da confondersi meglio con la massa. È una trasgressione puttana, più scellerata, non è il gioco allo specchio di un Renato Zero agli inizi, quando io cercavo anche di ironizzare su di me, non prendermi troppo sul serio, per affrontare dei concetti che erano tutt'altro che leggeri. Oggi, invece, questa trasgressione è inquietante, non è più il gioco, non ha i connotati della fantasia, dell'effervescenza, è diventata una dottrina diabolica.

Continui a prendertela con i puritani…

L'ho fatto per tutta la vita, e se rinasco li anniento.

Uno dei suoi fan più accaniti, conosciuti nella mia vita, era un parà della Folgore. Questa cosa all’epoca mi sconvolse… La tua trasversalità, la tua capacità di unire pubblici diversi, mi hanno sempre colpito e immagino siano stati anche uno dei segreti del tuo successo, giusto?

Io avrei potuto fare l'idraulico e sturare i lavandini… lo faccio con le coscienze, rende di più.

Una delle tue più grandi trasgressioni degli ultimi anni è stata quella di mollare le major e andare da indipendente. Hai un nome, un curriculum e una carriera che potevano permettertelo, ma resta comunque un passo difficile, una scelta di coraggio. Quando è nato questo bisogno e che soddisfazione ti ha dato?

Guarda, ti dirò la verità, sono state proprio le major che mi hanno suggerito questa opzione: nel corso dei primi anni ho vissuto una sorta di ricatto. All'inizio dalla RCA mi convocarono e mi dissero che se non avessi venduto sufficientemente col terzo album mi avrebbero mandato a casa, questo era il senso, così da questa precarietà volevo fuggire, non volevo che né io, né il mio lavoro, né la mia creatività fossimo condizionati da questi ricatti, questa superficialità di affrontare un lavoro come quello dell'artista che non vuole appendici, né lacchè, né ruffiani. Ho avvertito il bisogno di scollarmi e di prendere in mano la situazione e garantirmi la libertà e questo mi ha fruttato tantissimo perché ho potuto mantenere con il pubblico la sincerità, un rapporto sempre ossigenato. Questo, ovviamente, incide anche sulla produzione, sui lavori, sulle canzoni, perché non hai più il fiato sul collo, l'oppressione di questi salumieri.

Una scommessa che ti ha portato non solo a entrare nelle posizioni alte della classifica, ma a restarci anche dopo la prima settimana che, forse, oggi, in questo mondo di trapper non è semplice. Tra l'altro poche settimane fa facesti polemica con le radio, come è finita, poi?

Beh, penso che la polemica abbia sortito un discreto effetto, perché non parlavo solo della mia salute, ma di quella della musica italiana, soprattutto certi messaggi di altissimo livelli e qualità: parlavo di colleghi che mi hanno preceduto e sono stati in grado di regalare all'Italia un patrimonio di musica leggera di grande spessore e di grande pathos, quindi il fatto di sentire tanto De Andrè o Guccini o Jannacci e Gaber alla radio significa mantenere a galla un patrimonio altissimo e dare ai giovani l'opportunità di avere dei termini di paragone, perché se non gli diamo degli esempi a ‘sti ragazzi, poi non possiamo lamentarci se non sono sufficientemente convincenti con i loro lavori, dal momento che non hanno termini di paragone. Io quando uscivo con un disco dovevo fare i conti con Lucio Battisti, Lucio Dalla,  Francesco De Gregori, Claudio Baglioni. Era un lavoro, perché riuscire a perforare questo muro era un'impresa titanica, quindi c'è bisogno che che le radio continuino questo lavoro di far capire ai ragazzi che se Sapore di sale ancora sopravvive con grande eleganza e dignità vuol dire che bisogna andare in quella direzione.

E non è un caso che canti "Belli e così ribelli (…) ma di talenti non se ne parla cari fratelli". Non sei stato troppo cattivo?

[Ride] No, dispettoso.

Però a un certo punto ti chiedi anche chi prenderà il tuo posto. Ecco, chi prenderà il tuo posto?

