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Pino Daniele: il passato che ritorna (a caro prezzo)

A undici mesi dalla scomparsa, e a sei dal doppio “Nero a metà Live” con l’ultimo concerto, è stato pubblicato il secondo postumo di Pino Daniele: si intitola “Tracce di libertà” ed è un cofanetto dedicato specificamente alla prima produzione dell’artista napoletano.
A cura di Federico Guglielmi
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Foto di Lino Vairetti
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Non saprei dire con esattezza quando ascoltai per la prima volta Pino Daniele; quando lo ascoltai consapevole di chi stessi ascoltando, insomma, e non solo come “sottofondo di melodie piacevoli e canto in napoletano” che usciva dalla radio. Il passato remoto ci sta comunque tutto, visto che si parla dei tardi ‘70: di questo sono sicuro, perché quando il 27 e 28 giugno del 1980 il giovane musicista – aveva da poco compiuto venticinque anni – suonò negli affollatissimi stadi di Milano e Torino, dopo il bluesman romano Roberto Ciotti e prima degli scozzesi Average White Band, come spalla di Bob Marley, lo conoscevo già bene. Il suo terzo album “Nero a metà”, che grazie al brano “Nun me scuccià” gli avrebbe dato la definitiva affermazione commerciale, era sul mercato da alcune settimane, ma “Je so’ pazzo” – singolo del precedente LP senza titolo, AD 1979 – era stato un tormentone assoluto, al punto da “obbligare” chiunque a cercare di saperne di più su quel ragazzo che mescolava tradizioni partenopee e blues; e che, sebbene subito accattivante, rivelava anche un’anima un po’ “scura”, tanto nelle atmosfere, quanto in testi dove le tematiche sentimentali si ponevano qua e là sullo sfondo per lasciar spazio a temi concettuali/esistenziali non privi di legami con una realtà sociale problematica.

Sono sempre sincero fino all’autolesionismo e lo sarò pure adesso: mica mi piaceva tanto, Pino Daniele. Non potevo non ritenerlo bravo, non potevo negarne la personalità e quindi la riconoscibilità, ma “a pelle” non mi prendeva. Colpa, è probabile, di architetture strumentali certo non banali ma troppo spesso – per il mio gusto – edulcorate, e di canzoni che vantavano un respiro blues ma che non erano blues fino in fondo. Va da sé che non pretendevo che un artista bene o male attivo nel circuito “pop” e accasato alla major EMI si proponesse come discepolo nostrano di Charley Patton o, per andare su un nome meno “da iniziati”, John Lee Hooker, ma mi sembrava che nella sua musica ci fosse “più” del dovuto, in termini di arrangiamenti e paraculate “radio friendly”; per fare un esempio da cultori DOC, vai a capire perché “Suonno d’ajere”, una potenziale gemma dell’esordio “Terra mia”, sia stata deturpata con gli abominevoli ritornelli “corali” che seguono le scarne, intense strofe. Inoltre, giacché ci sono, mi è concesso dire che la mia opinione sulla tanto osannata “’Na tazzulella ‘e cafè” è affine a quella del rag. Fantozzi a proposito de “La corazzata Potëmkin”? Credetemi, non mi interessa dissacrare il mito e so bene che con una simile affermazione rischio seriamente di raccogliere pernacchioni tonanti, ma sono convintissimo che parte del repertorio di Pino Daniele avrebbe potuto essere migliore, e di molto, se “rivestito” in modo diverso, ovvero privilegiando l’istinto alla sterile calligrafia; tendenza, quella a “perfezionare” e “nazionalpopolarizzare”, accentuatasi nella seconda fase di carriera, della quale hit quali “’O scarrafone” o “Che dio ti benedica” sono tra i biglietti da visita.

Il Pino Daniele riportato ora sotto le luci dei riflettori da questioni di attualità discografica non è quello “tardo” bensì quello dei primi passi, documentati da un tris di 33 giri – “Terra mia”, “Pino Daniele”, “Nero a metà” – in cui molti vedono i capolavori del cantautore. Il box “Tracce di libertà”, edito venerdì scorso dalla Universal, raccoglie infatti i trentasette episodi degli album originali, con l’aggiunta di trentanove incisioni della stessa epoca che comprendono versioni differenti, demo, “work in progress” e una manciata di inediti; più di questi ultimi, che quale più quale meno evidenziano la loro natura di scarti, intrigano soprattutto alcuni provini di composizioni note, che aprono finestre sullo sviluppo del materiale e su volti alternativi del Nostro. Ne deriva, nel complesso, un gran bel viaggio, reso ancor più avvincente dal libro di sessanta pagine con informazioni, fotografie e curiosità; e chi ritenesse tale operazione un oltraggio alla memoria… sbaglierebbe, dato che nel 2014 – con Daniele ancora vivissimo, dunque – era stata confezionata, con i medesimi criteri, una “expanded edition” di “Nero a metà”. A dispiacere – anzi, a fare incazzare un bel po’ – è il costo ignobilmente esagerato del box “super deluxe” con sei CD: di listino, ben 99 euro, e dunque in proporzione assai più salato delle corrispondenti strenne natalizie di Fabrizio De André, Franco Battiato e Francesco Guccini. Vero che per il cofanetto “deluxe”, più piccolo e con tre soli compact, sono richiesti appena 24 euro, ma il suo esiguo numero di “bonus” – dodici pezzi in totale, con un unico degli inediti – lo rende una sorta di presa per i fondelli, specie considerando che qualsiasi fan possiede (naturalmente) i tre dischi dei ‘70 e magari la succitata “expanded” dell’anno scorso. È una vergogna e non ci piove, ma purtroppo completisti e feticisti davanti a queste cose spengono il cervello e, dunque, i soliti speculatori fanno benissimo a sfruttarne le debolezze; e pensare che se tutti loro resistessero alla tentazione dell’acquisto immediato, il prezzo scenderebbe rapidamente fino a quella sessantina di euro che sarebbe, in rapporto a prodotti similari, “il giusto”. Io attenderò, e se “Tracce di libertà” non dovesse mai entrarmi in casa… pazienza. Dal mio canto, non provare un amore folle per Pino Daniele è una bella fortuna.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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