Pacifico, da Ayane e Vanoni al Cinema: “Per Genitori VS. Influencer ho messo in pausa le parole”
Scrittore, ma soprattutto musicista e paroliere tra i più apprezzati nel nostro Paese, Pacifico è tornato a cimentarsi con la scrittura cinematografica. Il musicista lo ha fatto quando Fabio Volo lo ha messo in contatto con la regista Michela Andreozzi che stava lavorando al film "Genitori VS. Influencer" che vede nel cast anche Giulia De Lellis. Paroliere che negli anni ha collaborato con tantissimi artisti e artiste, da Gianna Nannini a Malika Ayane passando per Samuele Bersani, Eros Ramazzotti, Zucchero, Giorgia e Antonello Venditti, tra gli altri, Pacifico ha scelto di tornare a un album quasi completamente strumentale, che cercasse la luce e giocasse in alternativa ai tanti dialoghi del film.
È strano ritrovarsi per la prima volta a parlare con uno degli autori di punta della musica italiana di un album che è praticamente strumentale per intero, a parte “Gli anni davanti"…
È strano, vero, perché a parte che questa cosa della parole è una compagnia quotidiana e costante, come ho raccontato spesso, io ho cominciato che avevo 40 anni, prima non avevo scritto una riga. Era solo musica per me, ho sempre fatto il chitarrista, nell'ombra, adesso invece le parole sono così tante che fatico a trovare spazio per la musica, questa è stata un'occasione anche se era una musica di commento al film con, alla fine, una canzone.
Alla fine è sempre il Cinema che ti aiuta a ritrovare quella dimensione strumentale…
Sì, è una cosa che ho visto negli anni. Ricordo Ivano Fossati che a un certo punto volle fare un album senza parole: sai, questi grandi parolieri – vabbè lui è anche un grande musicista – che poi la abbandonano un attimo, perché non è facile il rapporto con le parole, che chiedono di essere significanti, non ti perdonano. Mentre a volte nelle canzoni metti degli angoli nascosti, strumentali, che sono meno riusciti, le parole ti perseguitano quando non sono scritte bene, penso che sia per questo che a un certo punto uno vuole prendersi un po' di respiro.
Parliamo di Genitori Vs Influencer, ci sei arrivato tramite l’intercessione di Volo, ho letto bene?
Assolutamente, in un momento di confinamento, mentre stavano lavorando al film, Fabio, con cui ci frequentiamo da anni, mi ha messo in contatto con Michela Andreozzi, la regista, con cui avrei dovuto incontrarmi, ma non ci siamo mai incontrati di persona, quindi ho scritto sulla sceneggiatura.
Come racconteresti a chi non ha visto il film – ma anche a chi l'ha visto – in che modo la tua musica accompagna le immagini?
Michela mi ha mandato una sceneggiatura che era molto dettagliata, aveva comunque le idee molto chiare. C'era Fabio come protagonista in un ruolo che gli sta a pennello: è un professore di filosofia, che ha studiato, ama la muffa nei libri, l'odore della carta, tutti quei riferimenti novecenteschi, che però è un po' travolto dalla tecnologia, e soprattutto si approccia – così come mio padre si avvicinò a me che armeggiavo con un videoregistratore -, a questa figlia che prende la sua strada, con la porta della camera chiusa; dietro c'è tutto l'aspetto centrale del film, degli influencer e del rapporto con un'altra generazione. Per la musica mi sono ispirato alla Penguin Cafe Orchestra che è un gruppo che amavo molto, mi dava idea di questa musica da giardino, da serata estiva conviviale, quindi le ho lasciate nominate così, volevo una luminosità come c'è nel film.
Infatti i titoli sono "Luce", "Aria", "Nuvole"…
Non volevo mettere "Inseguimento", "Incontro", la luce mi ha tirato dentro, ho voluto lavorare più su questa suggestione luminosa.
