Nicola Siciliano è cresciuto: “La musica non deve educare i giovani, al massimo ispirarli”
Nel 2018, P' Secondigliano di Geolier e Nicola Siciliano, ha rappresentato uno dei primi episodi con cui la lingua napoletana avrebbe rivoluzionato l'industria mainstream italiana negli anni successivi. Dopo cinque anni, Nicola Siciliano, adesso 21enne, sembra aver raggiunto, con maggior consapevolezza, le risposte alle domande su se stesso e sulla responsabilità che la sua produzione discografica, tra le più prolifiche, può avere sul suo pubblico, soprattutto quello più giovane. Niente più, il nuovo singolo pubblicato lo scorso 15 settembre, è il primo assaggio di un album che dovrà combattere con le pressioni del disco d'esordio, Napoli 51, e lo farà anche con tematiche personali: proprio da questo punto di vista, il giovane autore ha scelto di fermarsi per un anno, attraversando l'influenza della musica tradizionale napoletana, ma anche una ricerca approfondita su ciò che ha lasciato indietro, senza alcun rimorso. Qui l'intervista a Nicola Siciliano.
Pochi giorni fa, a un anno di distanza dall'Ep Freestyle Pack, è uscito Niente più: è un primo assaggio dell'album che arriverà?
"Niente più" rappresenta il primo input con cui è stato concepito l'intero album. Avevo bisogno di chiarire la tela del prossimo disco e tutti i messaggi che affronterò.
Facciamo un passo indietro: la pausa nell'ultimo anno in che modo ti ha aiutato?
Avevo bisogno di fermarmi a riflettere. Ho sempre amato la musica per la sua visione condivisibile, ma anche come strumento di comunicazione "coinvolgente". Per arrivare a questo status, ho avuto necessità di fermarmi un secondo, di rivedere la mia scrittura, e in maniera più specifica, riprendere anche alcuni miei aspetti personali.
Un aspetto opposto a ciò che hai mostrato fino a qui nella tua carriera: a soli 21 anni, sei tra i più prolifici artisti italiani, non solo nelle produzioni, ma anche nelle collaborazioni.
Proprio per questo, avevo necessità di fermarmi a sperimentare cose nuove, non solo musicali, ma anche dal punto di vista personale. Dovevo capire delle cose di me e questo lo si può leggere in tutti i brani del prossimo album. È stato un processo di consapevolezza.
C'è stato qualcosa in particolare, musicalmente parlando, che ti ha maggiormente ispirato nell'ultimo periodo?
Mentirei se dicessi che Utopia di Travis Scott non sia stata la mia principale influenza negli ultimi mesi. Come in passato, anche questa volta si è concentrato su un immaginario astratto, con suoni "spaziali".
Un riferimento musicale che avevi avuto anche in Area 51, il tuo primo disco?
Sì.
C'è anche un salto nella musica tradizionale napoletana?
Nell'ultimo anno ho rivisto un sacco della tradizione musicale della mia città: ho ascoltato tantissimi album del passato. Mi sono lasciato ispirare anche dalle tarantelle, ci sono suoni e ambienti che puoi estrapolare e su cui riesci a mettere anche qualcosa di tuo.
Nel frattempo, a soli 21 anni, sei riuscito già a combinare collaborazioni con artisti come Ty1, ma anche Clementino e ultimamente Il Tre, nel suo disco. Come hai vissuto questi momenti e cosa ti ha ispirato nel lavorare con artisti del genere?
Credo sia stata la maggior influenza ricevuta negli ultimi anni: con alcuni non riuscivo a credere di essere con loro in studio, mentre solo qualche mese prima ascoltavo le loro canzoni. Il modo in cui gli artisti si sono aperti nei miei confronti mi ha dato la possibilità di crescere.
Questo tipo di crescita sembra tradursi con una consapevolezza maggiore del tuo passato, un aspetto che si riesce a cogliere anche in Niente più.
Ci sono delle cose del passato che non mi interessano più.
