Perché non riusciamo a toglierci dalla testa (It Goes Like) Nanana di Peggy Gou
Un tempo qui era tutta eurodance. Ciascuno ricorda gli anni ‘90 come preferisce: per alcuni età dell’oro del rock alternativo o del brit-pop, per altri semplicemente “gli anni” degli 883. Moltissimi ricorderanno invece i fasti dell’eurodance, quella musica che, forse in ottemperanza al recentissimo trattato di Maastricht, integrava i dancefloor d’Europa e ne faceva un miraggio globale.
Nonostante gli euroscetticismi diffusi, l’eredità della musica dance europea è di grande attualità. Il fenomeno è globale: chiusa la fase aurea dell’EDM, come in qualsiasi momento di “stanca” nei fenomeni culturali lo sguardo si è rivolto al passato remoto. E da lì si sono riaffacciati fantasmi (benevoli) sotto forma di remix e revival della cassa dritta. Dalle produzioni mastodontiche di Beyoncé alla “new nostalgia” di stelle in ascesa come PinkPantheress, passando per il successo su TikTok della canzone parodia alla Vengaboys Planet of the Bass, creata dal comico Kyle Gordon, la dance è di nuovo fra noi in molteplici incarnazioni. Così, si sono riempiti gli spazi lasciati vacanti dalle DJ superstar, nuovi microgeneri e grossi prodotti commerciali tirano per la giacchetta rave, jungle e trance, e il campionato mondiale della nostalgia e dell’insofferenza per il presente ha una nuova competizione.
Del resto, non stupisce questo ritorno: molta musica dance prodotta negli anni ‘90, e in particolare l’eurodance, era impossibile da staccarsi di dosso perché svelta, ballabile, ripetitiva e farcita di hook strumentali; era, cioè, antesignana del pop che tuttora riconosciamo come tale. E questo la DJ coreana Peggy Gou lo sapeva benissimo mentre, assemblando ispirazioni e idee da un decennio in cui era ancora in fasce, componeva una delle poche vere hit autenticamente “da ballare” dell’estate 2023: (It Goes Like) Nanana.
Qualche numero sul brano: in Italia è stato certificato da FIMI disco di platino in meno di tre mesi, meglio di tante canzoni passate nelle rassegne estive – in compenso, Peggy Gou suonerà a Spring Attitude a Roma sabato 23 settembre. Dei 181 milioni di stream accumulati su Spotify dal brano oltre 19 milioni vengono da qui: insomma, un successo innegabile ma non del tutto prevedibile visto che un anno fa nelle classifiche italiane latitavano canzoni simili. Cosa ha aperto un nuovo spazio?
L’effetto nostalgia ha contribuito: il ricordo (o il ricordo preso in prestito dai genitori) di un’epoca d’oro della dance è irresistibile, come qualsiasi narrazione di un tempo migliore del presente. Peggy Gou, formatasi tra Londra e soprattutto Berlino, ha pescato da questo pozzo, come dimostrano gli elementi della sua hit. Per primo, entra in scena un basso che salta come Show Me Love di Robin S, ma gira sugli accordi di I Like To Move It, traccia americana di enorme successo europeo prima che diventasse “la canzone del film Madagascar”: per molti la prima trappola è già qui. Quindi un motivo di tastiera e gli accordi staccati di pianoforte avvisano i più attenti: questa è, in effetti, Ibiza. Una delle ispirazioni dichiarate dalla DJ, infatti, è stata la house balearica, così in sintonia con la stagione estiva.
Quindi arriva un hook innegabile, derivato da un’altra influenza citata da Gou.
Parliamo di ATB, cioè il DJ tedesco André Tannerberger, che nel 1998 pubblicò l’insidiosa traccia trance 9 PM (Till I Come), moderato successo discografico nel secolo scorso tornato in auge con un auto-remix due anni fa (due dischi di platino in Italia). A rendere pericoloso quel brano era un motivetto di chitarra sintetica, svirgolato da un “bending” che gli dava un aspetto organico ma alieno, quasi un curioso rantolo extraterrestre: Peggy Gou non campiona (cioè non estrae dalla registrazione originale) questo hook, ma ne imita il timbro e il “bending”, materialmente prodotto sulle tastiere con una rotella (“pitch wheel”). In questo modo, alludendo ma non citando, la DJ crea qualcosa di ancora più forte della memoria: l’impressione di essa, un fotomontaggio credibile, il dubbio di essere già passati di qua. Se conservi un ricordo di 9 PM, sarai tormentato dal sospetto di aver sentito da qualche parte Nanana.
E così, distratto mentre frughi nei ricordi, continuerai ad ascoltare. (It Goes Like) Nanana è una matrioska di trappole sonore: dove non interviene il ricordo, arrivano le leggi eterne del tormentone. Ad esempio, un ritornello con parole comprensibili in ogni angolo del pianeta funziona sempre meglio: e quale lingua è più universale della cantilena di sillabe che impariamo da infanti? Le immortali parole “na na na” sono scolpite nei ritornelli di infinite hit dance pop, da Freed From Desire di Gala a Can’t Get You Out Of My Head di Kylie Minogue, senza contare le centinaia di esempi in altri generi che hanno abusato per decenni di sha-la-la e soci.
C’è in particolare un brano, però, che ne ha fatto uso con la stessa sfacciataggine di Peggy Gou: è Around the World (La la la la la) degli ATC (o A Touch of Class), altra sigla alfabetica per un’altra ispirazione forse non dichiarata, ma evidente. La traccia, uscita con discreta fortuna anche in Italia nel 2000 (originariamente cover di una canzone russa), condivide con l’attuale Nanana la lallazione nel ritornello. Non solo, il sillabare gioioso arriva ugualmente all’apice di un climax semantico che funziona da profezia auto-avverante: se la musica non bastasse da sé per diffondersi in ogni dove, allora prova a dirlo esplicitamente. “Tutti quanti cantano la la la la la”, ordinavano gli ATC. E Peggy Gou non è da meno, anzi, ci costruisce l’intera strofa: “ho una sensazione che non riesco a cancellare e non riesco ad abbandonare, perché è qualcosa nella mente che fa na na na”. Missione compiuta: il na na na è stato impiantato nel cervello.
Tornando al già citato caposaldo della teoria del tormentone di Peter Szendy (Tormentoni!, trad. Laura Odello), “i tormentoni […] parlano di se stessi, della loro economia e della loro banalità […] dicono da sé come funzionano e perché funzionano sul mercato”. E per passare di orecchio in orecchio, con o senza l’aiuto di TikTok, non esistono istruzioni più semplici di quelle che sono già contenute nel titolo: “hai presente quella canzone che fa na na na?”.