A parte il giardino, però, ho notato anche questi fiati un po' mariachi, tex-mex, un po' Calexico un po' "Bianca Luce nera" degli Extraliscio, che non a caso hai coscritto tu. Mi riporta a un immaginario più desertico…
Sì, quello è più quello che avevo dentro, un modo per dare uno spazio anche un po' diverso rispetto a quello che mi arrivava. Essendo un film che ha questo argomento, ha tanti protagonisti, ci sono tanti luoghi, c'è tanta televisione o comunque tanto schermo, penso ai telefonini, è il mondo in cui siamo calati e forse istintivamente ho cercato la luce delle finestre, la luce di altri posti, perché mi sembrava che così allargasse un po' e uscisse dalla musica che mi arriva spesso dal cellulare. Ho cercato una piccola porzione di una musica che in genere metti in un disco, li abbiamo messi dentro per allargare all'ascolto.
L'idea che fosse tutto strumentale è stata un'idea tua?
Era una cosa un po' di servizio: i primi giorni ho detto che non sapevo se fossi in grado di farla questa cosa, poi senza vedere le immagini… Però mi sono isolato, mi sono messo nel mio studio parigino, ho tirato un colpo di tom, mi sono messo al pianoforte, poi ho fatto due riff, poi ho chiamato un amico che suona benissimo la viola, un trombettista con cui tramite il web riusciamo a imbastire delle cose, però volevo fare una cosa minimale, artigianale, dei piccoli oggetti meccanici che si muovevano come dei carillon, che dessero questo movimento al film e l'idea era volutamente questa. In altri due tre pezzi avevo messo le voci, ma sembravano che fossero di troppo, anche perché nel film parlano sempre, c'è sempre un dialogo, non c'è deserto, è sempre scontro e incontro tra persone.
Un modo per mettere silenzio, insomma.
Sì, o per fare spazio, per lasciare quello spazio lì.
Il Cinema, ma anche Ayane, Vanoni, Extraliscio, adesso dove stai andando?
Con Malika abbiamo fatto un lungo lavoro di cui sono molto orgoglioso, poi abbiamo finito il disco con Motta, sto lavorando come autore con Francesco Gabbani, con Gianna Nannini, poi sto finendo il mio secondo romanzo, con La Nave di Teseo, spero di consegnarlo a maggio. È una storia che ha a che fare con la migrazione della mia famiglia dalla Campania fino a Parigi, un po' vera e un po' visionaria, è piena di ricordi. Poi ho passato il primo lunghissimo lockdown parigino che è stato emotivamente difficile, in cui eravamo tutti pietrificati, ora da questo calco di pietra stanno uscendo canzoni e spero entro l'anno di registrare un album mio.
Sono mesi caldi anche per quanto riguarda la questione autorato, del maggiore riconoscimento per gli autori. Che ne pensi di questo bisogno di dare agli autori e chi costruisce la canzone il giusto riconoscimento?
Guarda, quest'anno sono stato invitato a una serata della Siae francese, trasmessa in prima serata e dedicata agli autori. La cosa che mi ha colpito è che la serata cominciava con un video, su uno schermo gigante, in cui c'erano questi artisti enormi come Edith Piaf, Johnny Hallyday etc e il video si chiudeva con la cosa che queste canzoni le conosciamo tutti, ma sono state scritte da… e uscivano tutti gli autori. Ed è strano questo riconoscimento, anche se la questione va riposizionata, perché gli autori o gli arrangiatori soffrono perché dicono: "Questa cosa l'ho fatta io, non si saprà mai", ma c'è qualcosa che i cantanti aggiungono che è inesplicabile, non solo la popolarità. Io ricordo quando scrissi con Nannini "Sei nell'anima", ricordo che le mandai un provino chitarra e voce per capire se girava tutto e funzionava, quando sentii il suo pezzo rimasi di stucco.
La questione è nata anche per quei cantanti che firmano testi che non scrivono, levando soldi agli autori.
Il problema è vero e c'è, ma è anche vero che per come sono abituato io tendo a lavorare con l'artista davanti. In genere mi siedo con l'artista e ci lavoro, quindi alla fine quello che succede è un lavoro comune e questo attenua e protegge da quella cosa, perché il rischio che finito il lavoro l'artista cerchi di avere tutta la luce per sé non è assurda. Devo dire che con gli anni più lavori, più ti viene riconosciuto e viene messo meno in discussione.