“Per combattere la crisi della musica bisogna continuare a farne”, dice Enzo Mazza, Ceo della Fimi
La crisi del settore musicale è evidente, soprattutto per quanto riguarda il comparto live. Per quello discografico legato alle nuove uscite e all'ascolto, invece, il discorso è diverso. C'è bisogno, senza dubbio, di trovare delle strade e delle soluzioni alternative, che non si fermino alle dirette su Instagram, ma abbiano una prospettiva lunga. Abbiamo chiesto a Enzo Mazza, Ceo di Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), quali prospettive si possono immaginare e da dove partire. Lo streaming è una delle risposte, ma, spiega Mazza, è importante che le etichette e il settore capisca che la musica continui a uscire, anche perché a livello internazionale ci sono esempi che possono fare da esempio.
Enzo, guardiamo al futuro, quale sarà la strada da intraprendere dopo questa crisi?
Ci sono due scenari, in parte interconnessi, quello del live e quello dell'industria discografica. Il primo aspetto è quello più complicato, perché non si sa e non si può immaginare quando si tornerà a un regime almeno accettabile, in cui qualcosa possa essere realizzabile. Ogni giorno assistiamo a studi sul futuro delle attività e tutti ci dicono che quelle che prevedono masse di persone sono messi all'ultimo posto tra quelli che potranno tornare a un'attività normale. In questa fase la situazione dovrebbe stimolare il settore a trovare delle soluzioni alternative o temporanee se non altro, quindi l'idea anche di sfruttare questa fase di lockdown con eventi in streaming che hanno riguardato più che altro situazioni personali ed esperimenti, magari cercando di capire se si può costruire attorno a queste ipotesi dei modelli di business. La verità è che questo settore ha bisogno di ripartire perché ha delle necessità economiche, in questo momento la gente ascolta musica, tutti gli artisti fanno degli show, ma a un certo punto ci sarà un problema di liquidità, che già esiste per le piccole etichette, ad esempio, per piccole entità che organizzano eventi.
Gli interventi pubblici non bastano, quindi?
Da una parte ci sono degli aspetti che riguardano gli interventi pubblici, appunto, e vabbè, queste sono le misure che il Governo ha messo a punto per tutti. Parlo di quelle generali, perché se sei un azienda o professionista del mondo dello spettacolo usufruirai di quelle operazioni che valgono per tutti i professionisti, ma al di là di quello ci sono una serie di questioni che non si può pensare di risolvere esclusivamente con l'intervento pubblico.
Ma tu pensi che ci siano già dei modelli di business su questo versante?
Nella mia immaginazione vedo quello che hanno fatto alcuni settori della musica, tipo i concerti live dei Berliner Philharmoniker che vanno in streaming a pagamento a una certa ora o di opere che sono state realizzate con degli eventi in streaming, sbigliettando, le pay per view, l'on demand…
E pensi che a livello locale ci sia margine perché qualcuno paghi per vedere un concerto da casa?
Questo è un tema su cui il settore musicale deve cominciare a riflettere. Premesso che esistono le tecnologie, esiste poi il tema psicologico, dell'avere una risposta dal pubblico: bisogna capire in che modo, in una fase temporanea, si possa offrite un'alternativa al concerto live come siamo abituati a pensarlo.
Questo per quanto riguarda il settore live, mentre per quello che riguarda la musica registrata?
Lì c'è un tema legato alle uscite dei dischi, che in questo momento sono state rallentate da tutti perché non potevano essere organizzate presentazioni al pubblico, conferenze stampa etc. Però anche questo forse dovrebbe essere superato: a livello internazionale qualcuno lo sta già facendo, qualche major sta facendo uscire comunque dischi e anche in Italia a un certo punto bisognerà rendersi conto che bisogna attivarsi.
Immagino che il problema principale venga dall'aspetto economico, no?
Tutto questo avviene perché ragioniamo con una costruzione del marketing e della promo che non esisterà più per un lungo tempo. È ovvio che in molti abbiano pensato di sospendere aspettando tempi migliori, ma tutte le informazioni che arrivano dalle analisi dicono che la problematica si protrarrà, quindi non penso che il settore musicale voglia stare fermo, chessò, sei mesi, in attesa di capire cosa succede…
È sempre una questione di cercare un'alternativa, insomma…
Bisogna identificare qualche passaggio alternativo e studiare qualche modello altro. Lo streaming, anche se in difficoltà – perché non ha avuto il boom che ci si aspettava – è un'arma che sta funzionando: il catalogo si vede, c'è stato un po' di calo sulle top 200, gli abbonati non sono cresciuti in modo esponenziale, però lo strumento è a disposizione, la possibilità di ascoltare musica c'è, anzi, in questa fase, è proprio una delle poche aree che è attiva. Il mercato fisico è praticamente fermo, quindi qualche copia si vende perché il mercato dell'e-commerce funzionava già prima.
Che calo c'è stato in queste settimane?
C'è stata una prima fase in cui c'è stato un calo anche del 15% sullo streaming, poi dopo lo streaming delle classifiche si è assestato e si è anche ripreso rispetto alle prime settimane. A testimonianza che la gente ha cominciato ad ascoltare musica anche da casa. Questo era uno dei temi legati allo streaming, che è legato prevalentemente al trasferimento: si ascolta la musica in auto, in cuffia andando a lavorare, sui mezzi pubblici. Insomma, la prima fase shock c'è stata, mentre i numeri di fine marzo e inizio aprile dimostrano che ci si sta riassestando su questa modalità di ascolto.
Quindi la strada da percorrere, adesso, qual è?
Personalmente mi auguro che il motore dell'industria discografica, che è lo streaming, acceleri e si cerchi di farlo accelerare. Abbiamo davanti una prospettiva importante di transizione verso questo settore. Anzi sta già avvenendo, obtorto collo, come nello smart working per cui tante persone si sono dovuti adeguare in questo periodo, perché era l'unica posizione per poter operare. Quindi anche persone più adulte, che non erano in confidenza con lo streaming, si stanno adattando a questo nuovo scenario. Tra gli aspetti di questa crisi, se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno, ce n'è uno positivo, ovvero l'estrema digitalizzazione degli italiani, che poi è il risultato di questo lockdown. In molti, quindi, si sono dovuti adattare ad ascoltare musica online: Youtube, Amazon, Spotify.
A proposito di digitalizzazione, il mercato musicale può rispondere meglio di altri settori?
Guarda, a differenza del mercato librario o di quello dei Cinema, il mercato discografico era già fortemente digitalizzato, quindi il libro, che aveva un forte mercato fisico si è trovato più in difficoltà, così come il Cinema con la chiusura delle sale. nella musica è diverso, il problema del rallentamento del settore discografico è legato al non avere pubblicazioni nuove; in questo momento alcuni titoli, se guardi al boom di The Weeknd o Drake che hanno sfidato la sorte, hanno avuto risultati importanti. È chiaro che dopo una prima fase di shock bisogna riadattarsi, ma ci sono etichette come Warner che hanno continuato a uscire come da programma, ma ho visto che che anche Universal uscirà con delle cose particolari ogni settimana.
Ok, questo è quanto avviene sull'internazionale, ma per il mercato italiano?
Anche qui bisogna cominciare a fare questo ragionamento, ingegnarsi e riprogrammare e cercare di non perdere troppo tempo. Perché c'è anche un tema importante: la musica, nell'era dell'hip hop e delle nuove generazioni, si consuma molto più velocemente, molte star hanno una vita discografica che si può consumare in tempi molto stretti, quindi stare fermi troppo tempo rischia di diventare controproducente, devi mantenere un contatto coi tuoi fan.