Peppino Di Capri: “Nei ’70 spesi tutto al gioco, poi mi rimboccai le maniche e ripartii”
Non si ferma un attimo Peppino Di Capri, curiosissimo di tutto ciò che avviene attorno, esperto manipolatore di programmi musicali, ha deciso di pubblicare un album di inediti. All'età di 80, insomma, continua mettersi in gioco, invece di sedersi sulla fama e su una posizione di rendita che potrebbe anche farlo rallentare. Non ci pensa proprio uno dei più noti cantanti italiani, che forse vive anche lo scotto di quello che a un certo punto avvenne nella sua ricerca musicale: "Una pecca che non mi perdonerò mai, c'è stato proprio un break point, da una parte Peppino che registrava fino alle quattro di mattina stazioni da tutto il mondo e da lì attingevo le cover, le novità che uscivano, le tendenze, mentre un bel giorno mi sono accoccolato su Peppino Di Capri ormai famoso e invece dovevo continuare e perseverare in quella direzione". Oggi ci sono i figli al suo fianco, ad aiutarlo a rimanere aggiornato, ma parlare con lui è parlare con una persona umilissima, che non ha paura di parlare delle proprie debolezze, usate per formarsi un'esperienza che è stata fondamentale per ripartire.
Un album di inediti a 80 anni non è cosa da tutti i giorni, come nasce?
C'è stato il periodo delle cover che mi ha dato una grande mano all'inizio dei 70, all'epoca il primo che arrivava a fare una cover vinceva. Ho avuto un calo perché per un periodo mi sono scappate di mano alcune cover. Ho sempre fatto cose innovative, pezzi sperimentali li chiamavo io, qualcuno mi diceva "ma questo non è adatto al grosso pubblico", e io rispondevo che non si sa mai, ‘intanto facciamolo, poi può essere che la gente piano piano si affeziona alle novità di Peppino'. Insomma non ho voluto fare un concept disk, che di solito molti fanno, ho detto: ‘No, io faccio in modo che ognuno abbia la canzone sua".
Come nasce oggi un pezzo di Peppino di Capri?
Dipende dalla nottata come è andata, se hai dormito bene, non c'è un metodo (ride, ndr). A volte si usava fare un pezzo per Sanremo, Canzonissima, queste trasmissioni in cui dovevi sparare a zero, mentre adesso no, vengono così.
Lei come si tiene aggiornato, ascolta ancora musica, oggi?
Questa è una pecca che non mi perdonerò mai: c'è stato proprio un break point, da una parte Peppino che registrava fino alle quattro di mattina stazioni da tutto il mondo e da lì attingevo le cover, le novità che uscivano, le tendenze, mentre un bel giorno mi sono accoccolato su Peppino Di Capri ormai famoso e invece dovevo continuare e perseverare in quella direzione. Abbiamo – e mi ci metto anche io dentro – la smania di somigliare a, per vendere quel tantino in più, ma questo è un errore madornale perché si perde, sperdiamo le nostre radici, le tradizioni, quello che una volta era definito ‘Lo stile italiano'.
Come nasce Peppino Di Capri?
Devo molto a Ischia perché m'ha fatto conoscere questi famosi discografici, calarono giù in quel lontano 1958, fine estate, fui segnalato da un avvocato che stava tra il pubblico e disse: ‘Guardate che questi ragazzi, venite a sentire, questi sono bravi'. Praticamente entrarono questi, ci sedemmo con loro: ‘Preparate 10 provini, salite su a Milano', ci diedero 50 mila lire a pezzo, per dieci pezzi, però pagammo noi il viaggio, l'alloggio, il vitto, l'alloggio, lavatura e stiratura. Facemmo questi dischi e dissero ‘Vi faremo sapere'.
E come ve lo fecero sapere?
Un bel giorno arriva la telefonata famosa, ci hanno chiamato e ci hanno detto: "Senta abbiamo deciso di pubblicare il disco!'. "Ma come, pubblicate i provini?" dissi. "Abbiamo fatto un ascolto, ci sono piaciuti tutti quanti, però ci serve il nome del cantante". "Ah, il mio nome normale è Giuseppe Faiella e ho detto che con questo nome così non andavo da nessuna parte". Il mio chitarrista mi fa: ‘Ma come, tu il nome ce l'hai già: come ti chiamano?', ‘Peppino', ‘Di dove sei?', ‘Di Capri' e allora ‘Peppino Di Capri'. E io dissi "Cavolo come suona bene…".
Ne “I miei capelli bianchi” canta “Ho messo in fila tutti i miei ricordi in fondo non c’è molto da cambiare". Conferma che non c'è molto da cambiare?
Sì, in fondo non c'è molto da cambiare, tutto quello che ho fatto lo rifarei, ovviamente lo rifarei senza commettere quegli errori, tipo i tre anni di buio che ho avuto verso la fine degli anni Sessanta, che io chiamo ‘Il dopo Beatles'. Mi metto in proprio, dico con gli ultimi soldini che mi sono rimasti, perché mi ero speso tutto, non mi vergogno di dire che avevo anche i debiti alla fine di quella prima carriera, perché mi piaceva giocare nei casinò, sai quelle cose che dici ‘Vabbè, tanto', invece arriva all'improvviso e devi essere preparato, innanzitutto qua (indica la testa, ndr), perché si può anche impazzire dopo aver fatto centinaia, migliaia di serate, pubblico e all'improvviso finisce tutto come per incanto.
Come fece a ripartire?
Io dissi: mi rimbocco le maniche, voglio ricominciare daccapo e così feci: abbassai i cachet, ricominciai daccapo. Cominciai a riproporre cose mie, poi arrivò una telefonata dalla Rai, pensavo avessero sbagliato numero, io stavo in un momento di crisi pazzesca: "Abbiamo pensato a lei per la sigla del Rischiatutto, questa trasmissione di Mike Bongiorno". Davvero? Fatemi sentire e feci ‘Amare di meno'. Anzi, ora che ci penso, la vorrei proprio incidere di nuovo.
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