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Rachele Bastreghi oltre i Baustelle: “Noi donne facciamo più fatica, ma è il momento di svegliarci”

“Libertà” è forse la parole che più volte Rachele Bastreghi usa per descrivere non solo il suo “Psychodonna”, primo album solista dopo l’Ep “Marie”, ma in generale per descrivere il suo percorso. Con quest’album si mette a nudo, canta il bisogno di esprimersi liberamente, come si sente nei testi e nella musica.
A cura di Francesco Raiola
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Rachele Bastreghi Crediti Elisabetta Claudio
Rachele Bastreghi Crediti Elisabetta Claudio

"Libertà" è forse la parole che più volte Rachele Bastreghi usa per descrivere non solo il suo "Psychodonna", primo album solista dopo l'Ep "Marie", ma in generale per descrivere il suo percorso. Un percorso che l'ha portata a essere uno dei riferimenti del pop italiano, grazie ai Baustelle, ma che con questo lavoro espande la propria visione a mondi diversi, in cui l'elettronica e la contemporaneità riescono a fondersi con un senso arcaico e per alcuni suoi amori dichiarati come la Francia degli anni 60/70 o sperimentazioni à la Sebastien Tellier. In Pshycodonna – accompagnata da Mario Conte alla coproduzione e dai feat di Meg, Silvia Calderoni e Chiara Mastroianni – Bastreghi, quindi, si mette a nudo, canta il bisogno di esprimersi liberamente, come si sente nei testi e nella musica: "Avevo bisogno di affrontare delle paure e vedere in faccia quelle fragilità".

Parliamo di un primo album che non è il tuo primo lavoro solista, avendo pubblicato "Marie", non eri proprio all'inizio, qual è la differenza tra i due lavori?

Quel lavoro lì mi è servito tanto, era un primo segno di questo percorso personale, solo che in quel caso tutto era nato da una chiamata esterna, per una canzone sugli anni '70 che avevo scritto per una fiction in cui interpretavo una chanteuse. Mi ero creata un immaginario e un alter ego, Marie, appunto, con testi che parlavano di amore e la musica doveva rispettare certi limiti e certe regole, anche perché ambientata in quegli anni. Qui, invece, è stata una chiamata interna, mia, con l'esigenza di un'espressione libera e c'è anche un altro tipo di lavoro.

Un pezzo di quel mondo te lo sei portata appresso comunque.

Sì, anche nei Baustelle si riscontra quello che è il mio apporto, quello è il mio modo di approcciarmi agli strumenti, agli arrangiamenti. Ovviamente qua ho spaziato di più, ho spinto sull'accelleratore, su tutti i miei lati. E ho ricreato anche tutte queste diversità che abitano dentro di me, che hanno costituito tutti i testi e questo racconto che ho fatto.

Un racconto che definisci concept, tra l'altro. Nasce già con questa idea o una cosa tira l'altra?

Io non sono brava a dire "Faccio questo", inizio dalla pancia, l'istinto parte, vomito quello che ho dentro e a un certo punto ho capito dove andavo a parare, che avevo bisogno forse di mettere luce su determinate cose, per cui mi sono isolata anche per trovare la forza di aprirmi. È un disco in cui mi metto a nudo, in cui mi sono un po' smascherata, avevo bisogno di affrontare delle paure e vedere in faccia quelle fragilità, cercando di trasformarle in forza creativa, in un racconto e qualcosa da condividere.

Per lavorare a Psychodonna hai scelto Mario Conte, una scelta che già prima di premere play dà già dei riferimenti ai mondi sonori. Come è nata la collaborazione?

La visione è nata strada facendo, l'indirizzo era libertà totale, quindi andando a ripescare quelle che sono le mie influenze, senza avere paura anche di osare, spingere l'accelleratore sulla mia identità, sul mio percorso e i miei gusti. Mario è un pianista straordinario e avevamo già lavorato assieme in passato su un brano di Lucio Battisti per una compilation, quindi lo conoscevo bene; c'era questo desiderio di mettere insieme i nostri mondi e visto che andavo verso l'elettronica e la sperimentazione è stata una scelta desiderata.

C'è tanta sperimentazione, c'è elettronica, ma c'è anche una dimensione arcaica che introduce, in generale, un amore che tu hai per un certo passato musicale.

