Piotta è la voce di Suburra: il rapper racconta la colonna sonora della serie ambientata a Roma
Piotta ha raccontato a Fanpage.it come nasce la collaborazione con Netflix e Cattleya per la scrittura della colonna sonora di Suburra, "Suburra – Final Season", di cui ha curato tutta la colonna sonora della terza stagione, dopo che la sua "7 Vzi capitale" era diventata la sigla della serie tv. Il rapper romano ha scelto di dedicare ogni canzone a uno dei personaggi della serie ambientata a Roma e soprattutto ha mostrato le varie facce, anche sonore, della città, unendo il cantautorato indie, al rap, passando per elettronica e folk e il risultato e la capacità del cantante di mostrare le varie sfaccettature sia della scena della Capitale che la complessità dei vari personaggi della serie.
Con Suburra il tuo rapporto ha origini vecchie, ma come nasce il progetto e come è arrivato a questa evoluzione?
Il rapporto nasce un po’ di anni fa, arrivò una mail all’etichetta chiedendoci se fossimo interessati all’utilizzo di un mio brano, “7 vizi capitale”, già esistente nell’album "Nemici" per una puntata di Suburra che sarebbe stata allora la prima serie in assoluto prodotta da Netflix in Italia. Dissi di sì e poi dopo un po’ di settimane mi arrivò un'altra mail in cui dissero che gli era piaciuta così tanto che avevano pensato di usarla per tutte le puntate, cioè di farne la sigla e da lì è nato un bel rapporto artistico e anche umano. Dopo un'altra collaborazione il secondo anno è sfociata in questa colonna sonora che è un lavoro molto più organico, ampio, stimolante.
È un album che ha nel rap una delle sue sfumature, ma per esempio continui anche su sonorità folk classiche e elettroniche. Come l’hai costruito?
È un album in cui ho voluto fare il punto del mio percorso musicale, quindi non poteva mancare il rap degli esordi ma anche una scrittura rap più attuale, più cantautorale come in "È ora di andare", ma con aspetti più folk che c’erano già in "7 vizi Capitale" anche se questa volta in versione non downtempo ma uptempo, veloci e ballabili, come ne “La giostra”. Detto così è variegato ma ha un senso compiuto dall’inizio alla fine, e sono molto orgoglioso del lavoro che si è fatto insieme a Francesco Santalucia. In più le sfumature servono anche per raccontare meglio i personaggi, sia a livello umano, col testo che emotivo quindi con accordi note composizione.
Non poteva che essere Piotta a raccontare quella Roma…
Io mi sono sentito in grado di raccontarla e penso di averlo fatto bene, credo anche di non essere l’unico a poterlo fare, Roma è una città grandissima e quindi ha tante sfaccettature da raccontare ed è piena di artisti validi di tante generazioni che lo sanno fare molto bene. Io ho cercato di fare un po' quello che è nel mio percorso ormai ventennale, una summa di questi ingredienti che la città ha: dal rap alla parte più indie fino a quella più popolare, verace, folk come si vede in “Voce dell’infame” e una parte di “Suburra”.
Come ti sei mosso nella creazione delle varie canzoni? E come è nata l’idea di costruirle sui vari personaggi?
Suburra è un’opera corale, con tanti personaggi, ho pensato che sarebbe stato fico non fare una semplice sigla come in passato, ma farne di più, una per ogni personaggio, a mo’ di supereroe, che avesse un suo tema musicale e anche un racconto narrativo che spiegasse perché era arrivato fino a lì. Non per esaltarli, ovviamente, ma per tirare fuori il lato più umano da ognuno di loro, perché alla fine anche se sembrano degli invincibili sono tutti degli sconfitti.
C’è qualcuno che ti ha consigliato una volta che buttavi giù la prima stesura del brano? Hai sentito regista, attori, sceneggiatori? Qualcuno ha tentato di suggerire qualcosa anche nel modo del racconto? Sappiamo che le regole Netflix sono molto stringenti…
Come tutte le colonne sonore sono di servizio all’opera filmica quindi è un lavoro di squadra che si fa tra regia, sala montaggio, produzione e lampante strettamente musicale. L’ho fatto sia per la consulenza di altri brani inseriti sia in questo caso nella parte più libera e creativa e devo dirti che sono stato molto libero di create quello che volevo. Chiaramente ogni mia idea era una proposta e fortuna vuole che le proposte sono state tutte ben accolte sia dalla produzione italiana, Cattleya, che da Netflix: era un iter burocraticamente lungo ma anche molto efficace che mi ha permesso di confrontarmi da Roma con ritmi e dinamiche di altissimo livello e abbiamo fatto bella figura.
Il prossimo singolo è “È ora di andare”, ci racconti come nasce?
"È ora di andare" è uno dei miei brani preferiti, non perché sia il nuovo singolo ma perché è un trait d’union tra il mio ultimo album "Interno 7", che era molto intimo, e la colonna sonora di una serie crime, perché ho cercato appunto di estrapolare da ogni criminale il suo lato più umano ed emotivo e ho capito che sono tutti dei deboli, sconfitti. In particolare, "È ora di andare" è dedicata a Spadino, il personaggio interpretato da Giacomo Ferrara, ma così come lui, un po’ tutti, eccetto uno che non diremo qual è per non fare spoiler, sono degli sconfitti e per tutti loro a un certo punto è ora di andare, chi in maniera definitiva e chi in maniera parziale.
Com’è scrivere dovendo tenere presente un progetto come questo?
È figo, è stata un’esperienza stimolante, può sembrare un limite non poter spaziare liberamente ovunque per scrivere, avendo delle immagini su cui basarsi, in realtà, però, è lì che nasce la sfida, come quando a scuola ti dicono che il tema non è libero ma c’è un argomento specifico, però all’interno di quell’argomento devi riuscire a raccontarlo col tuo stile.
In che modo si inserisce nel tuo percorso?
Si inserisce perché è la prima colonna sonora integrale che faccio. Altre volte avevo collaborato con canzoni e sigle, ma è una cosa molto differente come impegno mentale e anche artistico e compositivo: è stata una novità che ho accolto a braccia aperte e spero che sia la prima di altre colonne sonore. Mi piacerebbe che alcune canzoni potessero rimanere al di là della serie.
Come descriveresti la Roma musicale di oggi?
Spacca, lo fa da parecchio tempo, c’è un ottimo ricambio di artisti, non manca il dialogo tra chi è più grande d’età e chi è più giovane. Per esempio, la mia realtà, La grande onda, è una factory che ha sede a Piazza Bologna ed è scuola di musica, etichetta discografica con un viavai che va dai 17enni agli ultra quarantenni e c’è un bel confronto tra energia ed esperienza e questa passione che una volta che ti prende non ti lascia più.
La Roma di oggi, invece?
La Roma di oggi soffre parecchio e purtroppo è in grande compagnia anzi, è talmente in compagnia che sembra meno peggio di qualche anno fa, ma credo che più che per meriti propri sia per demeriti altrui, nel senso che città che sembravano invalicabili hanno mostrato il loro lato più debole perché siamo tutti sotto assedio.