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Nell’autobiografia di Peppe Vessicchio, Sanremo, talent e il rapporto tra musica e natura

Nell’autobiografia in cui racconta la propria vita, la nascita della passione per la musica, la Storia di un successo, di sconfitte, di Sanremo, tv, Peppe Vessicchio indaga anche in che modo la musica influenzi la vita, anche quella dei pomodori.
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"La musica fa crescere i pomodori" (Rizzoli) è il libro, scritto assieme ad Angelo Carotenuto, in cui il Maestro Peppe Vessicchio racconta una vita dedita alla musica, sempre in bilico tra mercato e purezza, nata per caso, guardando il fratello suonare la chitarra, formatasi in una Napoli viva, in cui il compositore si alternava tra musica e cabaret, approdata al Festival di Sanremo – che gli darà la popolarità nazionalità -, prima di ripiegarsi verso la scrittura e l'approdo a una ricerca più naturalistica. Sì, perché quel titolo non è messo a caso e se da una parte può essere letto in maniera allegorica, in realtà deve essere letto in maniera letterale, dal momento che in questi ultimi anni Vessicchio si sta dedicando realmente a capire in che modo la musica abbia influenza sulle piante e perché Mozart aiuti (più di Beethoven, per esempio) una miglior crescita di pomodori e zucchine: "I pomodori hanno sempre fatto parte della mia vita, ritornano sempre e poi diventano lo strumento attraverso il quale scopro l'interazione che c'è tra alcuni aspetti della musica e i vegetali e sono stati i primi a essere sottoposti a questa indagine per scoprire l'effetto della musica" come dice il Maestro ai microfoni di Fanpage.it.

Prima di approdare ai pomodori, però, il libro è il racconto di una vita fatta con aneddoti, ma anche tecnicismi musicali, con uno sguardo mai banale e molto attento al mondo che ci circonda e al mercato, soprattutto televisivo, che Vessicchio conosce molto bene. Insomma, con questo libro si va oltre la classica autobiografia col volto famoso in copertina, e se si ha la pazienza di andare oltre il pregiudizio, ci si ritroverà catapultati in una Napoli in fermento, che si alternava tra i Trettrè – di cui Vessicchio ha fatto parte – e La Smorfia del trio Troisi-Arena-De Caro, ma anche nel racconto di cosa voleva dire crescerci musicalmente, sviluppare un amore per la musica che si nutriva delle lezioni da uditore al Conservatorio, apprendendo tutti i segreti grazie a personaggi enormi come Aurelio Fierro, uno di quelli che gli diede una possibilità: "Io mi sono trovato sempre nelle circostanze in cui succedevano cose particolare, per cui mi ritrovavo ad essere notato – spiega -: nel mio primo Sanremo mi sbagliarono il nome e io avevo solo la possibilità di fare ‘no' col dito, la cosa fece ridere la sala e il giorno dopo si rivelò un bene. Avere avuto a che fare col cabaret e col teatro mi ha dato moltissimo, quindi quando ho avuto a che fare col pubblico non avevo più solo la musica da rappresentare ma anche la percezione di chi mi stava guardando. Credo che questa volontà di arrivare in maniera serena e sincera a chi sta dall'altra parte mi abbia contagiato fortemente".

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Ovviamente il libro è costellato di ricordi, il primo Sanremo con Zucchero, quello – divertentissimo – con gli Elio e le Storie Tese, quando gli toccò utilizzare tutti gli strumenti dell'Orchestra, compreso il Gong e velocizzare "La terra dei cachi" per riproporla interamente in un minuto, o della volta che, contro tutte le previsioni, vinsero gli Avion Travel (e soprattutto del ritorno a Napoli in auto). E proprio Sanremo ne ha caratterizzato la vita, scandendola, sicuramente, dandogli la popolarità di cui gode oggi e che pare essergli capitata addosso più per caso che per altro: "Sanremo serve alla musica, servirebbe, al momento sta servendo molto alla televisione: dobbiamo far di tutto per mantenere originalità e individualità. Ci sono le possibilità di mantenere la propria originalità e contribuire al mondo della cultura musicale. Negli ultimi anni contribuiamo a un'operazione televisiva, con nessun risultato che riguarda la storia della canzone italiana"

Una fama, quella sanremese, non ricercata, anzi, che a volte oscura anche l'enorme lavoro di scrittura e arrangiamento – parola che odia, come rivela – fatta per personaggi del calibro di Vanoni e Paoli, giusto per citare due dei tanti nomi presenti: una vita artistica talvolta controcorrente che non manca di alcuni fallimenti, come racconta spiegando il perché non sia riuscito a chiudere una collaborazione con Claudio Baglioni, ad esempio, e che in questi ultimi anni sta cercando di riprendere in mano, grazie alla scrittura e soprattutto alla ricerca e ai pomodori.

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