Sì, c'è il barocco, c'è Bach, ci sono gli intrecci, gli incastri, c'è questo gioco di mettere insieme i vari mondi. Sono una donna contemporanea ma anche antica: io nasco col pianoforte, per cui spesso i pezzi escono da questi giri armonici ossessivi, che si ripetono e poi costruisco pian piano il mio castello sonoro fatto di stratificazioni a non finire. E qui entra la figura di Mario produttore che mi taglia le mani e mi dà un po' di ordine, perché io mi innamoro e mi affeziono a tutto quello che faccio, non toglierei niente e allora lì cedo la scelta anche a chi ha anche una mente più libera dalla composizione.

Come succede anche coi Baustelle, in Psychodonna metti sul tavolo anche una serie di riferimenti, da Virginia Woolf al Cinema, con riferimenti musicali, espliciti come il Battiato di Fetus.

Ognuno mi ha dato qualcosa, tipo l'attitudine sperimentale. Ascoltavo quei dischi lì, i '70 di Battiato, anche per la struttura delle canzoni, volevo che non avesse sempre un ordine, volevo lasciare voci, parti strumentali, volevo essere libera. Il mio è sempre un viaggio e volevo essere libera di farlo, non aver paura di dare per forza un ordine. E anche le donne che mi sono state accanto, con i libri, con le letture e le loro poesie mi hanno dato agio di liberarmi, di trovare il modo di fare la mia lotta interiore e uscire fuori.

Alcune donne te le sei anche portate anche a suonare con te, altre le hai portate con te cantandole, come avvenuto con Anna Oxa.

Prendi Meg, ci conosciamo da tanti anni, io ero una fan dei 99 Posse e poi di lei solista, credo sia un'artista straordinaria, mi ci rivedo molto nella sua attitudine, in quello che fa, per cui era il momento giusto per fare qualcosa assieme. Ho scritto "Due ragazze a Roma", che è una storia d'amore ma creata con varie fasi strumentali all'interno della canzone, e ogni parte mi ha richiamato una diversa sfumatura femminile, per cui quelle parti le ho sempre sentite adatte per le persone che ho chiamato a collaborare, ci sono tanti tipi di "psychodonne". E lì torna anche il mio amore per la Francia, le colonne sonore francesi.

Avere una band come i Baustelle permette di fare un album anche più libero da tutta una serie di aspettative?

È un disco che va ascoltato più volte, e già questo lo rende più difficile, per entrarci dentro ha bisogno che tu abbia voglia di entrarci, ci sono tante cose e va digerito, sono i dischi che piacciono a me. Questa cosa del gruppo la vedo come una cosa positiva che mi ha arricchito e dato gli strumenti, oggi, per fare il disco che potevo fare. Era un desiderio che ho sempre avuto, però o per coraggio o con l'età ho conquistato una consapevolezza e un'esperienza tale da mettere in pratica la complessità che ho dentro e l'ho tradotta anche in musica, ma senza voler essere difficile, perché per me è facile.

Imagino che il pubblico a cui ti rivolgi è un pubblico che ama proprio scoprire a ogni ascolto qualcosa, no?

Certo, anche all'interno di una canzone ci sono dinamiche diverse, a ribadire che anche dentro di me ci sono movimenti diversi anche all'interno della stessa giornata, insomma sono tutte fotografie di stati d'animo, di fasi, mosse e anche mutamenti e cambiamento, come si vede anche dalla copertina, che è mossa, non la afferri subito.

Ti faccio una domanda che sto facendo a un po' di artiste e ha a che fare con questo cantautorato che si sta aprendo sempre più a una visione femminile, a un racconto da un punto di vista diverso da quello che per anni ci ha prevalentemente accompagnato. Che ne pensi?

Facciamo più difficoltà, la donna fa sempre più difficoltà, fatica, deve sempre dimostrare il doppio. Io mi sono fatta coraggio anche guardando donne che hanno vissuto ancora di più in un mondo maschilista e patriarcale, e che hanno trovato il coraggio e noi, grazie anche a loro, abbiamo una strada più dritta da fare. Quello che vedo ultimamente è che si sta andando verso una bella direzione, mi pare che adesso ci siano delle cose interessanti, donne che vengono fuori e hanno il coraggio di parlare anche delle loro sofferenze, di questa lotta interiore che abbiamo dentro dalla nascita per cui trovare anche in musica il nostro linguaggio.

Credi sia dovuto anche alla fertilità di uno spazio sociale più attento a questi temi?

Ma sì, sono anche i tempi che cambiano, la donna è sempre sotto ai riflettori per tante cose brutte, io mi auguro che iniziamo a farci coraggio. Io dico svegliamoci!, lo dico per me, come invito, perché bisogna avere il coraggio di tirarci fuori, non aver paura di guardarsi dentro e esprimerlo.

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