Essendo esploso molto giovane (a 15 anni con P' Secondigliano nel 2018), c'è stato qualche passaggio a vuoto in questi cinque anni?
Assolutamente, anzi credo che in quest'ottica, il nuovo album abbia a che fare proprio con questo racconto. Anche nel singolo, proprio dal titolo, è chiaro il riferimento a tutto ciò che ho rinunciato del passato.
Un racconto anche nostalgico?
In Niente più ci sono immagini, come quando andavo a giocare a pallone, ma adesso sono solo ricordi. La lente si allarga anche sul modo in cui è cambiata l'etichetta della città, di Napoli, e di quanto ci sia stata una rivincita sociale.
C'è qualcosa dei tuoi 15 anni, che ricordi con maggiore nostalgia?
Credo sia la leggerezza, partendo anche dall'immagine che avevo. Ricordo quando dovevo postare sui social per pubblicizzare la mia musica, non c'erano tante strategie. Ma anche com'è cambiato l'approccio durante i concerti.
Per esempio?
Mi rendo conto che è cambiata proprio l'esperienza dei concerti, anche da fan. Non nego che al concerto di Travis Scott a Roma ho fatto dei video, come quando a un mio concerto mi accorgo che la maggior parte delle volte in cui canto, mi sto rivolgendo agli smartphone più che ai fan. Dei 15 anni mi mancano le volte in cui da fan cercavo una connessione con il cantante che andavo a sentire, per cantare assieme a lui il brano.
Invece quali sono state le rinunce più pesanti?
Credo di aver rinunciato a molto, quasi tutto, nei termini più personali. Non sono una persona che cerca di guardarsi molto indietro, anche perché ho sempre messo al primo posto il mio benessere in questo gioco e non solo.
Se in Napoli 51, l'idea dello spazio era uno dei messaggi più visibili del tuo album d'esordio, quale sarà uno slogan del tuo prossimo album?
Riscatto sociale. Sto facendo tutto questo per il popolo, soprattutto per chi non ha voce. Dovrebbe essere il compito di noi musicisti, rappresentare una porzione della realtà del posto in cui viviamo. Nel nuovo progetto ho fatto una ricerca culturale e musicale che si lega molto alla mia terra e ne condivide il messaggio di rivalsa.
Si affronterà un'auto-consapevolezza maggiore?
Avevo bisogno di esprimere molti più messaggi rispetto all'album d'esordio, era uno step che in Area 51 non sono riuscito a fare e sentivo il bisogno di raccontare anche me stesso. Avevo bisogno di scoprirmi, soprattutto per scoprire alcune parti di me in cui i più giovani possono rivedersi. Voglio raccontare che esistono più modelli a cui legarsi, non solo musicalmente.
Senti la responsabilità della musica che stai producendo?
Tanto e sono fiero di averla, anche perché mi stimola a fare di più: sapere che c'è qualcuno che ti ascolta e ti segue ti pone in una situazione sempre fuori dalla tua comfort zone.
E invece sulla responsabilità della musica nell'educazione dei più giovani?
Non credo che la musica debba educare i più giovani: può sicuramente presentare modelli e ispirare le persone. Ma la responsabilità educativa non dovrebbe riflettere sulla musica.
Un messaggio chiaro come quello di Kendrick Lamar in Count Me Out.
Credo sia uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni.
Ritornando alla mentalità del popolo, della città, hai affrontato in maniera diversa il momento di grande esaltazione nella vittoria del terzo scudetto del Napoli: sei tra i pochi a non aver pubblicato contenuti musicali che avessero quello sfondo di significato. Perché?
Personalmente, ho voluto festeggiare il momento come lo festeggiarono i nostri genitori negli anni '80: lontano dai social e insieme al pubblico in festa. Dall'altro lato, non volevo collegare una mia passione, il tifo, alla musica: c'è stata una bolla in cui in molti hanno pubblicato canzoni e non volevo iscrivermi alla lista.
Si troverà qualche traccia dello scudetto nell'album?
Assolutamente si, diciamo che me la sono conservata per un momento più importante per me.