Eh, chi prenderà il mio posto dovrà fare i conti col mio trascorso, con quello che ho portato a casa.

Ma c'è qualcuno che pensi possa prendere questo testimone?

Guarda, a me piacciono molto Ultimo e Diodato, perché ho avuto delle belle emozioni ascoltandoli.

Che, però, insomma, sono lontani dall'idea trasgressiva di Zero…

Ah, in quel senso? Secondo me oggi la trasgressione ha bisogno di una vacanza, la misura della continuità di un discorso è anche, secondo me, essere prima di tutto molto autocritici, cosa che a me riesce molto. E poi cercare un po' di considerare anche questo fatto che sia cambiato anche un modo di esprimersi e una direzione diversa di approccio col pubblico, che prevede anche una certa estetica, l'utilizzo di certi agi, di una ricchezza che fa sognare. Purtroppo però sappiamo bene che in molti di questi messaggi c'è anche molta violenza, molta rabbia, una rabbia che spesso non si coniuga bene con la possibilità di modificare le cose, dare con una certa serenità e ragionevolezza una svolta a un momento di stallo come questo, in cui siamo tutti alla ricerca di noi stessi. Trovarci è il risultato finale, ma io mi ritrovo ancora quando sento "Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti".

E a proposito, in queste canzoni parli di Natura, Dio… Qual è il tuo rapporto con la fede e con il futuro che, scrivi, si assottiglia?

Guarda, io mi sento di dire che ho raggiunto questa mia serenità, anche artisticamente parlando. Mi sento appagato, ho rappresentato bene il mio pensiero, la mia volontà di cambiare, di dare anche un contributo al cambiamento, ho ricevuto delle belle sollecitazioni da Bob Dylan, Frank Zappa, che mi hanno sollecitato la partecipazione e anche il coraggio e l'abnegazione di fare di questo impegno anche una cosa in cui non c'è possibilità di interruzione: io sono Renato Zero ventiquattro ore al giorno, ormai, questa è una faccenda che mi mette al sicuro con me stesso del fatto di avere in qualche modo esautorato quello che era l'impegno in forma generale, laddove alla risata ho dato spessore e valore e ho dato energia anche al coraggio.

E Dio, invece?

Ho rappresentato anche attraverso la fede quello che è stato il mio pensiero finale, perché io conobbi Dio, lo conobbi e me lo presentarono come un castigamatti, come qualcuno che avrebbe potuto decidere se avessi dovuto bruciare all'inferno oppure godermi il paesaggio del paradiso. Poi, improvvisamente, vivendo e ascoltando un pochino me stesso ho cominciato a interessarmi a questo Dio per cercare di capire fino a che punto fosse il feroce Saladino e invece ho scoperto, con molta sorpresa e felicità, che questo Dio è un Dio di tutti, il Dio che ci meritiamo. Ognuno deve vedere Dio nella misura in cui lo rappresenta, con una certa fedeltà, con una certa costanza ma soprattutto umiltà, perché ci sono troppi dei in giro, soprattutto questi che fanno gli infuencer, questo feticcio che a me spaventa molto. Il mio Dio non si fa vedere, perché è molto discreto, però si fa scoprire, si fa indovinare, si fa cercare, si fa amare.

Tu canti "Perché nascondere poi una sessualità, discriminare chi è molto più onesto di te. Non si può amare semmai fra allusioni e sospetti. Finalmente sdoganato questo sesso va da sé, quanto tempo abbiamo perso io e te”, questa frase mi ha portato alla mente il discorso dell’alieno a Sanremo. Zero, ci stai a provocà…

Beh, l'alieno è presente qui, su questo pianeta siamo in tanti, non è che sono solo io l'alieno, siamo una certa quantità di persone, ovviamente non siamo sempre decifrabili perché non ci chiamiamo tutti Renato Zero e non tutti frequentiamo il palcoscenico coi camerini, però siamo in tanti e devo dire che siamo stupefacenti, perché riusciamo, nella nostra discrezione, a contaminare più del Covid: speranza, allegria, impegno, amore, siamo alieni a tutto tondo.

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